Rinnovabili • Vino biodinamico

Vino biodinamico, la viticoltura del futuro?

Il vino biodinamico è solo un prodotto di moda o realmente rappresenta una nuova sfida nell’ambito dell’agricoltura sostenibile?  Vini Bio e vini biodinamici sono la stessa cosa?

Vino biodinamico
Foto di David Köhler su Unsplash

                                  

L’enologia moderna si sta cimentando in una tendenza sempre più emergente nel settore della viticoltura sostenibile, ovvero il tentativo sperimentale per alcuni, ma il modus vivendi conclamato per altri di assecondare e adattarsi pienamente ai ritmi e ai cicli della natura, accettandone tutti gli imprevisti e i possibili limiti. Anche i sommelier e i degustatori più scettici dinanzi ad un calice di vino biodinamico stanno iniziando a rivedere le proprie posizioni, poiché ultimamente negli ultimi anni molte aziende produttrici hanno bollato alcuni loro prodotti vitivinicoli come “vino biodinamico” e svariati hanno ottenuto un’ottima risposta da parte di critica e consumatori, entrando nelle classifiche per le loro categorie

Matthew Waldin(giornalista free lance, esperto in vini biologici e biodinamici. Collaboratore di Decanter e di altre testate) nel 2004 ha scritto che più del 10% della produzione biologica è divenuta biodinamica. Si sono votate al biodinamico cantine con grandi nomi come i francesi Zind-Humbrecht, Domaine Leroy, Coulée de Serrant, Château La Tour Figeac, Domaine Huët et Chapoutier, i californiani Benziger et Fetzer e anche italiani. Anzi critici influenti nel determinare orientamenti di mercato dei migliori vini, come l’americano Robert Parker, non mancano di portare in palmo di mano il vino biodinamico e guarda caso hanno dichiarato che nelle loro vigne americane dell’Oregon seguono “gli scritti astrologici e omeopatici del famoso professore tedesco Rudolf Steiner”.

Il Dottor Rudolf Steiner, che non era né agronomo, né agricoltore, ma il fondatore dell’antroposofia, nelle sue conferenze di agricoltura biodinamica svoltesi  nel periodo di Pentecoste del 1924 a Koberwitz, Polonia, affermava che era necessario porsi domande e dare risposte sull’agricoltura come fonte di una nuova cultura, di un modo di vedere e osservare il mondo… per creare una nuova economia.

Quasi un secolo fa dunque, in un castello della Slesia già ci si interrogava sul futuro dell’agricoltura, sulla necessità di risanare la terra, di risparmiare le fonti di energia, di guardare alla salute dell’uomo e degli animali. Rudolf Steiner volle tenere questo corso dinanzi ad un pubblico di 130 agricoltori in una azienda  di 12.000 ettari, segno evidente che questo nuovo approccio era indirizzato e studiato non solo per le piccole realtà produttive ma anche per ogni agricoltore che avesse a cuore la vita della terra.

L’obiettivo ultimo era quello di poter fornire alimenti adatti a una umanità ed a un ambiente planetario sempre in evoluzione. Riuscire ad aver cura della terra per aver cura dell’uomo e viceversa. Mai come oggi, tali postulati si rivelano di una attualità impressionante. Con il metodo biodinamico, l’agricoltura è in sintonia con la natura, con la terra e con gli uomini.

La concimazione, la coltivazione e l’allevamento sono attuati con modalità che rispettano e promuovono la fertilità e la vitalità del terreno e allo stesso tempo le qualità tipiche delle specie vegetali e animali.

Il profondo legame con la natura e il completo rispetto dei suoi ritmi portano, con l’agricoltura biodinamica, ad abolire l’utilizzo di fertilizzanti minerali sintetici e di pesticidi chimici, e a gestire il terreno seguendo i cicli cosmici e lunari. Secondo il metodo biodinamico, la fertilità e la vitalità del terreno devono essere ottenute con mezzi naturali: compost prodotto da concime solido da cortile, materiale vegetale come fertilizzante, rotazioni colturali, lotta antiparassitaria meccanica e pesticidi a base di sostanze minerali e vegetali.

