In Italia l’acqua è di nuovo a rischio privatizzazione

La qualità dell’acqua italiana non rispetta la direttiva europea e il governo sta tentando la privatizzazione in barba al referendum. Intervista con Marco Bersani

In Italia l'acqua è di nuovo a rischio privatizzazione-

 

(Rinnovabili.it) – In Italia l’acqua non è buona. E non è buona nemmeno la sorte che l’attende, se si passano sotto la lente di ingrandimento le esplosive norme che il governo Renzi inserisce in decreti legge che hanno a che fare con tutt’altre materie. A soli 4 anni di distanza da un referendum che ha portato alle urne 27 milioni di persone, il destino del bene pubblico per eccellenza sembra portarlo in direzione opposta rispetto agli esiti della consultazione. Lo denuncia Marco Bersani, portavoce del Forum italiano dei movimenti per l’Acqua.

 

Qual è lo stato di salute, in Italia e nel mondo, delle risorse idriche?

Per quanto riguarda il nostro Paese, occorre dire che l’Italia  è ancora molto lontana dagli obiettivi fissati dall’Unione Europea con la direttiva 2000/60 per la buona qualità delle acque.

Ad oggi in Italia lo stato ecologico superiore al “buono” è stato raggiunto solo dal 25% dei corpi idrici superficiali, mentre lo stato chimico buono è stato raggiunto solo dal 18%.

 

La percentuale dei corpi idrici superficiali che riesce a soddisfare tutti i requisiti è pari solo al 10%”. E le previsioni per il futuro non sono migliori. Il nostro Paese ha comunicato alla Commissione europea che, nel 2015, solo il 29% delle acque di superficie dovrebbe raggiungere lo stato denominato “buono” (o superiore). Per le acque sotterranee, dal 49% del 2009, dovremmo passare al 52,7%, con una prospettiva assolutamente insoddisfacente lontana dagli obiettivi della direttiva, che richiedono che tutti i corpi idrici significativi raggiungano il buono stato di qualità. Senza considerare le molteplici fonti di inquinamento che ancora oggi gravano su fiumi, laghi e falde.

 

Per quanto riguarda la situazione globale, ancora oggi 1,3 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,5 miliardi non fruiscono di servizi igienico-sanitari. Si tratta dunque di un’emergenza mondiale, come dimostrano le decine di conflitti armati che sono in campo, legati in qualche modo all’utilizzo delle risorse idriche. Senza contare il ruolo del cambiamento climatico che renderà più aspri i medesimi conflitti.

 

Dopo il referendum del 2011, l’acqua rischia ancora la privatizzazione?

Il referendum non poteva che essere l’avvio di un nuovo scontro, perché i cittadini, con la loro straordinaria partecipazione al voto referendario, hanno di fatto messo in mora le politiche liberiste che volevano il mercato come unico regolatore e i beni comuni come merci da valorizzare.

Solo un mese e mezzo dopo la vittoria referendaria e in coincidenza con lo scoppio della crisi economico-finanziaria in Europa, la Bce  ha scritto una lettera all’allora governo Berlusconi, nella quale, al punto 26 si chiedeva cosa avesse intenzione di fare il governo per la privatizzazione degli acquedotti, malgrado il recente esito referendario. La guerra dei poteri forti alla vittoria referendaria è iniziata subito dopo il voto e continua tutt’oggi.

 

Quali provvedimenti sta portando avanti in merito il governo Renzi?

Contrariamente a governi precedenti, Renzi ha sapientemente evitato un attacco frontale all’esito referendario, preferendo approvare una serie di norme, spesso difficili da interpretare, ma che nel loro combinato disposto vanno a favorire la privatizzazione dell’acqua. Così, troviamo norme che vanno in questa direzione nel decreto “Sblocca Italia”, nella Legge di stabilità e nel disegno di legge “Madia” (ora in discussione) sulla riforma della pubblica amministrazione. Il disegno complessivo è quello di favorire la fusione di tutte le società territoriali che gestiscono il servizio idrico in quattro grandi multiutility collocate in Borsa (A2A per Lombardia, Trentino Alto Adige; IREN per Piemonte, Liguria e una parte di Emilia Romagna; HERA per il resto dell’Emilia Romagna, Veneto e Friuli; ACEA per Toscana, Umbria, Lazio e Campania), rendendo così definitiva la de-territorializzazione della gestione del servizio idrico e la sua trasformazione in servizio economico, finalizzato agli utili.

