Microplastiche nel Mediterraneo, picchi nelle acque di Napoli

Nuovo studio di Greenpeace, Cnr-Ismar e Univpm: nel Mare nostrum livelli di inquinamento paragonabili a quelli presenti nelle grandi isole di plastica del Pacifico

Microplastiche nel mediterraneo

I primi risultati dello studio sulle microplastiche nel mediterraneo

(Rinnovabili.it) – I dati sull’inquinamento marino da plastica spaventano facilmente quando si guarda macro fenomeni come il Pacific Trash Vortex, l’immensa isola di spazzatura formatasi nell’Oceano. Ebbene, i livelli di microplastiche nel Mediterraneo sono paragonabili a quelli rinvenuti nei patch pacifici. Lo rivela un nuovo studio redatto dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova (ISMAR), dall’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e da Greenpeace Italia. Durante il tour “Meno Plastica più Mediterraneo” sulla nave ammiraglia dell’associazione ambientalista, gli scienziati hanno raccolto e campionato le acque nostrane, in 19 stazioni lungo la costa italiana, per valutare l’estensione dell’inquinamento da microplastiche nelle acque di superficie, la loro composizione e il livello di bioaccumulo nella catena alimentare. I campionamenti sono stati effettuati sia in zone sottoposte a un forte impatto antropico (foci di fiumi e porti) che in aree marine protette.

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Le prime analisi rivelano un quadro decisamente poco positivo e, per alcuni versi, facilmente prevedibile: in tutte le stazioni campionate è stata trovata la presenza di plastica. Per la precisione, lo studio riporta un valore medio di 0,52 oggetti su metro cubo (più alto di quanto stimato in precedenza), con un valore massimo di 3,56 oggetti / m3 registrato alla stazione di Portici (Napoli). Al contrario, la concentrazione più bassa (0,06 og. / m3) appartiene alle acque di Capo Rizzuto.

“I risultati – spiega Francesca Garaventa, responsabile CNR-Ismar dei campionamenti – indicano che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento. Infatti, nella stazione di Portici (Napoli) zona a forte impatto antropico, si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo ma valori non molto inferiori – 2,2 – si trovano anche alle Isole Tremiti”.

I valori medi delle microplastiche nel Mediterraneo sono perfettamente comparabili ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con la profonda differenza che il Mare Mediterraneo è un bacino semi-chiuso, con un limitato riciclo d’acqua. In altre parole, l’accumulo è facilitato. Non solo. Lo studio ha identificato 14 tipi di polimeri differenti: la quota maggiore è rappresentata dal polietilene, seguito da polipropilene e viscosa. “I dati raccolti confermano che i nostri mari stanno letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica e microplastica, per lo più derivante dall’uso e dalla dispersione di articoli monouso” commenta Serena Maso, campagna mare di Greenpeace. “Per invertire questo drammatico trend bisogna intervenire alla fonte, ovvero la produzione. Il riciclo non è la soluzione e sono le aziende responsabili che devono farsi carico del problema, partendo dall’eliminazione della plastica usa e getta”.

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