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La produzione di energia da rifiuti nel rapporto ISPRA – Utilitalia

Nel Bel Paese, i 142 impianti di digestione anaerobica e termovalorizzatori operativi nel Bel Paese hanno prodotto 7,6 milioni di MWh, pari al consumo di 2,8 milioni di famiglie

rifiuti energiaUtilitalia, Boero: “Per trasformare i rifiuti in materia prima e seconda necessitiamo di più impianti”

 

(Rinnovabili.it) – Trasformare rifiuti in risorse ed energia significa anzitutto creare un sistema d’infrastrutture che ne permettano recupero, conversione, stoccaggio e messa in circolazione, ma servono anche organi di controllo trasparenti, un mercato di utilizzatori finali incentivati a scegliere prodotti ecologici nonché una comunicazione equilibrata sul tema: questi i punti di convergenza emersi durante la presentazione oggi a Roma del Rapporto sul recupero energetico da rifiuti in Italia realizzato da Utilitalia – Federazione delle imprese ambientali, energetiche e idriche, in collaborazione con ISPRA.

 

Il Rapporto Utilitalia – ISPRA ha censito 142 impianti si digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione e 37 inceneritori con recupero energetico ripartiti in maniera poco uniforme sul territorio italiano: dei primi, infatti, 92 si trovano nelle Regioni del Nord Italia, 19 al Centro e 31 al Sud; simile ripartizione per gl’inceneritori: 26 al Nord, 7 al Centro e 6 al Sud.

 

Un comparto che, nel 2017, ha generato complessivamente 7,6 milioni di MWh (di cui 6,4 milioni prodotti da inceneritori e 1,2 milioni da impianti di digestione anaerobica), pari al consumo di circa 2,8 milioni di famiglie, ma che soprattutto ha permesso di far calare il ricorso allo smaltimento in discarica al 23% del totale dei rifiuti raccolti (percentuale ancora troppo bassa se si considera che la normativa Ue prevede di scendere sotto quota 10% entro il 2035).

 

rifiuti energia rapporto utilitaria ispra

 

“In Italia la raccolta differenziata va molto bene, spinta da un’incisiva campagna di sensibilizzazione – ha spiegato Renato Boero, Coordinatore Commissione impianti Utilitalia – ma per trasformare i rifiuti in materia prima e seconda necessitiamo di più impianti. Le tecnologie attuali consentono la conversione di rifiuti organici e non organici in metano, biometano e compost di qualità. La termovalorizzazione è molto osteggiata in Italia: in realtà gl’inceneritori contribuiscono per meno dello 0,1% delle emissioni. C’è una sovraesposizione del problema”.

Dello stesso parere anche Filippo Brandolini, vicepresidente Utilitalia: “Questa forma di dibattito (ideologico) è essenzialmente italiano. Non si tratta di una discussione tecnico – scientifica, ma sostanzialmente di una politica. A livello d’informazione dovrebbe passare che gl’impianti di termovalorizzazione non sono incompatibili con il riciclo”.

 

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“Non si tratta solo di un problema di comunicazione: occorre ricostruire un sistema di fiducia verso il mondo produttivo – ha aggiunto Alessandro Bratti, direttore generale ISPRA – La sfiducia attuale ha diverse motivazioni: ad esempio le procedure di controllo non sono adeguate alle richieste delle comunità. Le imprese devono essere le prime a promuovere trasparenza e credibilità, collaborare con gli Enti normativi come l’ISPRA per creare sistemi di controllo di qualità. Abbiamo necessità di comunicazione, informazione, capacità di incontrare le richieste del pubblico, ma anche di analizzare i costi del sistema recupero, così come quello della creazione di un mercato interno che permetta il flusso regolare delle merci riciclate”.

 

Secondo il presidente di COREPLA, Antonello Ciotti, al momento la gestione dei rifiuti non prevede alternative oltre all’investimento in termovalorizzazione o al conferimento in discarca: “Rifiuti zero è un obiettivo cui tendere ma non attuabile attualmente; altrettanto la sostituzione di tutti i prodotti a base fossile con altri a base bio: per esempio le bioplastiche non sono biodegradabili in natura, hanno una permanenza simile a quella delle normali plastiche – ha spiegato Ciotti – La sfida per l’industria è creare imballaggi che consentano ai prodotti, specie quelli alimentari, di essere a disposizione più a lungo e alla filiera del recupero di riciclarli sempre più efficientemente”.

Una sfida industriale, ma anche e soprattutto politica, come spiega in chiusura lo stesso Ciotti: “Se pensiamo che, ad esempio, il riciclo attuale di plastica si stanzia sulle 3-400 mila tonnellate annue, rispetto ai quasi 9 milioni di tonnellate prodotte, mentre l’Ue ci chiede di arrivare al 50% (quindi oltre 4 milioni di tonnellate) entro il 2025 capiamo che serve un impegno istituzionale fortissimo per fare sì che l’economia circolare non rimanga un semicerchio”.

 

>>Leggi anche Inceneritori sì o no? È scontro sulla gestione dei rifiuti<<

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.