 

Quali proposte avanza il Forum dell’acqua per assicurare una gestione sostenibile ed etica di questa preziosa risorsa?

Il Forum italiano dei movimenti dell’acqua propone da sempre la riappropriazione sociale e la gestione territoriale, pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato. Perché solo fuori da una gestione di mercato diventa possibile attuare politiche di tutela e di risparmio della risorsa idrica, anche nell’ottica delle future generazioni. E solo con una gestione partecipata dalle comunità locali viene garantito il diritto universale all’acqua e la fruizione di un bene comune indipendentemente dalle risorse economiche delle persone. Per quanto riguarda gli investimenti, il Forum propone da sempre che il carico di questi possa essere suddiviso fra la fiscalità generale, il ricorso a mutui agevolati, modificando l’attuale struttura della Cassa Depositi e Prestiti, e un sistema tariffario che garantisca l’accesso all’acqua e colpisca gli sprechi, anche nei settori agricolo e industriale.

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4 Commenti

  1. Il mio progetto acqua e energia in Italia è ostacolato ad ogni livello MISE e Minambiente.Ho chiesto 45 miliardi di fondi europei per ricreare una industria vera dall’acqua che ottimizzi quella comunale ma ci levi da alluvioni e nel contempo sia l’energia futura perchè la integro con il mare e acqua desalinizzata.Tutto è pronto ed ho proposto di aggregare utilities acqua ma di svilppare filiere di allevamento pesci e biomasse acquatiche e marine.La massima opposizione al Progetto è del MISE-Minambiente-Enea e AEEGSI.

  2. Questa è una situazione di una gravità Democratica, economica contro la volontà dei cittadini Italiani.
    Un Paese civile che spende milioni di euro per fare un referendum, se ne infischia dell’esito e vuole di fatto creare le condizioni per privatizzare.
    Non so, da ignorante in materia , se ci sono le condizioni per denunciare il governo italiano per aver gettato al vento, milioni di euro per un Referendum e per il mancato rispetto della volontà popolare

  3. Dixit Marco Bersani:

    «[…] occorre dire che l’Italia è ancora molto lontana dagli obiettivi fissati dall’Unione Europea con la direttiva 2000/60 per la buona qualità delle acque. Ad oggi in Italia lo stato ecologico superiore al “buono” è stato raggiunto solo dal 25% dei corpi idrici superficiali, mentre lo stato chimico buono è stato raggiunto solo dal 18%.

    La percentuale dei corpi idrici superficiali che riesce a soddisfare tutti i requisiti è pari solo al 10%. E le previsioni per il futuro non sono migliori. Il nostro Paese ha comunicato alla Commissione europea che, nel 2015, solo il 29% delle acque di superficie dovrebbe raggiungere lo stato denominato “buono” (o superiore). Per le acque sotterranee, dal 49% del 2009, dovremmo passare al 52,7%, con una prospettiva assolutamente insoddisfacente lontana dagli obiettivi della direttiva, che richiedono che tutti i corpi idrici significativi raggiungano il buono stato di qualità. Senza considerare le molteplici fonti di inquinamento che ancora oggi gravano su fiumi, laghi e falde.»

    Tutto questo, se non ho capito male, in un’Italia – quella attuale – in cui la stragrande maggioranza delle risorse idriche è gestita, in un modo o nell’altro, dal settore pubblico, NON da quello privato.

    Più avanti egli aggiunge: «Il Forum italiano dei movimenti dell’acqua propone da sempre la riappropriazione sociale e la gestione territoriale, pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato. Perché solo fuori da una gestione di mercato diventa possibile attuare politiche di tutela e di risparmio della risorsa idrica, anche nell’ottica delle future generazioni. E solo con una gestione partecipata dalle comunità locali viene garantito il diritto universale all’acqua e la fruizione di un bene comune indipendentemente dalle risorse economiche delle persone.»

    Ora, non è contraddittorio affermare che da una situazione di degrado, causata dall’attuale gestione prevalentemente pubblica della risorsa idrica, si possa uscire solo con ULTERIORI INIEZIONI di gestione pubblica – sebbene sotto le “mutate” vesti della «riappropriazione sociale e la gestione territoriale […] e partecipativa del servizio idrico integrato»?

    Le risorse idriche italiane sono in un grave stato di degrado, proprio perché mancano quegli investimenti che il settore pubblico non è MAI stato – o non è più – in grado di effettuare.

