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Vestas, driver della sostenibilità mondiale

Quale sarà il ruolo dell’eolico nella grande sfida ai cambiamenti climatici? Quali le tendenze del mercato mondiale e come si svilupperà quello nazionale? Ci risponde il n.1 dell’area mediterranea, il Presidente Marco Graziano

V112 installation, Macarthur Windfarm, Australia (photo by courtesy of Vestas Wind Systems A/S)
V112 installation, Macarthur Windfarm, Australia (photo by courtesy of Vestas Wind Systems A/S)

 

(Rinnovabili.it) -La grande corsa dell’eolico mondiale è in pieno svolgimento.

Secondo il Global Wind Energy Council, la potenza istallata da fonte eolica nella sola Europa passerà, con una crescita regolare, dagli attuali 160,8 GW a 218,3 GW entro il 2020. In questo contesto il nostro Paese si trova a giocare un ruolo fondamentale e strategico, con grandi potenzialità derivanti dalla disponibilità della fonte e dal posizionamento geografico. Per fare il punto sulla situazione ne abbiamo parlato con Marco Graziano, Presidente della Vestas Mediterranean responsabile del sud Europa, ovest e nord Africa, Medio Oriente e America latina.

 

Presidente Graziano, la sua azienda è uno dei primi operatori al mondo, sicuramente il primo in Italia. Quali sono gli ingredienti di questo successo?

In effetti la Vestas è il leader mondiale nel settore eolico, con una copertura di circa il 17% del mercato globale. Un’azienda che è nata in Danimarca, cresciuta in nord Europa, ma che ha avuto la capacità, più di altri, quando la domanda è divenuta mondiale, di organizzarsi per penetrare nei mercati esteri. Attualmente abbiamo sedi in 65 paesi, ed in 35 di questi abbiamo istallato la prima turbina. Quindi direi che la realizzazione di una rete così capillare sia il primo ingrediente di successo della nostra attività.

 

E gli altri fattori che vi hanno portato ad essere leader mondiali?

Sicuramente la capacità di offrire ai nostri clienti un pacchetto completo: dallo sviluppo del sistema, alla produzione e fornitura delle macchine, fino al supporto al finanziamento, e questo spesso fa la differenza, agli occhi dei grandi clienti, tra la nostra azienda ed altri competitor.

 

Nell’ambito dei trend mondiali, come vede la Vestas il mercato italiano?

Per noi l’Italia è un mercato estremamente interessante e nel quale abbiamo sempre creduto. Siamo sicuramente il leader assoluto in questo paese coprendo circa il 40% del suo mercato.  E non è un caso che siamo l’unica azienda con una presenza industriale significativa grazie ad uno stabilimento di produzione a Taranto. Non solo: l’Italia è divenuta per noi anche la base per affrontare strategicamente i mercati nei paesi dell’area mediterranea.

 

Marco and boat closer

 

Mi faccia un esempio

Abbiamo istallato l’anno scorso una wind farm in Giordania da 117 MW, operazione completamente “made in Italy”, cioè sviluppata da project manager italiani e realizzata dall’industria italiana.

 

Quali strategie state seguendo per implementare il mercato italiano?

Lavoriamo con la maggior parte degli sviluppatori nel paese, che siano grandi o piccoli. Ciò significa gestire un rapporto commerciale capillare con gli operatori locali; oltre alla fornitura, offriamo loro anche innumerevoli servizi che, unitamente al brand autorevole dell’azienda, costituiscono una garanzia anche per gli aspetti finanziari dell’intervento.

 

V112 Hvide Sande, Denmark (photo by courtesy of Vestas Wind Systems A/S)
V112 Hvide Sande, Denmark (photo by courtesy of Vestas Wind Systems A/S)

 

Quindi un’attività di servizi che mi sembra stia crescendo parallelamente a quella di fornitura della tecnologia…

In effetti noi crediamo molto nell’attività di implementazione dei servizi, servizi intesi come garanzia, nel tempo, della qualità di ciò che istalliamo. La durata media di un impianto è di venti anni ed è molto importante, direi essenziale, garantire la produttività e l’efficienza delle macchine anche nel lungo periodo. Inoltre stiamo ampliando l’attività dei servizi non solo nei riguardi della flotta Vestas, ma anche nei confronti delle macchine prodotte da nostri competitor che non possiedono l’adeguata logistica per il mantenimento. In Italia abbiamo circa 4 GW di turbine istallate e di queste più di 1 GW non sono turbine prodotte dalla Vestas. E tutto ciò è molto apprezzato dai nostri clienti che non sempre ricevono lo stesso livello di attenzione dai nostri competitor.

 

Veniamo alla grande novità del mercato eolico italiano: l’imminente meccanismo delle aste pubbliche reintrodotto dal Decreto sulle FER diverse dal fotovoltaico.  La sua azienda vede questo sistema con potenzialità o limiti?

