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Il nuovo CONOU? Sistema integrato ed efficiente, parola di Tomasi

Vicini all’obiettivo di rigenerare il 100%, il Consorzio ha recentemente riorganizzato il suo sistema produttivo ed amministrativo. Il suo presidente, Paolo Tomasi, ci racconta in esclusiva i segreti, le difficoltà e le ambizioni del Sistema più longevo e virtuoso della nostra economia circolare

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Il CONOU, Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Minerali Usati, è un modello europeo di efficienza.

Nel suo recente rapporto sulle attività 2017 notiamo un ulteriore incremento del 3.5% sulla raccolta, rispetto a quella del 2016, arrivando all’incredibile quota del 99% dell’olio usato raccoglibile. Un risultato di tutto rispetto se pensiamo che la Francia ne raccoglie il 60%, la Germania il 50%, e l’Inghilterra il 14%. Per capire meglio quello che ormai alcuni chiamano “il miracolo italiano” ne parliamo con Paolo Tomasi, presidente del CONOU.

 

Presidente, dal recente rapporto sui dati di raccolta 2017 degli oli minerali usati risulta, ancora una volta, un successo per il CONOU. Quali sono gli ingredienti per questa costante crescita?

In effetti, lo ammetto, ci troviamo in una situazione fortemente positiva, situazione che potrebbe anche indurci a “tirare i remi in barca”. Infatti i risultati del lavoro del Consorzio sono importanti, come lei diceva, in quanto siamo molto vicini alla saturazione complessiva della raccolta.

Eppure qualcosa ci spinge a cercare ancora un miglioramento. Dobbiamo spostare la nostra attenzione, cercando un ulteriore incremento del servizio, nei confronti di chi produce grandi quantità di rifiuti e nelle modalità di stoccaggio. In tal senso abbiamo la necessità di collaborare più attivamente con i grandi produttori dell’olio usato, in particolare con la grande industria.

 

Dal vostro Rapporto 2017, appena presentato, risulta che il CONOU sia riuscito a raccogliere il 99% di olio usato con un anticipo di circa 8 anni rispetto ai limiti indicati dalla Comunità Europea. Rimane difficile pensare che ci siano ancora margini di miglioramento…

Diciamo che il nostro vero problema è nella determinazione di due fattori basilari: quanto rifiuto viene prodotto e, di conseguenza, quanto rifiuto può essere effettivamente raccolto. In pratica questi due elementi tendono ad evidenziare che il fattore di consumo dell’olio lubrificante non è universale, ma varia drasticamente a seconda delle tipologie di impiego.

 

Mi faccia capire meglio: l’olio lubrificante si consuma con modalità differenti nei diversi motori? 

Certamente. Se andiamo, ad esempio, a controllare il livello dell’olio nel carter della nostra autovettura notiamo che l’olio gradualmente si consuma, anche se molto più lentamente rispetto ai motori di un tempo. Al momento della sostituzione avremo una restituzione di olio in un range che va dal 50 al 70% rispetto alla quantità immessa all’origine, oltre a tutti i rabbocchi successivi. Al contrario, ci sono attività che distruggono completamente il lubrificante. Ad esempio nei motori a due tempi, o nell’ambito della cosmesi, o nei processi di realizzazione di gomme termoplastiche. Insomma ci sono tipologie di impiego che “consumano” quasi completamente l’olio lubrificante e, in quelle situazioni, il rifiuto non è quasi più recuperabile.

 

In Europa nazioni con il PIL maggior del nostro – come la Germania, l’Inghilterra e la Francia – hanno una percentuale di raccolta ben minore rispetto a quella italiana. Come si rende possibile questa situazione?

Il nostro successo nasce da lontano. In Italia, per ragioni di mancanza di materia prima, c’è stata una spinta al recupero che trova i suoi primi esempi nelle leggi – pensi – del 1940, periodo in cui l’approvvigionamento del petrolio era molto difficoltoso e di conseguenza il lubrificante era considerato una sostanza preziosa. A quel punto le leggi imposero l’obbligo del recupero e del riutilizzo. Da quella lontana data è iniziato un percorso virtuoso di un’attività di raccolta e rigenerazione sempre più spinta.

 

Forse nel 1940 ancora non si avevano le idee chiare rispetto all’economia circolare…

Forse no. Ma si era già sulla strada giusta. I lubrificanti, una volta recuperati, venivano processati: all’inizio con semplici filtrazioni e, successivamente, attraverso distillazioni. Ciò a creato, negli anni ’70, la nascita delle prime raffinerie di rigenerazione.  Si trattava in pratica di  raffinerie molto simili a quelle convenzionali con la differenza che utilizzavano, come materia prima, l’olio usato. Il processo è simile, ma si utilizzavano, chiaramente, tecnologie e standard prestazionali diversi.

 

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In pratica nelle raffinerie di rigenerazione già si ottenevano materie riutilizzabili?

Sì, ma il processo non è stato immediato. Dalla distillazione si ottenevano, oltre alla base lubrificante, sostanze più leggere, simili ai gasoli e sostanze più pesanti, simili ai bitumi. Con il passare del tempo, e grazie all’innovazione tecnologica, i prodotti di recupero sono diventati a tutti gli effetti uguali a quelli derivanti da greggio: i quasi lubrificanti sono diventati lubrificanti finiti attraverso l’aggiunta di additivi, i quasi gasoli sono diventati gasoli utilizzabili nel comparto dell’autotrazione e il quasi bitume è diventato un materiale utilizzabile in molti settori come, ad esempio, nella produzione delle guaine bituminose.

 

Riuscire a produrre materie prime seconde con caratteristiche identiche a quelle delle materie prime appare un risultato straordinario.  Come si è modificato, di conseguenza, il mercato?

