Lobby del fracking dietro la COP 21?

Si chiama Suez Environment, smaltisce i reflui del fracking e ha denunciato l’Argentina per aver reso l’acqua pubblica. Identikit di uno sponsor della COP 21

Lobby del fracking dietro la COP 21

 

(Rinnovabili.it) – Qualcuno ricorderà la vergogna della COP 19 di Varsavia, sponsorizzata dalle lobby del carbone e del petrolio. Non si ripeterà più, dicevano. In effetti, la COP 21, per ora sarebbe sponsorizzata “solo” dalla lobby del fracking.

Accanto al gigante della moda Louis Vuitton, considerato dall’Osservatorio sulle multinazionali un campione di diseguaglianza salariale (l’amministratore delegato guadagna mediamente 77 volte un dipendente), ci sarebbe il nome di Suez Environment, membro chiave dei gruppi di pressione pro-fracking francesi.

 

Poteva essere anche peggio, perché non saranno in prima fila gli sponsor inizialmente annunciati dalla stampa (BMW, Vattenfall e New Holland Agriculture). Gli organizzatori della COP 21 hanno negato il sostegno diretto di questi campioni del nucleare, del carbone e dell’agricoltura intensiva, che però hanno piazzato il logo sul sito della COP, e qualche cosa questo vorrà pur dire.

Non era un segreto che l’evento sarebbe stato sponsorizzato dalle multinazionali: già a novembre 2014 il governo francese annunciava un taglio al bilancio pubblico, e pertanto diventava necessario guardare alla partnership con il settore privato. Tuttavia, prometteva che mai si sarebbe verificato uno scandalo come quello di Varsavia. Per trasparenza, hanno detto i funzionari, pubblicheremo l’elenco completo entro fine marzo. Siamo a fine aprile: qualcuno lo ha visto?

 

Lobby del fracking dietro la COP 21-Nel frattempo, invece, sono filtrate le indiscrezioni di un accoglimento della candidatura di Suez Environment, multinazionale francese e secondo fornitore di servizi ambientali al mondo. Il suo business è particolarmente incentrato sulle risorse idriche, spiegano dal Corporate Europe Observatory. Nel 2006 Buenos Aires aveva deciso, forte del consenso popolare, di ripubblicizzare il servizio di gestione dell’acqua, in quel momento nelle mani private di Suez Environment. L’azienda ha citato in giudizio, davanti a una corte di arbitrato internazionale, il governo argentino. Di recente ha vinto la causa, estorcendo un risarcimento di 405 milioni di euro ai contribuenti grazie alla clausola ISDS tipica dei trattati internazionali.

Oggi Suez Environment ha importanti linee di business aperte nel trattamento delle acque reflue, in particolare provenienti da miniere di carbone e pozzi di fracking. Un collegamento diretto con le più impattanti e climalteranti fonti energetiche. Se chiudessero le miniere di carbone e venissero fermate le trivelle per la fratturazione idraulica, probabilmente Suez Environment ci perderebbe. Senza contare che GDF Suez, altro colosso delle fossili, possiede più del 30% di Suez Environment. Questo potrebbe spiegare l’adesione dell’azienda alla lobby del fracking Centre for Non-conventional Hydrocarbons.

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2 Commenti

  1. Ancora una volta si cerca di impostare la cosa in modo fuorviante ed a mio parere sbagliato.

    L’attività di bonifica delle acque utilizzate in qualsivoglia processo produttivo, devono/dovrebbero essere riciclate e bonificate, allo scopo di renderle primariamente nuovamente riutilizzabili per la continuità dello stesso processo produttivo. E’ appunto il caso dell’attività di “fracking” idraulico che appunto necessita di ingenti quantitativi di acqua per l’estrazione dello “Shale-Gas” e “Shale-Oil”. Quindi, nulla di negativo se ad occuparsene è anche una società privata qualificata.

    Cosa c’è di sbagliato anche nel fatto (citato) dell’attività di gestione e distribuzione dell’acqua in grandi comunità (nell’articolo si parla dell’Argentina)? Proprio nulla, anzi, con tale prassi si ha la possibilità di una gestione più funzionale, diveramente dalle misere condizioni in cui si trova tale parallelo sistema, gestito dal pubblico nel ns. Paese. Perdite incredibili a causa della cattiva gestione delle infrastrutture e dei mancati investimenti nella manutenzione e nel rifacimento delle strutture stesse.

    Ah, già, ma qui si è giocato sulla speculativa impostazione che: … l’acqua è un bene pubblico – ovviamente e vorrei anche vedere che non lo fosse! – ma un conto è la “proprietà ed un altro è la gestione della sua distribuzione, che deve essere la più efficace possibile!

  2. Ovviamente un portabandiera del carbone non poteva che essere favorevole alla gestione privatizzata dei beni comuni, ad un sistema antidemocratico come l’arbitrato internazionale e a una pratica impattante come il fracking.

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