Fotovoltaico in perovskite, dalla ricerca italiana moduli da record

Con l’utilizzo dei materiali bidimensionali, i ricercatori di CHOSE e TEI hanno realizzato i moduli di larga area con un’efficienza record di 12.6%

Fotovoltaico in perovskite, dalla ricerca italiana moduli da record

 

(Rinnovabili.it) – La ricerca italiana mette a segno un altro punto in campo solare, migliorando ancora le prestazioni del fotovoltaico di nuova generazione. L’ambito degli studi è quello rappresentato dalle ultime applicazioni delle perovskiti, ossidi di sintesi che in pochi anni hanno completamento rivoluzionato la tecnologia solare.

Ai maggiori progressi raggiunti nel settore, hanno contributo attivamente gli scienziati ricercatori del Polo Solare Organico (CHOSE) dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata. Ed è ancora qui che bisogna guardare, per cercare nuovi passi avanti.

 

I ricercatori del CHOSE, assieme colleghi dell’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Università delle Scienze Applicate di Creta (TEI), sono riusciti a segnare un record mondiale per il fotovoltaico in perovskite. Come? Creando il primo modulo di larga area (>50cm quadrati) con un’efficienza di conversione del 12,6%. Un risultato non da poco. Fino ad oggi le potenzialità delle perovskiti sono state dimostrate su celle da laboratorio di dimensioni inferiori a 1 cm2. Ottenere dispositivi con dimensioni “reali” ai fini della commercializzazione, è un processo ostacolato da diversi nodi, come la ricombinazione delle cariche e la diffusione degli ioni, dovute principalmente alle interfacce tra lo strato assorbitore di perovskite e gli altri strati che compongono la cella.

 

Fotovoltaico in perovskite, dalla ricerca italiana moduli da recordPer affinare il controllo delle interfacce, i ricercatori si sono affidati ai materiali bidimensionali, come il grafene o i composti affini, i cosiddetti Graphene & Related Materials (GRM). Grazie alla natura 2D e alle peculiari e modificabili proprietà elettroniche e chimiche, questi materiali permettono di modificare in maniera controllata lo spazio in cui si incontrano strato assorbente e strati di trasporto della carica. In altre parole “possono rappresentare la chiave di volta per gestire le proprietà dell’interfaccia senza modificare la composizione delle celle solari”, spiega l’ateneo romano in una nota stampa.

 

Il risultato è stato non solo migliorare l’efficienza del modulo, ma anche determinarne un aumento significativo sulla stabilità, una delle problematiche principali di questa tipologia di fotovoltaico. Infatti, i ricercatori hanno dimostrato che dopo 1.630 ore i moduli mantengono più del 90% dell’efficienza iniziale. “Aumentare la dimensione delle celle solari a perovskite – dice il Prof. Aldo Di Carlo del CHOSE, Università di Roma Tor Vergata – è critico. Accanto alla qualità dei materiali, è obbligatorio controllare l’uniformità della deposizione e la qualità delle interfacce su tutta la dimensione del modulo. Per questo motivo, l’introduzione di materiali 2D che consentono di controllare le proprietà delle interfacce e migliorano, allo stesso tempo, l’uniformità della deposizione è una strategia vincente che può essere facilmente scalata a livello industriale”.

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