L’Italia è stato uno dei primi paesi in Europa a dotarsi del meccanismo delle aste ed attualmente è un sistema molto diffuso: nell’area che io gestisco il 70% del mercato è gestito attraverso questo meccanismo. Ma non possiamo parlare di uno standard in quanto le aste sono tutte diverse l’una dall’altra, con singole caratteristiche positive e negative. Quindi è difficile rispondere complessivamente alla domanda. Nello specifico: un aspetto positivo in Italia è la presenza del meccanismo denominato bottom price, cioè la determinazione di uno sconto massimo sul prezzo di partenza, anche se io non credo particolarmente negli incentivi in quanto non garantiscono le condizioni allo sviluppo regolare della nostra industria. Devo però ammettere che si tratta di un fattore di stabilità importante che crea fiducia per gli investitori e che consente, effettivamente, di produrre valori significativi come quelli della prossima asta italiana che riguarderà circa 800 MW. Un aspetto che mi piacerebbe vedere in Italia è una maggiore visione a lungo termine, basata su solide prospettive, fattore chiave, nel nostro settore, sia per gli investitori che per gli industriali.

 

Qual è, secondo lei, il ruolo della ricerca tecnologica nella corsa all’efficienza degli impianti eolici, e come la state affrontando?

La ricerca tecnologica è alla base della nostra attività. Ci troviamo a vivere una sfida continua per ridurre il costo di produzione dell’energia. E questo costo è determinato non solo dal costo delle macchine ma da quello dell’intero sistema, determinato da numerosissimi fattori, non ultimo il costo del finanziamento. Nello specifico la ricerca tecnologica si muove contemporaneamente su due livelli: la ricerca costante per migliorare prestazioni ed efficienza delle attuali macchine ed una visione più a lungo termine, direi nell’intervallo di circa 5 anni, che studia, in funzione delle future esigenze del mercato, nuove tipologie di impianti, nuove tecnologie, insomma cerca di dare risposte ad ampio respiro al trend di mercato.

 

V126 (v112 blades) Østerild, Denmark (photo by courtesy of Vestas Wind Systems A/S)
V126 (v112 blades) Østerild, Denmark (photo by courtesy of Vestas Wind Systems A/S)

 

Su quali tipologie di rotori state orientando maggiormente la vostra attività, sempre più potenti o più efficienti?

Direi entrambi gli obiettivi. Da una parte siamo consapevoli del limite di esercizio delle macchine con dimensioni sempre più ampie, limiti legati a condizioni ambientali e logistiche – oggi si realizzano pale di dimensioni che sarebbero state impensabili solo una decina di anni fa – ma contemporaneamente, come accennato, siamo consapevoli che questa corsa al gigantismo delle macchine stia raggiungendo il suo limite.  Stiamo quindi cercando anche altre alternative sviluppando nuove tecnologie, come macchine con quattro rotori, “concetto” appena lanciato dalla nostra azienda, o la possibilità di spostare a terra componenti sempre più consistenti di macchine per migliorare costi di istallazione e manutenzione.

 

La Vestas vanta anche “propri metodi di previsione della fonte” cosa significa?

Abbiamo tre centri operativi – in USA, Spagna ed India – che monitorano h24 le 33mila turbine istallate in 65 nazioni. Questa costante attività ci ha dato modo di creare una banca dati avanzatissima sulle condizioni meteorologiche mondiali e di produrre, per i nostri clienti, specifici modelli di previsione della fonte, modelli particolarmente utili per istallazioni in nuove aree geografiche.

 

Infine dottor Graziano. Siamo alla vigilia della COP22: quale sarà, secondo lei, il ruolo dell’eolico per conseguire gli obiettivi globali?

Importantissimo, anzi basilare. Mi trovi un Paese, oggi, che non abbia l’obiettivo minimo del 20% di rinnovabili per il 2020. E per ciò che attiene il nostro settore, esistono ancora nel mondo vaste aree interessanti per la produzione di energia dal vento. Ci sono poi altre considerazioni: nei Paesi dove si è istallato da tempo l’eolico, come in Italia ed in generale l’Europa, ci sarebbe tantissimo da fare nella riconversione degli impianti in quanto le prestazioni delle macchine attuali non sono certo paragonabili a quelle di 20 anni fa. Quindi un notevole mercato è costituito dalla necessità di riconvertire i vecchi siti con nuove tecnologie, potenzialità molto interessante sia dal punto di vista economico che produttivo per raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci siamo posti.

In questo quadro, però, non va dimenticato un limite tecnico per lo sviluppo delle rinnovabili: l’adeguamento della rete. Pensi che la Danimarca, in alcuni giorni, già produce il 100% di energia elettrica da fonte rinnovabile, ma riesce a farlo anche perché è dotata di una rete che è stata adattata alle caratteristiche tecniche di tale produzione.

Ritengo quindi indispensabile, se vogliamo davvero aumentare la percentuale da fonte rinnovabile, porre come nuovi obiettivi non solo l’incremento della produttività da rinnovabili, ma anche l’adeguamento della rete e dei sistemi di stoccaggio.

Questa è, a mio giudizio, la vera scommessa della COP22.

 

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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