Celle in perovskite, gli scienziati dell’OIST curano i punti deboli

Nuovi materiali e design ottimizzati migliorano la stabilità e la scalabilità del fotovoltaico di ultima generazione. Obiettivo finale, produrre moduli flessibili e trasparenti ad alta efficienza

 Celle in perovskite

 

I ricercatori dell’Okinawa Institute of Science and Technology University allungano la vita delle celle in perovskite

(Rinnovabili.it) – Le celle in perovskite costituiscono uno dei più prolifici filoni di ricerca nel fotovoltaico di terza generazione. In meno di 10 anni hanno raggiunto l’efficienza delle tradizionali tecnologie solari a costi ridotti. Nonostante ciò la distribuzione commerciale presenta ancora alcune sfide. Mentre in Germania la Oxford PV (spinoff della celebre università inglese) sta realizzando il primo sito produttivo di celle tandem silicio-perovskite, per portare sul mercato la versione “pura”, ossia priva dell’aiuto di altri semiconduttori, la tecnologia deve risolvere il suo principale punto debole: la bassa stabilità.

 

Tra gli studi impegnati nell’impresa, c’è anche quello condotto dalla Okinawa Institute of Science and Technology University (OIST) e pubblicato online su Advanced Functional Materials. Gli scienziati dell’OIST hanno compiuto notevoli progressi nel contrastare la degradazione delle celle in perovskite. Lo studio parte da un’evidenza nota, ossia che il materiale comunemente utilizzato in questi dispositivi, il biossido di titanio, offra bassa stabilità, limitandone la durata. I ricercatori l’hanno sostituito con diossido di stagno, un conduttore più resistente, ottimizzando nel contempo il design. Usando una tecnica comune nell’industria fotovoltaica chiamata deposizione per polverizzazione catodica (sputtering), i ricercatori sono riusciti a creare uno strato di trasporto di elettroni efficace dal diossido di stagno.

 

In questo modo le loro celle solari hanno raggiunto un’efficienza di oltre il 20 per cento. Per dimostrare la scalabilità di questo nuovo metodo, i ricercatori hanno poi fabbricato moduli solari da 5 x 5 centimetri con un’area designata di 22,8 centimetri quadrati, scoprendo che i dispositivi risultanti mostravano un’efficienza superiore al 12 per cento. I ricercatori hanno in programma di continuare ad ottimizzare il design con l’obiettivo di produrre pannelli fv su larga scala con maggiore efficienza e di sperimentare dispositivi solari trasparenti e flessibili. “Vogliamo ridimensionare questi dispositivi fino a raggiungere grandi dimensioni e, sebbene la loro efficienza sia già ragionevole, vogliamo spingerci oltre”, ha affermato il prof. Longbin Qiu, primo autore del paper. “Siamo ottimisti sul fatto che nei prossimi anni questa tecnologia sarà valida per la commercializzazione”.

 

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