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Scorie in libertà, la storia del primo reattore italiano

Presentato a Torino alla XV edizione del Festival Cinemambiente, il documentario che indaga sulla storia del reattore di Latina

Al via a Torino il 15° Festival CinemaAmbiente, cento film che, a partire da stasera fino al 5 giugno, racconteranno i problemi ambientali del pianeta, dalla desertificazione, allo scioglimento dei ghiacciai, all’inquinamento, ai rifiuti.  Un festival cresciuto di importanza in questi quindici anni di pari passo con l’aumento dei problemi ambientali. Nel panorama quasi tutto internazionale non mancheranno le storie italiane, come quella della prima centrale nucleare italiana al centro del docufilm Scorie in Libertà di Gianfranco Pannone.

Era il 1963, in pieno boom economico, quando Enrico Mattei posa la prima pietra della prima centrale nucleare italiana. Allora si pensava che sarebbe diventato un impianto modello, basato su un progetto inglese, accolto da tutti con entusiasmo. A distanza di ventiquattro anni dal referendum del 1987, che sancì la fine del nucleare in Italia, il regista Gianfranco Pannone, allora membro del comitato antinuclearista locale, indaga sulla storia del reattore di Latina, seguendo le vicende ufficiali e politiche ma soprattutto parlando con gli abitanti del luogo e con quanti hanno avuto a che fare con la centrale.

Il film è girato in prima persona, con un ritmo serrato che alterna le vicende politiche attuali e passate, alle denunce che emergono in maniera inequivocabile.
Pannone sostiene che in questi cinquant’anni la gente del posto non si è resa del tutto conto della situazione, nonostante il diffondersi dei tumori alla toroide che risultano superiori alla media nazionale, fino ad arrivare alla presenza dei cosiddetti “pesci cinesi” che altro non sono che cefali cresciuti in maniera smisurata nelle acque del canale di scolo della centrale nucleare. “Non è stato facile realizzare questo film-denuncia – dice il regista – erano in molti a non volerlo”. Prima del disastro nucleare di Fukushima, tra Italia e Francia stava per partire l’accordo sul nucleare, quindi si può ben immaginare come potesse essere ostacolata un messaggio di questa portata. E forse anche la scelta di questo tema risente del clima recente; un clima spazzato via in poco secondi dallo tsunami giapponese che almeno in questo ha avuto un risvolto positivo.
Tuttavia contro ogni ipocrisia il film è venuto alla luce, con “uno sforzo che oggi mi rende orgoglioso e che spero venga apprezzato, anche perché la vicenda del nucleare, da noi non si è affatto conclusa. Un’ipocrisia per cui provo molta rabbia. Dalle parti di Latina si fa finta di niente, in barba alle scorie che lì rimarranno per migliaia di anni

La centrale nucleare di Latina all’epoca della sua costruzione era il reattore più grande in Europa con una potenza elettrica di 210 MW, funzionava a gas grafite ed era alimentato con uranio naturale metallico, controllato da un sofisticato (per l’epoca) sistema computerizzato. Ogni barra di uranio era lunga circa un metro ed aveva dieci centimetri di diametro. La centrale aveva complessivamente 2976 canali di combustione e di controllo. Fino al 1986 vi lavoravano 280 persone, dopo l’incidente di Chernobyl, ed il referendum, il reattore venne spento.

Anche a Latina, nel 1970, ci fu un incidente; un innalzamento della temperatura, come è accaduto in Giappone, ed un settore della sfera andò in fusione. Non ci fu fuoriuscita di sostanze tossiche ma tre operai rimasero contaminati. Tutti e tre morirono poco tempo dopo. Dal 1986 la centrale non produce più energia e nel 2000 la SOGIN (Società di gestione impianti nucleari) ha presentato il progetto di smantellamento. Attualmente l’impianto non contiene più combustibile nucleare, c’è però ancora tanto materiale radioattivo. I rifiuti radioattivi pregressi ammontano a circa 1200 metri cubi, di cui 300 metri cubi già condizionati, quindi idonei al deposito, e 900 metri cubi che vanno ancora condizionati.
All’interno c’è il reattore, dove ci sono ancora sistemi attivati. Ci sono i depositi di rifiuti radioattivi, uno è proprio vicino al reattore, un altro è in costruzione poco distante. I materiali sono lì da 30 anni ed è una situazione che richiede continua manutenzione. Oggi, presso la centrale, lavorano ancora 80 persone e i costi di manutenzione su impianti obsoleti sono altissimi, almeno 2 milioni di euro l’anno, che crescono sempre di più a causa dei ritardi dello smantellamento. Per condizionare tutti i rifiuti radioattivi ci vorranno almeno 10 anni, ma  è tutto subordinato alla fase successiva di stoccaggio, che come sappiamo pone enormi problemi su scala nazionale, per la scelta di un sito opportuno.  Sulle malattie tumorali non esistono degli studi ufficiali, cioè non esiste un’analisi epidemiologica specifica di quest’area ma il dato che emerge dalle testimonianze è allarmante. Vivere vicino alla centrale non è facile, qui ancora suonano le sirene anche se solo per prova. Non tutti si accorgono di questa vicinanza e l’estate la spiaggia poco distante si popola di bagnanti, proprio dove sfocia il canale dei “pesci cinesi”. L’acqua serve per diluire la radioattività e disperderla in mare. Tuttavia la formazione della barra sabbiosa di foce impedisce un deflusso continuo degli scarichi. Proprio qui, stazionano, ignari, gruppi di bagnanti ogni estate. Le autorità, come un mantra, assicurano sulla sicurezza e sulla mancanza di inquinamento, ma forse, come emerge dal racconto di Pannone, queste rassicurazioni non bastano.
È vero che la centrale ha portato benessere alla zona (durante la costruzione vi lavoravano 4000 persone), ma i rischi sono alti e soprattutto occulti, invisibili, impossibili da riconoscere e fronteggiare. La radioattività la respiri e le conseguenze le paghi a distanza di tempo. “Una storia – conclude il regista –  che ancora non è finita ma il problema non riguarda solo il nucleare, perché il nucleare è piuttosto lo specchio di un Paese dove i politici, ma anche tanta gente comune, non si sono posti alcuno scrupolo a fare man bassa del territorio, a Latina come nel resto d’Italia. Un Paese che deve prima o poi dovrà cambiare per non soccombere”.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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