Più che modificato direi che si è creato un nuovo mercato, un mercato che prima non esisteva e che è apparso da subito particolarmente profittevole tanto che molte aziende, nel tempo, si sono occupate del nuovo settore con attività di raccolta e di rigenerazione. Ovviamente tutto ciò non accadeva solo nel nostro Paese. In Italia, però, c’è stata una poderosa propulsione determinata, attraverso un’apposita legge, dalla nascita del Consorzio che è stata la base sulla quale si sono concentrate tutte le attività della filiera.

 

Quali sono, più specificatamente, le attività della vostra filiera?

La nostra filiera è, in pratica, costituita da due grandi tipologie di attività: quelle legate alla raccolta e quelle legate alla rigenerazione. Il sistema, nella nostra visione complessiva, non prevede un’egemonia da parte di uno dei componenti, ma una costante sinergia per ottenere il miglior risultato possibile. Quindi una raccolta efficace, puntuale, ben ramificata sul territorio, e un sistema di raffinazione sempre più evoluto per realizzare un prodotto di prima qualità.

 

A proposito del Consorzio. Il 2017 è stato per il CONOU un anno molto importante: è stato cambiato il nome, c’è stata una riorganizzazione interna, ed è stato firmato un Decreto Ministeriale per voi davvero importante. Come si è trasformato, nella pratica, il Consorzio?

In effetti è stato un anno di straordinaria importanza. Dopo 35 anni abbiamo voltato pagina.

 

Cosa è cambiato?

La possibilità di fare le stesse cose ma con una visione complessiva e nuova.  Mentre fino ad ora si sono occupati del Consorzio solo i soggetti che dovevano, per impegno di legge, recuperare a fine vita ciò che immettevano sul mercato – in pratica le società petrolifere – dallo scorso anno si sono aggiunti alla filiera, attraverso un rapporto integrato, tutti i soggetti che gestiscono questa attività. In particolare nel Consiglio di Amministrazione entreranno, oltre alle società petrolifere che continueranno ad avere la regia in quanto finanziatrici del Consorzio, anche i soggetti legati alla raccolta e alla rigenerazione.  Si apre una nuova era che per me vuol dire: collaboriamo in un’ottica integrata per ottenere un successo complessivo e di gruppo. E’ un passo notevole in avanti seguito con grande attenzione dal legislatore oltre che dal Ministero competente.

 

Quanto, negli ultimi anni, l’economia del vostro sistema è stata influenzata dal calo del prezzo del greggio?

Le sono grato per avermi dato la possibilità di trattare questo argomento in quanto si tratta di un aspetto centrale per la nostra attività. Partiamo da una considerazione: il nostro modello produttivo è integralmente basato sul prezzo di riferimento del greggio. E il periodo che abbiamo appena attraversato – dalla metà del 2014 fino ad oggi – ha creato complessivamente, in Europa, una situazione di notevole disagio in quanto i soggetti che lavoravano nel sistema di recupero e rigenerazione dell’olio si son trovati un’efficienza economica estremamente ridotta. In pratica l’olio usato raccolto doveva costare quasi zero per poter essere rigenerato; diversamente non esisteva il margine economico per sostenere l’attività di rigenerazione. Per fortuna in Italia, in questa situazione, il Consorzio ha svolto un ruolo di stabilizzazione.

 

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In quale modo il CONOU ha svolto il ruolo di stabilizzazione?

Il Consorzio ha fatto in modo che l’attività non venisse sospesa, anche quando non esistevano più i margini economici per giustificarla. Le imprese che immettono al consumo hanno sostenuto un costo importante, ma non è stato mai interrotto il servizio con tutte le conseguenze ambientali che possiamo immaginare. Debbo però sottolineare, trattandosi di un costo sociale, che esisteva comunque l’obbligo di legge a intervenire in quanto si trattava di raccogliere un rifiuto pericolo come l’olio lubrificante usato. Ancora oggi, quando questo equilibrio non sussiste, il Consorzio interviene sistematicamente in modo che la raccolta venga comunque effettuata, a prescindere dai fattori di convenienza economica. Abbiamo insomma messo a punto un modello di attività sempre più efficiente per minimizzare i costi del servizio e riuscire a garantire, comunque, la raccolta e la rigenerazione dell’olio usato.

 

Siamo alla vigilia del grande sviluppo della mobilità elettrica. Da quel che mi risulta il sistema meccanico di una vettura elettrica consuma molto meno olio di quello di una vettura termica. Come sarà riorganizzato il modello di attività, e di business, del Consorzio?

In coerenza al mio approccio ecologista sarei ben favorevole ad uno scenario di questo genere. Chiaramente, quando cambieranno le condizioni del mercato, il Consorzio dovrà rivedere il proprio modello produttivo. Ritengo, però, che la transizione non sia così rapida e radicale. Vorrei poi sottolineare che anche un motore elettrico necessita di olio lubrificante. Non sarà più un olio “nero”, per effetto della lubrificazione di un pistone, ma quello per la lubrificazione di una turbina – che gira a velocità incredibili – e quindi con assoluto bisogno di lubrificazione. Per farle un esempio: Il CONOU ha recuperato l’olio lubrificante usato, in occasione del primo Gran Premio italiano di FORMULA E, da tutte le auto che hanno partecipato alla gara.

 

Possiamo quindi anticipare che è previsto anche nelle auto elettriche una sorta di cambio dell’olio?

Certo, assolutamente si.

Anche se non possiamo ancora stimare il volume del nuovo mercato in quanto siamo davvero ai primi passi.

  

>>Scopri la sezione dedicata al CONOU: Re-Auto!<<

  
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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

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Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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