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Caso Volkswagen: ecco quanto ha inquinato l’azienda in 7 anni

L’inquinamento di Volkswagen è pari a quello di tutta una nazione. Intanto anche Fiat finisce in tribunale per pubblicità ingannevole sulle emissioni

Caso Volkswagen ecco quanto ha inquinato l’azienda in 7 anni

 

(Rinnovabili.it) – Lo scherzetto di Volkswagen sulle emissioni coinvolge circa 11 milioni di automobili, vendute fra il 2009 e il 2015 in tutto il mondo. L’inquinamento atmosferico generato , secondo una nuova analisi del Guardian, è paragonabile a quello che ogni anno viene prodotto da tutti settori industriali del Regno Unito: centrali elettriche, trasporti, industria e agricoltura.

Le auto illegali vendute negli USA avrebbero vomitato in atmosfera tra le 10.392 e le 41.571 tonnellate di gas tossici l’anno, stando ai chilometri percorsi in media nel Paese. Se avessero rispettato gli standard fissati dal Clean Air Act, avrebbero emesso solo 1.039 tonnellate di NOx all’anno. Su scala globale, l’inquinamento potrebbe oscillare fra le 237.161 e le 948.691 tonnellate/anno di NOx, dalle 10 alle 40 volte i limiti EPA.

 

Lo scandalo innescato dall’EPA, l’Agenzia statunitense per la protezione ambientale, ha in pochi giorni acquisito portata planetaria. Le ultime notizie, pubblicate dal quotidiano Die Welt, riportano una connivenza del governo tedesco ai suoi più alti livelli. Angela Merkel sapeva tutto, almeno da luglio, quando il partito verde ha presentato una interrogazione parlamentare al ministro dei Trasporti, Alexander Dobrindt. Il giornale afferma che il dispositivo utilizzato per ridurre le emissioni durante i test era conosciuto dall’esecutivo, il quale non poteva non sapere che alcune marche aggiravano i controlli.

Il Tagesspiegel, invece, dà per silurato il CEO Martin Winterkorn, alla testa di Volkswagen dal 2007. Al suo posto scommette sull’arrivo di Matthias Mueller, che gestisce la divisione sportiva di Porsche.

 

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Perché l’Europa puntò tutto sul diesel

La settimana scorsa, un rapporto della ONG Transport & Environment ha rilevato che i test europei sulle auto permettevano a 9 veicoli diesel su 10 di violare i limiti europei. Le scosse di terremoto nel mondo dell’automotive, dunque, potrebbero raggiungere presto i lidi del vecchio continente, che ha investito sul diesel più di 15 anni fa.

Fino a metà degli anni ’90, infatti, si trattava di un mercato di nicchia, che costituiva meno del 10% del parco auto europeo. I veicoli diesel producono il 15% in meno di CO2 rispetto ai benzina, ma emettono quattro volte più biossido di azoto (NO2) e 22 volte più particolato. Dopo la firma del Protocollo di Kyoto, nel 1997, la maggior parte dei Paesi ricchi è stata obbligata per legge a ridurre le emissioni di CO2 in media dell’8% in 15 anni. Le case automobilistiche giapponesi e americane hanno puntato sulla ricerca nel settore dell’ibrido e dell’elettrico, ma la Commissione europea ha ceduto alla lobby delle major tedesche BMW, Volkswagen e Daimler, decidendo di incentivare il passaggio al diesel. L’industria dichiarava infatti che questo sarebbe stato il modo più economico e veloce per ridurre le emissioni di carbonio responsabili del cambiamento climatico.

 

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Fiat e Volkswagen alla sbarra in Italia

Di tutto questo stiamo pagando lo scotto in termini di vite umane e vivibilità nelle metropoli, ma ora che gli Stati Uniti hanno aperto il vaso di Pandora aspettiamoci ripercussioni anche in Europa e in Italia. Un segno che lo scandalo emissioni non resterà limitato alla sponda ovest dell’Atlantico è la causa che si aprirà il 2 ottobre a Venezia, intentata da Altroconsumo contro Volkswagen e Fiat per pubblicità ingannevole. Il gruppo per i diritti dei consumatori italiani ha avviato una class action contro le case automobilistiche dopo aver verificato che il consumo di carburante e le emissioni di CO2 dalla VW Golf 1.6 e della Fiat Panda 1.2 erano fino al 50% superiori rispetto a quanto dichiarato.

 

*AGGIORNAMENTO (23/09/2015 h. 17:50)

Il CEO di Volkswagen, Martin Winterkorn, si è dimesso pochi minuti fa, rilasciando queste dichiarazioni:

Sono scioccato dagli eventi degli ultimi giorni. Soprattutto, sono allibito che un malaffare di tali dimensioni sia stato possibile nel gruppo Volkswagen. In qualità di CEO, assumo la responsabilità per le irregolarità rilevate nei motori diesel e ho chiesto dunque al consiglio di sorveglianza di accettare che io termini la mia funzione di amministratore delegato del gruppo Volkswagen

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.