La ricerca di giacimenti di petrolio minaccia il Mar Ionio

Un nuovo rapporto di Greenpeace lancia l’allarme: la ricerca di nuovi giacimenti di fonti fossili sotto i nostri fondali avviene ancora una volta con la tecnica dell’air gun

 giacimenti di petrolio

 

Il rumore generato dal dispositivo usato per la ricerca di giacimenti di petrolio è almeno doppio rispetto a quello del decollo di un jet

(Rinnovabili.it) – Greenpeace lancia l’allarme: i petrolieri italiani starebbero minacciando l’incolumità del Mar Ionio, in particolare le acque a largo di Santa Maria di Leuca, dove ricade la richiesta di prospezione presentata da Edison S.P.A. La zona in questione è classificata come EBSA (Ecologically or Biologically Significant Marine Areas) da parte della Convenzione sulla Biodiversità, identificazione che dovrebbe, almeno in teroria, presupporre una maggiore protezione e salvaguardia del suo ricco ecosistema marino. Qui, infatti, acque e fondali ospitano specie preziose, dalla foca monaca ai coralli di profondità, dalla tartaruga caretta agli aggregati di spugne. In altre parole, un vero hot spot di biodiversità.

Qual è il problema? Le pratiche legate alla ricerca di nuovi giacimenti di fonti fossili e più precisamente la tanto criticata tecnica dell’air gun. Si tratta di un sistema per identificare i depositi di idrocarburi offshore che genera onde d’urto sparando bolle di aria compressa nell’acqua: la riflessione di queste onde permette di analizzare la struttura dei fondali marini.

 

Per cercare un giacimento sottomarino sono impiegate decine di air gun, a una profondità di 5-10 metri, producendo violente detonazioni ogni 10-15 secondi in modo continuato e per settimane. Queste attività hanno effetti ben precisi sulla fauna marina, invertebrati in primis, come fa notare lo stesso Ministero dell’Ambinete nel rapporto di valutazione 2018. Ma, come spiega Greenpeace nel rapporto “Troppo rumor per nulla”, il proponente avrebbe considerato trascurabili le conseguenze di questo “bombardamento”. 

 

“Ci sono Paesi che hanno vietato la ricerca, e quindi l’estrazione, di nuovi giacimenti fossili nei loro mari – dichiara Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia – Ultima in tal senso la Nuova Zelanda, che sta rinunciando a riserve infinitamente più consistenti di quelle presenti sotto i nostri fondali, pur di proteggere questi ecosistemi, il clima e ogni altra attività economica legata al mare e potenzialmente danneggiata dal petrolio. Cosa aspetta l’Italia a darsi un indirizzo conseguente con gli impegni presi in sedi internazionali come l’Accordo di Parigi?”

 

I danni all’ecosistema colpirebbero diverse specie animali e vegetali (tonni, pesci spada, squali, mobule, cetacei, tartarughe caretta), impattando anche habitat di profondità con organismi come coralli e spugne. Secondo l’associazione la richiesta da parte di Edison per sondare i fondali sarebbe lacunosa e proprio per questo l’associazione presenterà le sue osservazioni nel merito al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, per chiedere che questi meccanismi estrattivi cessino in queste acque. Questione viva in altri Paesi che hanno deciso di porre un limite alle attività estrattive.

 

 

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