Barriera corallina: surriscaldamento e acidificazione la potrebbero far sparire entro il 2100

Una nuova ricerca presentata all’Ocean Sciences Meeting 2020 di San Diego evidenzia gli impatti devastanti del climate change sulla vita marina, prevedendo la quasi completa estinzione della formazione tropicale entro il 2100

barriera corallina
By Toby HudsonOwn work, CC BY-SA 3.0, Link

 

 

Nuovo allarme per il futuro della barriera corallina

(Rinnovabili.it) – La barriera corallina ha gli anni contati. È lo stress termico a degradarla e una ricerca presentata il 17 febbraio all’Ocean Sciences Meeting 2020 di San Diego, in California, ha condiviso previsioni sconfortanti per gli habitat legati ad essa. Nei prossimi vent’anni, a causa dell’aumento delle temperature degli oceani, della loro acidificazione, dell’inquinamento e della pesca eccessiva, è prevista una riduzione della barriera corallina dal 70 al 90% in tutto il pianeta. Ma la ricerca ha fatto previsioni fino al 2100, quando questi ecosistemi marini fondamentali potrebbero addirittura scomparire del tutto. 
I progetti di ripristino possono fare poco o nulla in questo senso, spiegano i ricercatori. Alcuni gruppi, infatti, stanno tentando di frenare questo declino trapiantando coralli vivi cresciuti in un laboratorio in barriere morenti. Purtroppo gli attuali trend di degrado ambientale stanno facendo scomparire gli habitat adatti.
Renee Setter, biogeografo dell’Università Manoa delle Hawaii, presentando le nuove scoperte ha sottolineato che “cercare di ripulire le spiagge è fantastico, cercare di combattere l’inquinamento è fantastico. Dobbiamo continuare quegli sforzi. Ma alla fine combattere i cambiamenti climatici è ciò di cui abbiamo bisogno al fine di proteggere i coralli”. Sono le acque più calde a logorarli, inducendoli a liberare alghe simbiotiche che vivono al loro interno. Questo processo, chiamato “sbiancamento” proprio perché li rende bianchi, è sempre più comune a causa dei cambiamenti climatici ed espone le barriere a un alto rischio di morte. 

 

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Nella nuova ricerca Setter e i suoi colleghi hanno mappato le aree oceaniche in cui ora sono presenti i coralli e che potrebbero essere adatte agli sforzi di ripristino della barriera corallina. Per farlo hanno simulato condizioni ambientali oceaniche come la temperatura della superficie del mare, l’acidità dell’acqua, l’inquinamento e la pesca. Per ricreare l’impatto dell’inquinamento e della pesca i ricercatori hanno considerato la densità della popolazione umana e l’uso del suolo nelle aree studiate creando così delle proiezioni sulla quantità di rifiuti che verrebbero rilasciati nelle acque circostanti.

Il risultato della ricerca è chiaro: la maggior parte delle aree dell’oceano in cui oggi esistono le barriere non saranno habitat adatti alla vita dei coralli entro il 2045 e la situazione peggiorerà sensibilmente al 2100.

 

Anche l’introduzione di coralli giovani in barriere morenti non sembra la soluzione, infatti l’aumento delle temperature e l’acidificazione degli oceani hanno già causato danni così estesi alla barriera corallina in tutto il mondo che non sono rimasti molti luoghi adatti alla reintroduzione. ”Onestamente, la maggior parte dei siti sono fuori”, ha affermato Setter. Secondo la ricerca i pochi siti che rimarranno vitali entro il 2100 includono solo piccole porzioni della Bassa California e del Mar Rosso, che non sono ideali per le barriere coralline a causa della loro vicinanza ai fiumi.

La ricerca ha così evidenziato gli impatti devastanti che il surriscaldamento globale avrà sulla vita marina e, sebbene l’inquinamento rappresenti una minaccia per tutte le creature oceaniche, ha sottolineato come sia proprio la barriera corallina l’ecosistema più a rischio a causa dei cambiamenti climatici. 

 

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