COP17: a Durban per salvare Kyoto

Si apre oggi in Sudafrica la conferenza Onu sui cambiamenti climatici. Sul tavolo dei negoziati, un Kyoto bis e la ricerca di concretezza per gli impegni di Cancun

La Conferenza delle Nazioni Unite iniziata stamane a Durban, in Sudafrica, terrà tutti con il fiato sospeso. I negoziati,  a cui prenderanno parte gli oltre 17mila delegati dei 195 paesi, si protrarranno fino al 9 dicembre prossimo e si sono aperti con la speranza, portata avanti soprattutto dall’Europa, della redazione di un nuovo accordo vincolante che spinga i governi a rinnovare quanto contenuto nel Protocollo di Kyoto, ormai prossimo alla scadenza.

L’IMPEGNO DELL’EUROPA

L’importante sarà concordare una tabella di marcia comune che porti alla sottoscrizione di un calendario di eventi ed interventi a favore del clima e della lotta all’innalzamento della temperatura globale. Ottenere un accordo completo e legalmente vincolante è l’obiettivo che l’Europa esige al fine di riuscire a garantire al pianeta un post Kyoto concreto e lungimirante.

Durban è quindi anche il momento di fare il punto della situazione, di portare al tavolo delle trattative i risultati ottenuti nei 12 mesi che sono intercorsi tra la conferenza di Cancun e il COP17. L’Europa sarà quindi chiamata a descrivere in che modo ha utilizzato il fondo da 7,2 milardi di euro riservato ai finanziamenti rapidi per il clima che si è impegnata a indirizzare entro il biennio 2010-2012 ricrodando che ad oggi ad essere stati assegnati sono 4,68 miliardi, ovvero più della metà del totale del fondo.

Connie Hedegaard, commissaria responsabile per l’Azione per il clima, ha dichiarato: “L’Unione europea è disposta ad aderire a un trattato globale a Durban. Purtroppo però altre economie, come gli Stati Uniti e la Cina, non lo sono. Diciamolo chiaramente: l’UE sostiene un Kyoto-bis. Ma un secondo periodo del protocollo con la sola partecipazione dell’UE, che rappresenta l’11% delle emissioni globali, sarebbe chiaramente insufficiente per il clima. Un simile risultato a Durban non potrebbe essere considerato un successo. La domanda è: gli altri quando si muoveranno? Nel mondo interdipendente di oggi abbiamo bisogno di un’azione globale per il clima con la partecipazione di tutti. La posta in gioco a Durban è appunto il superamento di Kyoto. Perciò l’UE può essere disponibile ad un secondo periodo del protocollo di Kyoto se otterremo la garanzia che gli altri grandi produttori di emissioni ci seguiranno. A Copenaghen i leader si sono impegnati a non superare i 2°C. Ora devono dimostrare che fanno sul serio”. Per l’Italia sarà a Durban, a partire dal 6 dicembre, il neo ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che parteciperà alla Conferenza per le ministeriali.

C’E’ CHI DICE NO

Ma sembra che, nonostante l’impegno delle maggiori economie sia a favore del protocollo di Kyoto, Cina e Stati Uniti a parte, l’evolversi della condizione climatica del pianeta stia rendendo necessario un nuovo quadro globale vincolante, con regole chiare che mantengano alta l’attenzione su quanto contenuto nel Protocollo. Nonostante sia decisivo abbattere le percentuali di inquinanti c’è chi arrivando in Sud Africa, in questo caso Canada, Stati Uniti, Russia e Giappone, ha dichiarato che non aderiranno ad un secondo Protocollo, ritenendo tali impegni una perdita di tempo. Al contrario, l’Europa si è dichiarata a favore della redazione di un nuovo accordo che contenga una tabella di marcia e un calendario vincolante per regolamentare e indirizzare il quadro climatico andando però a migliorare l’insieme di regole nate per gestire il patrimonio forestale, oltre all’introduzione di nuovi sistemi di mercato che accelerino il consolidamento del mercato internazionale dei crediti di carbonio.

“I sudafricani sono disperati e stanno facendo il possibile affinchè la COP non fallisca, ma loro non potranno fare molto” ha dichiarato Ian Fry, a capo dei negoziatori dellla piccola isola del Pacifico Tuvalu, minacciata dall’innalzamento delle acque oceaniche. Ricordando le problematiche ambientali che gravano sulle isole del Pacifico, Fry ha lanciato un appello agli Stati Uniti affinchè si impegnino in azioni climatiche a favore della salvaguardia delle aree più a rischio, ricordando che l’Europa probabilmente firmerà per un post Kyoto e invitando le economie reticenti a seguirne l’esempio, garantendo alle popolazioni più disagiate il futuro che meritano.

