Storica apertura cinese sul clima, ma le reazioni sono contrastanti

Entro il 2017 Pechino appronterà un mercato del carbonio come quello europeo e statunitense. Ma per salvare il clima deve tagliare le emissioni

Storica apertura cinese sul clima, ma le reazioni sono contrastanti

 

(Rinnovabili.it) – La Cina si impegna a mettere un tetto alle emissioni inquinanti dal 2017. Lo ha annunciato da Washington il presidente cinese Xi Jinping, in seguito a un incontro con l’omologo americano Barack Obama. Un passo preparato da tempo, visto che un accordo di massima sul clima fra Cina e Usa – pur senza che Pechino si sbilanciasse – era già stato raggiunto al vertice Apec (Asia Pacif Economic Cooperation) del novembre scorso.

La novità principale è che il piano cinese prevede la creazione di un meccanismo cap-and-trade già sperimentato negli Usa e in Europa. Verrà fissato un limite annuo alle emissioni di CO2, mentre le aziende dovranno comprare sul mercato le loro quote di emissioni consentite. Pechino ha scelto di non creare un mercato unico, ma di frazionarlo in sette parti suddividendo il paese in macroregioni, sulla scorta di progetti pilota su scala minore già avviati alla fine del 2013. Finora non sono stati resi noti altri dettagli, soprattutto riguardo a come verrà stabilito il tetto annuo.

 

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La Cina ha ribadito l’impegno di raggiungere il picco di emissioni al più tardi nel 2030, una misura già prevista dagli accordi del vertice Apec insieme ad un target di rinnovabili del 20% nel consumo energetico cinese al 2030. Su quest’ultimo punto, il presidente Xi ha però annunciato una strategia – per il momento alquanto vaga – per rendere economicamente più conveniente, e quindi più appetibile, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Inoltre, nel prossimo futuro, il governo cinese si impegna a stabilire delle linee guida per garantire un canale preferenziale agli impianti più efficienti e meno inquinanti che generano elettricità da combustibili fossili. L’effetto combinato di questi due provvedimenti, nelle intenzioni dell’esecutivo, dovrebbe portare a una riduzione dell’uso del carbone a favore di solare ed eolico. Questo significa che da qui al 2030 la Cina dovrà sviluppare tra 800 e 1000 GW tramite fonti rinnovabili. Ma nel conto rientra anche il nucleare, considerata energia “pulita” visto che non emette carbonio in atmosfera.

 

Storica apertura cinese sul clima, ma le reazioni sono contrastanti 2L’annuncio di Xi è stato accolto in maniera contrastante. A chi gioisce perché un accordo Usa-Cina, responsabili insieme del 45% delle emissioni globali, lascia qualche speranza in più di raggiungere risultati importanti il prossimo dicembre alla Cop di Parigi, fanno da contraltare i molti scettici verso le reali intenzioni di Pechino. Sotto la lente d’ingrandimento finisce soprattutto il meccanismo di cap-and-trade. “Non credo che nel breve termine questa sarà la strada principale con cui la Cina ridurrà le emissioni”, ha dichiarato al Washington Post Song Ranping, esperto di clima del World Resource Institute, “I vettori più importanti saranno altre politiche, quelle sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili. Ma nel lungo periodo, il sistema di scambio di quote ha il potenziale per diventare il vettore principale”.

Altri dubbi riguardano il grado di trasparenza che la Cina saprà garantire al mercato delle quote per farlo funzionare a dovere, che rappresenta una sfida di non poco conto anche solo per le sue dimensioni. Secondo uno studio curato da Zhong Xiang Zhang, docente di economia all’università di Tianjin, il mercato delle quote potrebbe coinvolgere inizialmente circa 10mila aziende in tutto il paese, per un ammontare di oltre 4 miliardi di tonnellate cubiche di anidride carbonica: in pratica, di dimensioni doppie rispetto a quello europeo.

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