Rendendo vitale la terra ed aumentandone l’attività biologica, le piante crescono in modo naturale, nutrite dall’ecosistema del suolo. In questo modo di fare agricoltura tutta la fattoria si comporta come un organismo vivente complesso, un unico sistema senza input esterni, in cui le relazioni si bilanciano tra loro.

L’agricoltura biodinamica ha dunque quasi cento anni di storia e si affianca ovviamente all’agricoltura biologica, dato che tutti i prodotti dell’agricoltura biodinamica devono anche essere certificati secondi le linee guida dell’agricoltura biologica, oltre che possedere una certificazione ad hoc, lo standard Demeter.

Si tratta  di un marchio internazionale che certifica la provenienza del cibo da metodi di coltivazione biodinamica. Di fatto costituisce l’unica garanzia che un vino, un cereale o un formaggio siano veramente prodotti seguendo i principi di questa ‘filosofia’ della coltivazione.

La filosofia biodinamica trova spazio anche nelle pratiche di cura dei vitigni: invece che combattere le malattie, si cerca di innescare le reazioni giuste che possano ricreare lo stato di salute e di equilibrio, ribaltando la logica dell’agricoltura industriale moderna che utilizza in larga parte antiparassitari, pesticidi, antibiotici.

In cosa un vino biodinamico si differenzia da un vino biologico?

Molti erroneamente pensano che si tratti della medesima cosa. In realtà le differenze sono sostanziali. I vini biologici non tengono conto della relazione tra cosmo e piante, alla base della filosofia Steineriana. I prodotti da agricoltura biodinamica sono dal punto di vista alimentare estremamente più ricchi. Sono alimenti che provengono da terreni in stretta connessione con l’ambiente. Energeticamente hanno una valenza maggiore non fatta di semplice composizione chimica, ma di relazioni più complesse.

Al lavoro iniziati da Steiner ha poi contribuito Maria Thun (1922 -2012) con il suo calendario biodinamico.

Tramite un’attenta osservazione dei cicli lunari decise di creare un calendario basato per facilitare e migliorare la coltivazione delle piante in relazione ai ritmi e alle forze cosmiche. Maria Thun osservò che la pianta sviluppa tutte le sue parti, radici, foglie, fiori e frutti, in relazione alla posizione della luna al momento della semina: quando la luna transita in determinati segni zodiacali è più probabile che la pianta sviluppi la parte radicale durante la semina o sviluppi fiori e/o frutti se la luna sta transitando in altri segni. Nel caso della viticoltura, il transito della luna in segni zodiacali di fuoco come Ariete, Sagittario e Leone indica il periodo più adatto alla vendemmia (frutta); i segni di terra (radici) corrispondono ai periodi ideali per la potatura; i segni d’aria quali Bilancia, Acquario e Gemelli, indicano periodi di riposo (fioritura), infine i segni d’acqua quali Scorpione, Cancro e Pesci indicano periodi favorevoli all’irrigazione.

Il vino, come prodotto del lavoro dell’uomo, può essere ottenuto tramite un’agricoltura biodinamica. Essa tra le altre cose, oltre al calendario biodinamico, prevede l’abbandono di concimazioni e trattamenti chimici e l’impiego di preparazioni organiche e di pratiche particolari, tuttora abbastanza controverse. I disciplinari che definiscono cosa è e come è fatto un vino biodinamico sono ancora in fase di definizione a livello europeo.

I princìpi dai quali non si può prescindere per attuare una viticoltura biodinamica

  • Ricreare l’humus nel terreno in cui vive la radice della pianta della vite.
  • Utilizzare il cornosilice (501), un preparato da spruzzo che concentra e potenzia le forze luminose proprie della silice e che regola la maturazione dei frutti.
  • Utilizzare il cornoletame (500), un preparato fondamentale nell’agricoltura biodinamica, che stimola e armonizza i processi di formazione dell’humus; esclude altresì i metodi di superconcentrazione, acidificazione, chiarificazione, ecc.

