Riscaldamento oceanico: decine di migliaia di urie morte per denutrizione

62.000 carcasse di urie sono state recuperate lungo la costa occidentale degli Stati Uniti tra il 2015 e il 2016. La causa? Il riscaldamento oceanico, che secondo le stime potrebbe averne ucciso oltre un milione.

Foto di Jonathan Cannon da Pixabay
Credits: Jonathan Cannon da Pixabay

Il riscaldamento oceanico altera gli equilibri della catena alimentare negli ecosistemi.

 

(Rinnovabili.it) – A fine 2019, James Renwick, ricercatore della Victoria University di Wellington, ha avvertito la comunità scientifica di una ‘macchia’ d’acqua bollente (fino a 6 ° C sopra la media oceanica) presente ad est della Nuova Zelanda. Oggi questo hot blob, come è stato ribattezzato, copre oltre 1 milione di km2. Alimentata probabilmente  da El Niño, che avrebbe accelerato il processo di riscaldamento oceanico, la macchia potrebbe essere responsabile della moria di oltre 62.000 uccelli marini in meno di un anno, nello specifico le urie comuni (uria aalge).


L’ipotesi è stata oggetto di indagine, poi confluita in uno studio pubblicato dall’Università di Washington, sulle carcasse di urie trovate tra l’estate del 2015 e la primavera del 2016 lungo le coste che corrono dalla California fino all’Alaska. Secondo i ricercatori, viste le abitudini dei volatili, che non si avvicinano spesso alla terra ferma, si è trattato di un vero e proprio sterminio: si stima un’ecatombe di 1 milione di uccelli. 

 

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La maggior parte delle carcasse sono state trovate in Alaska, in particolare nell’area meridionale, dove i numeri parlano di oltre 4.500 uccelli morti ogni chilometro. Probabilmente sono morti di fame, a causa della scarsità di cibo e della competizione per l’approvvigionamento: il riscaldamento oceanico, infatti, avrebbe attivato il metabolismo di pesci come il salmone, con una conseguente diminuzione degli esemplari più piccoli, principali prede delle urie.

 

La maggior parte degli uccelli era gravemente emaciata e, finora, non vi sono altre prove che indichino qualcosa di diverso dalla fame per spiegare questo sterminio di massa”, scrivono i ricercatori. Secondo lo studio, la mancanza di cibo ha comportato una riduzione nel tasso di nascite in tutta la regione. Tra il 2015 e il 2016 oltre 15 colonie non hanno prodotto un singolo pulcino, ma lo studio avverte che i dati potrebbero essere fallaci, in quanto il monitoraggio riguarda solo 1/4 delle colonie.

 

Quello dell’assenza di cibo non è un problema che riguarda solo le urie: negli Stati Uniti, la pesca ha subito danni per milioni di dollari a causa della proliferazione di alghe nocive (dovuta a ipossia ed inquinamento) e molti altri animali sono morti, tra cui leoni marini, pulcinelle di mare e balene.

 

L’entità e la portata di questo disastro non hanno precedenti“, ha dichiarato John Piatt, ricercatore capo dello studio e biologo presso l’Alaska Science Center. “È sconcertante e allarmante, un allarme rosso sull’impatto tremendo che il riscaldamento oceanico può avere sull’ecosistema marino”. Non si sa se la popolazione di urie avrà modo di riprendersi da questa ecatombe. Ciò che invece è certo è la formazione di un’altra gigantesca macchia di calore al largo della costa di Washington. E sta crescendo. 

 

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