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Emissioni negative: il pericoloso trucco delle compensazioni

La rimozione e la riduzione di emissioni di gas-serra devono essere due obiettivi ben separati. A dirlo è uno studio dell'Università di Lancaster che mette in guardia dalle compensazioni e dalle promesse tecnologiche sulle emissioni negative

Emissioni negative
Credits: Tumisu da Pixabay

La promessa delle emissioni negative rischia di allontanare dall’obiettivo della riduzione di CO2

 

(Rinnovabili.it) – Oltre alla riduzione dell’emissione di gas serra, l’IPCC ha messo in evidenza la necessità di sviluppare tecnologie per le emissioni negative, vale a dire per eliminare dall’atmosfera la CO2 in eccesso. Ciò significa non solo diminuire esponenzialmente la produzione antropica di gas-serra, ma anche rimuovere l’anidride carbonica rilasciata nei decenni a causa dell’impiego di combustibili fossili.

 

Rispetto a queste indicazioni, una ricerca del Lancaster Environment Centre mette in luce il pericolo di fare affidamento sulle future tecnologie per rimuovere la CO2, pensando in questo modo di poter compensare nei prossimi anni le emissioni attuali senza agire subito per la loro riduzione. Per quale motivo? La ragione risiede proprio nella necessaria interazione fra questi due obiettivi (la riduzione e la rimozione), che non possono essere affrontati come se fossero un unico problema.

 

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Infatti, l’obiettivo delle zero emissioni può essere raggiunto solo attraverso due condizioni: contemporaneamente, smettere di rilasciare gas-serra e rimuovere la CO2 presente nell’atmosfera. L’obiettivo viene pienamente raggiunto quando queste due condizioni sono in equilibrio fra loro, vale a dire quando le emissioni residue di gas-serra sono subito compensate dall’eliminazione di CO2. L’una non può sussistere senza l’altra: se ci sono più emissioni, queste devono essere ribilanciate dalla rimozione; se si rimuove gas-serra, ma non ci si preoccupa di diminuire le emissioni, si rischia di svuotare con un bicchiere una nave che imbarca acqua.

 

I piani a zero emissioni che si affidano alle promesse di una futura rimozione del carbonio – invece di ridurre le emissioni orastanno pertanto portando avanti una pericolosa scommessa. Se le tecnologie previste per il 2040 utili a rimuovere le enormi quantità di CO2 non funzionassero come previsto (cosa non improbabile, non esistendo attualmente dei sistemi tecnici adeguati per la loro implementazione), potrebbe non essere più possibile compensare le emissioni cumulate nel tempo.

 

Da questo punto di vista, infatti, le interviste condotte nell’ambito della ricerca dell’Università di Lancaster  – e che hanno coinvolto circa 80 persone del mondo della politica, dell’economia, dell’accademia e del no profit – mettono in luce come la promessa futura di tecnologie per le emissioni negative faccia da deterrente per la riduzione e la mitigazione.

 

In parte, ciò è dovuto al fatto che, nei modelli di valutazione, le future emissioni negative possono apparire più economiche delle azioni per un’immediata mitigazione, poiché i costi delle prime vengono considerati come ammortizzabili nei decenni a venire. In alcuni casi, il calcolo delle future emissioni negative ha già sostituito la riduzione delle emissioni. Infatti, alcune aziende stanno fissando obiettivi aziendali a zero emissioni che implicano “compensazioni” di emissioni negative. Ad esempio, l’aeroporto di Heathrow sta pagando per il ripristino delle torbiere in Uk come compensazione per le emissioni dovute alle operazioni aeroportuali: il già citato bicchiere per svuotare la nave.

 

Secondo la ricerca, dunque, se le emissioni negative sono necessarie all’obiettivo delle zero emissioni, ma anche molto incerte, sembrerebbe fondamentale garantire sin da subito una rapida riduzione di CO2, anziché rallentarla con promesse future. Ma in che modo è possibile mantenere un equilibrio?

 

>>Leggi anche Le strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici nel report IPCC<<

 

Innanzitutto, un meccanismo sarebbe quello di insistere sulla separazione formale dell’obiettivo di riduzione e dell’obiettivo di rimozione, piuttosto che combinarli insieme. Infatti, definire e gestire separatamente l’obiettivo di emissioni negative (a livello nazionale, internazionale e settoriale), potrebbe aiutare a garantire che la riduzione di CO2 sia adeguatamente valutata. Questo potrebbe portare, teoricamente, ad una riduzione degli incentivi per le emissioni negative (o, detta altrimenti, una riduzione degli incentivi per le compensazioni), immaginando in questo modo un aumento dei prezzi del carbone che stimoli una decarbonizzazione più rapida.

 

Un esempio lampante è quello dell’agricoltura, che potrebbe contribuire in modo significativo alle emissioni negative attraverso lo stoccaggio del carbonio nel suolo. Ma se l’obiettivo della rimozione venisse semplicemente perseguito con la “compensazione” degli impatti della produzione di carne, non si otterrebbero dei concreti benefici in termini di riduzione e il potenziale del settore agricolo per contribuire alle zero emissioni sarebbe nullo.

 

Una chiara separazione degli obiettivi, inoltre, non solo avrebbe importante implicazioni giuridiche, con regole più chiare e stringenti per chi produce emissioni, ma sarebbe anche un netto disincentivo alla retorica della politica, che non potrebbe più nascondersi dietro gli slogan degli ultimi anni.

 

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.