Il biometano “made in Italy” può ridurre la dipendenza dal gas estero

Oltre 21mila posti di lavoro, milioni di tonnellate di CO2 in meno nell’atmosfera e 86 miliardi d’euro in ricadute economiche: la seconda giornata di Biogas Italy guarda nella futuro 2030 della filiera

biometano

 

Biometano ed esportabilità del modello italiano nella seconda giornata di Biogas Italy

(Rinnovabili.it) – La Strategia Energetica Nazionale (SEN 2030) regala al gas naturale il ruolo da protagonista. Peccato che il sistema nostrano sia alimentato prevalentemente con gas prodotto in Paesi stranieri e importato per mezzo di gasdotti internazionali o navi cisterna. Impostare un percorso di decarbonizzazione che faccia di questa fonte fossile il vettore irrinunciabile, aumenta necessariamente la dipendenza italiana dall’import. Non si tratta, però, di un destino inevitabile. Nel Belpaese esiste una filiera che potrebbe sostituire parte dell’attuale fabbisogno di gas naturale, incentivando occupazione e sviluppo sostenibile. Parliamo del contributo che può fornire il biogas, la cui industria italiana è oggi seconda in Europa e quarta a mondo. I massimi esperti del settore, nazionali ed internazionali,  si sono incontrati ieri e oggi a Roma in occasione di Biogas Italy 2018, il summit organizzato dal CIB– Consorzio Italiano Biogas. Un momento di incontro per studiare l’esportabilità del modello “made in Italy” ma anche per ricordare le potenzialità ancora inespresse.

 

“Il biogas – spiega  il Presidente del CIB Piero Gattoni – non è una bioenergia come le altre dal momento che, se “fatto bene”, non solo produce energia rinnovabile e programmabile, ma diventa anche uno strumento essenziale per decarbonizzare le pratiche agricole correnti, rendendo concreta la prospettiva di un’agricoltura carbon negative. Tutto ciò è perseguibile grazie alla maggiore capacità produttiva del suolo e a pratiche agronomiche che favoriscono lo stoccaggio del carbonio nel terreno”.

 

Con il biogas, ottenuto a partire dalla digestione anaerobica di biomasse agro-industriali, si può produrre fertilizzanti organici, elettricità e calore. E soprattutto si può ricavare il biometano da immettere direttamente nella rete nazionale, come la versione d’origine fossile. Ma perché questo accada deve essere completato il quadro normativo. Oggi gli operatori attendono l’approvazione del decreto Biometano Bis (in fase di valutazione da parte della Commissione Europea) che dovrebbe prevedere alcuni elementi fondamentali per il settore: la revisione dell’intervallo temporale per l’accesso agli incentivi, un target annuo minimo di immissione di biometano in rete e un sistema di contabilizzazione che valorizzi maggiormente i benefici ambientali prodotti dalla digestione anaerobica.

 

“Il varo del decreto biometano – aggiunge Gattoni – potrebbe gettare le basi per una forte crescita del nostro comparto e consentire alle nostre aziende di velocizzare il processo di decarbonizzazione dell’economia nazionale, nel rispetto degli impegni presi con gli Accordi di Parigi”.

 

Secondo gli studi di settore, l’Italia potrebbe arrivare a produrre 10 miliardi di m3 di biometano nel 2030, pari a circa il 15 per cento dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale cerando oltre 21mila posti di lavoro e generando ricadute economiche complessive di 85,8 miliardi di euro.

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