Ecco quindi le  preparazioni che sono alla base dell’agricoltura di Steiner. Esse sono numerate dal 500 al 507. La 500 e la 501 consistono nel riempire delle corna di vacca con escrementi della stessa (la 500) e con polvere di quarzo (la 501) e sotterrarli molto prima dell’uso. Tutte questa massa di corna vengono poi riprese e svuotate del contenuto che poi verrà mescolato con acqua calda che poi servirà per fare aspersioni sul terreno da coltivare biodinamicamente. Oppure, più semplicemente, le corna maturate sotto terra e dissepolte in tempi consoni, saranno distribuite ai viticoltori che vorranno produrre vino biodinamico. Essi le interreranno nei loro vigneti per appunto influenzarli cosmicamente. Perché proprio delle corna di vacca? Solo queste riescono a fare da “antenne” per ricevere le influenze cosmiche che poi si trasmettono al contenuto; con lo spargimento o risepoltura suddetti, il terreno si “rivitalizzera” e il prodotto-vino potrà ricevere la certificazione a pagamento di biodinamico. Le preparazioni dal 502 al 507, invece, sono basate su estratti di particolari piante inserite assieme a torba e letame in parti anatomiche di animali (crani, peritonei, e intestini) che dopo maturazione verranno distribuite in quantità omeopatiche ma “dinamizzate dall’acqua” sui campi in modo da far loro trasmettere le forze cosmiche e terrestri, che hanno captato, ai raccolti e da questi passare nei cibi di cui i “credenti” si nutrono.

Seguendo metodi biodinamici, dalla vite al vino, si raggiungono delle espressioni di maturità della frutta più o meno marcate a seconda della mineralità della terra, del clima, dell’annata e del timbro varietale ed aromatico della pianta.

L’uva trova così una maggiore potenzialità di espressione nella sua interezza; la complessità degli aromi e degli zuccheri viene fuori in una forma più completa e profonda. Detto in gergo biodinamico, le uve energeticamente hanno una valenza maggiore, che non è solo il risultato della semplice composizione chimica.

Le fermentazioni dei vini sono ottenute senza aggiunta di lieviti esterni, vengono rigorosamente utilizzati solo i lieviti già presenti sulle uve provenienti dalle vigne. Il calendario lunare viene seguito nella coltivazione delle piante e in cantina per i travasi e l’imbottigliamento.

I vini biodinamici hanno un carattere estremamente marcato e sorprendono sempre per la grande esperienza gustativa che offrono. Il vino biodinamico non necessariamente ha un gusto diverso rispetto ai vini che siamo abituati a degustare. Anche se in molti casi lo stile di vinificazione di molti produttori privilegia i profumi secondari (ossia fermentativi, riconducibili ai lieviti), nella maggior parte dei casi i vini biodinamici possono essere altrettanto armonici di quelli tradizionali. Tornando al calendario biodinamico, i periodi migliori per la degustazione del vino sembrano essere con una certa logicità quelli legati ai segni di fuoco (frutta) e d’aria (fiori).

Disciplinari ufficiali riconosciuti che definiscano cosa è e come deve essere fatto un vino biodinamico sono ancora in fase di elaborazione a livello europeo. Per questo l’argomento è particolarmente controverso e se ne parla molto in ambito enologico e tra le cerchie degli appassionati di vino.

Alcune associazioni ed enti hanno formulato delle regole che, pur partendo dai criteri del “biologico”, fissano limiti ancor più severi, soprattutto nella fase della lavorazione in cantina. E’ il caso, ad esempio, dell’associazione “La Renaissance d’Appellation” (nata nel 2008 in Francia ed ora presente anche in Italia) la quale, nella sua Carta di Qualità, esclude l’utilizzo di ogni varietà di additivi aromatici, di enzimi e batteri, di di zuccheri.

I migliori produttori di vino biodinamico

  • Coulée de Serrant di Nicolas Joly
  • San Fereolo di Nicoletta Bocca
  • Visciole, Cesanese del Piglio Jù Quarto
  • Redigaffi 1997 Tua Rita
  • Messorio 2004 Le Macchiole
  • Domaine Leflaive Montrachet Grand Cru
  • Il rosso Kurni dei marchigiani Casolanetti e Rossi di Oasi degli Angeli
  • Il friulano Stanko Radikon
  • Il toscano Fabrizio Niccolaini di Massavecchia
  • Il veneto Giampiero Maule
  • L’umbro Giampiero Bea
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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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