    Sicché, poi, uscirsene dicendo che «[p]er quanto riguarda gli investimenti, il Forum propone da sempre che il carico di questi possa essere suddiviso fra la fiscalità generale, il ricorso a mutui agevolati, modificando l’attuale struttura della Cassa Depositi e Prestiti, e un sistema tariffario che garantisca l’accesso all’acqua e colpisca gli sprechi, anche nei settori agricolo e industriale», cioè con la solita mistura di ulteriori tasse (come se già non ce ne fossero abbastanza, e se il gettito non fosse già abbastanza sprecato) e di taumaturgica modifica della Cassa Depositi e Prestiti e del sistema delle tariffe, mi sembra veramente il colmo del paradosso.

    In questo momento, i soldi per fare investimenti nel settore della gestione delle risorse idriche li hanno i privati: piaccia o meno, così stanno le cose.

    E dove le risorse idriche sono di scarsa – o pessima – qualità, e l’acqua che viene fuori dal rubinetto della cucina è a malapena usabile per innaffiare i fiori, i “cittadini-utenti” – secondo me – in generale non hanno il minimo interesse a prendere parte in prima persona ad una «gestione territoriale, pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato»: vogliono semplicemente poter bere l’acqua del rubinetto.

    Se per ottenere questo risultato occorre mobilitare quelle risorse finanziarie e tecniche che, attualmente, solo il settore privato può permettersi di spendere nelle quantità necessarie ad effettuare gli investimenti che servono, insistere col dire che, «NO!, siccome questo significherebbe svendere alla finanza la risorsa idrica, allora è vietato anche solo provare ad immaginare in quali modi lo si potrebbe fare», secondo me, significa solo ritardare indefinitamente il momento in cui dai succitati rubinetti della cucina si potrà tornare ad attingere acqua potabile.

    Con tanti saluti al diritto universale alla risorsa idrica…

  4. Il cosiddetto pubblico ha sempre giocato in tandem con il privato in modo da creare nella gente la percezione che “pubblico” è brutto e “privato” è bello. Il fatto che i referendum vengano disattesi non è casuale perché da decenni il pubblico fa finta di essere dalla parte del cittadino mentre, di fatto, opera solo nell’esclusivo interesse del privato. D’altronde i leader politici in Italia e nel mondo sono pagati da noi cittadini ma obbediscono alle lobby. Le lobby sono gruppi di aziende private che dimostrano quanto sia “efficiente” il modello privato infiltrando nella politica, nell’economia, nel mondo accademico e nei media delle proprie persone che poi manovreranno le leve pubbliche per canalizzare le nostre tasse nelle loro tasche. Non solo, ma le lobby spingono i politici che “simpatizzano” con loro a deprimere sempre più la qualità dei servizi erogati dal settore pubblico in modo da promuovere la causa del privato attraverso la cosiddetta “strategia dello sfascio e del denigramento progressivo” che si serve dell’arma legale per ideare disposizioni di legge che minano alla radice la possibilità del pubblico di competere con il privato e, grazie alle conseguenze peggiorative prevedibili, ottengono l’effetto di far odiare il “pubblico” alla cittadinanza. Per esempio, la legge che consente di assegnare un bonus scolastico (soldi, in altre parole) alle istituzioni educative private documenta chiaramente la scaltrezza superiore delle lobby che in un sol colpo prendono due piccioni con una fava, ossia usano i soldi che provengono dalle nostre tasse per darli ai privati (le scuole private) mentre il fatto stesso che una parte degli studenti venga dirottata verso l’istruzione privata fa sì che le scuole pubbliche ricevano meno introiti di quelli che avrebbero dovuto percepire dallo Stato e siano dunque obbligate a peggiorare il loro servizio con un effetto a catena e di circolo vizioso che non poteva certo sfuggire al legislatore, tutt’altro che innocente in questo senso.
    È una strategia che paga, e non solo nel settore educativo, perché ormai non c’è più nulla in Italia che non sia allo sfascio, dalla giustizia alla sanità, al lavoro, alla cultura. E tra l’altro, la mancanza di soldi non c’entra proprio nulla perché, come sanno anche i sassi, da decenni i soldi vengono creati dal nulla (quantitative easing, fiat money) e dunque l’impotenza degli stati d’Europa è dovuta solo al fatto che i leader europei hanno deciso, in combutta con le lobby, di legarsi mani e piedi – e li hanno legati anche ai loro cittadini – sottoscrivendo dei trattati infami, come il cosiddetto Patto di Stabilità, che solo delle persone estremamente ignoranti o irriguardose della Costituzione e dei diritti dei cittadini avrebbero potuto firmare.

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