Un incontro, quello organizzato dall’Onu per riportare l’attenzione delle economie sul clima, che non lascia indifferente il Santo Padre che ieri nell’Angelus ha ricordato l’importanza della salvaguardia delle risorse come segno di rispetto per le generazioni future dichiarando “Domani cominceranno a Durban, in Sud Africa, i lavori della Convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto. Che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni future”.

DA RIO A DURBAN PASSANDO PER KYOTO

Quasi due decenni fa, le nazioni hanno deciso di aderire ad un trattato ambientale internazionale per ragionare in modo cooperativo su quanto si potesse fare per limitare l’aumento della temperatura media globale e il conseguente cambiamento climatico, e per far fronte a qualsiasi impatto si fosse da allora reso inevitabile. Era il 1992, anno della nascita della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, entrata in vigore però solo due anni più tardi. Il trattato, lavoro dei partecipanti al Summit della Terra di Rio de Janeiro, nella sua forma originale non preveda obblighi di riduzione o vincoli individuali per i paesi aderenti, ma solo previsioni di aggiornamenti, “protocolli” con cui stabilire target ambientali da implementare ed un obiettivo comune “la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico”. Ma un impegno senza un obbligo vincolante è poca cosa, soprattutto se lo sforzo richiesto dovrebbe impegnare il paese a fare sacrifici mai compiuti prima a livello energetico e climatico. L’inadeguatezza delle originali disposizioni fu riconosciuta soprattutto da quanti firmarono nel 1997 il famoso Protocollo di Kyoto, il documento che per la prima volta ha introdotto l’obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di sei gas serra in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — anno base — nel periodo tra il 2008 e il 2012. Il protocollo di Kyoto ha il merito inoltre di aver previsto la possibilità di impiegare un pool di Meccanismi Flessibili per ridurre i gas serra al costo minimo possibile e per l’acquisto e scambio di crediti emissivi (Clean Development Mechanism – CDM, Joint Implementation – JI, Emissions Trading – ET).

Un punto di svolta per la storia ambientale del pianeta, che ha saputo nel tempo raccogliere anche le adesioni dei paesi in via di sviluppo nonostante non fossero stati invitati a ridurre le loro emissioni al fine di non ostacolare la loro crescita economica con oneri particolarmente gravosi. Dalle 184 nazioni che hanno aderito e ratificato il protocollo gli Stati Uniti sono gli unici “grandi” assenti, grandi sia per il ruolo giocato come potenza mondiale a livello dello scacchiere mondiale sia per la consistente fetta di emissioni legata al territorio.

Le parti della Convenzione si incontrano annualmente nella Conference of the Parties (COP) per analizzare i progressi compiuti nella lotta al Climate Change, e dalla COP3 del dicembre 1997 e le tese negoziazioni che portarono al Protocollo di Kyoto, ad oggi il passo è breve. Gli ultimi appuntamenti su cui si riponevano le maggiori speranze in termini di un nuovo trattato che coinvolgesse tutti i paesi e a che alzasse la mira dell’impegno, non hanno in realtà portato i risultati sperati. Il fallimento di Bali (COP-14) il nulla di fatto di Copenaghen (COP-15) e i piccoli passi avanti di Cancun (COP-16) hanno lasciato a molti l’amaro in bocca. Il Summit messicano, in particolare ha partorito un accordo, che seppure senza ambizione, ha sancito la volontà mondiale di limitare l’aumento della temperatura media planetaria entro i 2 gradi, stabilendo la necessità di tagliare le emissioni di gas serra dal 20% al 40% al 2020 (rispetto al 1990).  Sulle lacune lasciate dai negoziati di Cancun s’inserisce la Conferenza di Durban a cui spetta il compito di operative le decisioni adottate lo scorso anno. In particolare, occorrerà adottare linee guida per rendere operativo un sistema rafforzato di trasparenza, in maniera tale da chiarire quali paesi stiano rispettando i loro impegni in termini di emissioni all’orizzonte del 2020. Alla COP-17 spetterà pertanto di individuare alternative per affrontare e quantificare tale “carenza di ambizione” e varare un processo per discuterle nel corso del prossimo anno. La conferenza dovrà, inoltre, varare un programma di lavoro sull’agricoltura e prendere provvedimenti sulle emissioni causate dal trasporto aereo e marittimo internazionale. Un intervento sull’aviazione e sulla navigazione potrebbe avere un ruolo significativo per il futuro finanziamento delle azioni per il clima nei paesi in via di sviluppo.

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