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COP20, a Lima iniziano i negoziati ONU sul clima

Le due settimane di colloqui in Peru forniranno un progetto di testo da adottare a Parigi 2015. Il documento dovrà impegnare i paesi a ridurre le loro emissioni senza compromettere lo sviluppo economico delle nazioni povere

COP20, a Lima iniziano i negoziati ONU sul clima

 

(Rinnovabili.it) – Tutto è pronto al Quartier Generale dell’Esercito a Lima, Perù, per ospitare da oggi al 12 dicembre le due settimane di negoziati internazionali della COP20 sul clima, il vertice della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Sotto l’egida dell’ONU, le 195 Parti alla Convenzione si riuniranno nella speranza di superare i 20 anni di stallo e inazione accumulati sul fronte delle contrattazioni climatiche e portare a casa un obiettivo semplice ma fondamentale: gettare le basi di un accordo, globalmente condiviso, sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Nonostante il testo vero e proprio debba essere formalizzato solo alla COP21 di Parigi, il prossimo anno, l’appuntamento peruviano risente di tutte le aspettative crescenti accumulate negli anni. Alla lunga  serie di “nulla di fatto” con cui sono state bollate le conclusioni dei vertici di Cancun (2010), Durban (2011), Doha (2012) e Varsavia (2013), si aggiunge ora la pressione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC); il quadro fornito nell’elaborata sintesi delle oltre 5.000 pagine di studi (pubblicati da settembre 2013 a oggi), non lascia spazio a cattive interpretazioni: il climate change è già qui e il global warming è riconosciuto come la causa delle sempre più estreme ondate di calore, degli acquazzoni, dell’acidificazione degli oceani e dell’aumento del livello del mare. Ma soprattutto il documento riporta bianco su nero il maggiore colpevole di tutto ciò: l’uomo, la cui incidenza sul sistema climatico “è chiara e in aumento”.

 

IL TEMPO È SCADUTO Se tutto ciò non fosse abbastanza, il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite ha rimarcato, solo la scorsa settimana, la necessità raggiungere la “neutralità del carbonio” a livello mondiale entro la metà di questo secolo, unica vera strada possibile per limitare l’aumento della temperatura globale sotto i 2° C e scongiurare il tipping point del riscaldamento globale. In altre parole? Il tempo è davvero finito.

 

“Mai prima d’ora i rischi del cambiamento climatico sono stati così chiari e gli impatti così visibili”, ha ricordato alla vigilia della COP20, Christiana Figueres, segretario esecutivo dell’UNFCC. “Ma mai prima d’ora abbiamo visto una tale volontà a tutti i livelli della società nel passare all’azione. E mai prima d’ora abbiamo avuto a disposizione tutte le risorse tecnologiche necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e costruire la resilienza. Tutto questo significa che possiamo essere fiduciosi di ottenere qui a Lima dei veri risultati che porteranno ad un risultato effettivo a Parigi il prossimo anno”.

 

DIETRO LE QUINTE In realtà il clima pre-vertice non è nuovo a slanci d’entusiasmo, così come alla tendenza da parte dei negoziatori di vedere sempre mezzo pieno il bicchiere di fine COP.  C’è però da dire che qualcosa ha iniziato davvero a smuoversi. Dopo anni di sorda ostinazione, i più grandi inquinatori di questo secolo e al contempo due delle potenze economiche più allergiche nei confronti di obblighi climatici, hanno aperto uno spiraglio: lo scorso 12 novembre, in una prima volta quasi storica, Stati Uniti e Cina hanno dichiarato che avrebbero lavorato insieme per ridurre l’inquinamento di carbonio, di cui sono insieme responsabili per oltre il 40% del totale mondiale.

Nonostante siano stati in tanti ad accogliere la notizia come un passo epocale, c’è anche chi come l’IPCC ha bocciato l’impegno con una sorta di “i ragazzi sono intelligenti ma non si applicano abbastanza”. Senza contare che, sebbene blande, le promesse rischiano di risvegliare la “scorciatoia del nucleare”, in entrambi i paesi. Eppure per molti questo basta e avanza, soprattutto nella speranza che ora anche l’India, possa voler seguire gli stessi passi di USA e Cina.

 

L’atteggiamento fiducioso ha contagiato anche Tony de Brum, ministro degli Esteri delle Isole Marshall che ha condiviso in queste ore l’atteggiamento positivo della Figueres: “Non sono mai stato così ottimista come adesso. C’è un sentimento di fiducia da parte di tutti che vi sia oggi e qui la possibilità di farcela”. E viene quasi voglia di fidarsi se a dirlo è proprio il governo di questo piccolo stato insulare dell’Oceania, le cui isole stanno affrontando già oggi la perdita di terreno causata dall’innalzamento del livello del mare. 

 

GLI OBIETTIVI DELLA COP20 DI LIMA Sul tavolo dei negoziati climatici i nodi da sciogliere saranno tanti e a loro modo ugualmente importanti, a partire dall’azione congiunta per colmare l’emission gap nel periodo pre-2020. Questo significherà sia garantire che i paesi sviluppati aumentino gli impegni di riduzione delle emissioni già assunti, sia che quelli in via di sviluppo rafforzino le azioni già intraprese. In tal senso sarà essenziale che da Lima esca una chiara classificazione di “Paesi sviluppati” e “non sviluppati”, insieme alla definizione di criteri comuni dei contributi nazionali di riduzione di CO2.

 

Altro elemento all’ordine del giorno sarà quello economico sarà quello inerente il Fondo Verde per il clima, su cui le Parti dovranno impegnarsi per raggiungere l’obiettivo dei 10 miliardi di dollari. Il Fondo, che serve ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni di anidride carbonica preparandoli a fronteggiare gli impatti del cambiamento climatico. A margine del G20, Barack Obama aveva annunciato che gli USA avrebbero versato 3 miliardi di dollari, seguiti dal Giappone che ne ha messi sul piatto 1,5 miliardi, e capeggiati dall’Unione Europa con la cifra di 3,8 miliardi. Infine le Parti dovranno anche accettare di definire un budget di carbonio ed un target a lungo termine di eliminare gradualmente i combustibili fossili, entro il 2050. Un’impresa a cui  fin da ora alcuni Paesi, Australia in primis, si stanno opponendo strenuamente.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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