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Verso il fotovoltaico organico

Sono sempre più numerosi i laboratori universitari, accademici ed industriali attivi nella ricerca e sviluppo di questa tecnologia di nuova generazione

Modulo dye solar cell semitrasparente su vetro sviluppato al Polo Solare Organico della Regione Lazio

Il fotovoltaico (FV) “organico” può racchiudere nella sua definizione varie tecnologie di cella solare di nuova generazione in cui la sostanza attiva che assorbe la luce è costituita da molecole basate sui composti del carbonio. In via di sviluppo in molti laboratori internazionali, sia universitari che industriali, sono le celle solari a pigmento (Dye Solar Cell, anche conosciuta come DSC o cella di Graetzel), le celle ibride, le celle solari organiche a piccole molecole e le celle solari polimeriche anche dette plastiche. Queste ultime due tecnologie hanno visto un rapido raddoppio delle efficienze su singola cella da laboratorio (più alte rispetto a quelle raggiungibili su moduli di larga area come in tutte le tecnologie FV) in cinque anni oltrepassando la resa del 8% nel 2010 in quattro laboratori industriali. Tra questi la Konarka Technologies ha anche reso disponibili a livello commerciale alcuni primi prodotti di moduli flessibili per applicazioni portatili di nicchia.

Il principio base per ottenere una corrente significativa da una cella organica quando viene illuminata consiste da una parte nella sintesi di opportuni pigmenti o polimeri che assorbano efficacemente lo spettro solare, dall’altro sull’(auto)organizzazione su dimensioni dell’ordine di una decina di nanometri (milionesimo di millimetro) di queste molecole foto-assorbenti con altri materiali (in etero-giunzioni, per esempio formando delle miscele) che “strappino” da essi (e poi trasportino) gli elettroni foto-eccitati. La nanostrutturazione (specialmente quella spontanea) o nanotecnologia entra dunque fortemente nella fabbricazione e nella fisica di questi dispositivi fotovoltaici di nuova generazione.

Gli strati attivi delle celle organiche o polimeriche sono delle pellicole sottilissime spesse meno di un millesimo di millimetro frapposti tra due elettrodi, di cui uno solitamente metallico e l’altro trasparente per fare passare la luce solare. La deposizione dei materiali in film sottili avviene a costi ridotti, sia in soluzione liquida come veri e propri inchiostri o attraverso semplici processi di evaporazione. È possibile quindi usare metodi tipici dell’industria della stampa. Inoltre il fatto che i processi non richiedono alte temperature e i materiali siano “plastici” rende la tecnologia adatta a produzioni su substrati di film flessibili aprendo opportunità diverse sia dal punto di vista delle applicazioni (immaginate tendoni, coperture, superfici curve fotovoltaiche) che di fabbricazione (es. stampa roll to roll tipica di una tipografia). Questo rappresenta un grosso driver per il futuro abbattimento dei costi del fotovoltaico. Per la tecnologia su flessibile una delle sfide più grandi è quello di sviluppare dispositivi che durino molti anni con barriere efficaci ed a basso costo contro l’ingresso di ossigeno e vapore acqueo che tendono a degradare i materiali. Gli sviluppi recenti anche su questo aspetto mostrano trends promettenti.

È di oltre 11% l’efficienza più alta riportata per le dye solar cells in laboratorio. Qui la parte fotoelettricamente attiva, spessa una decina di micrometri, è costituita da un pigmento che si ancora su di uno strato di ossido di titanio (TiO2) nanoporoso e da un elettrolita. Questi sono inserite a “sandwich” tra due vetri conduttivi trasparenti che sono anche degli ottimi incapsulanti. Il TiO2 è facilmente depositato da paste con la tecnica della stampa serigrafica con il design voluto su larghe aree ed è possibile sintetizzare una varietà di molecole di pigmento molto ampia e diversa influenzando sia la performance fotovoltaica che la colorazione. È proprio questa flessibilità nella deposizione e formulazione dei materiali che può rendere “fotovoltaica” una facciata colorata semitrasparente, molto attraente per l’integrazione architettonica nel Building-Integrated Photovoltaics (BIPV). Le DSC inoltre lavorano bene anche in luce diffusa ed ad angoli obliqui, proprietà che forniscono a questa tecnologia una produzione energetica integrata sull’anno vantaggiosa anche rispetto ad altre tecnologie a parità di Wp installati. Il potenziale per rendere facciate verticali generatrici di potenza elettrica e quindi contribuire al mix energetico di un edificio è grande. Le DSC vengono anche sviluppate su sottili lamiere metalliche che possono essere rese conformabili con superfici curve.

Celle solari serigrafate sviluppate al Polo Solare Organico della Regione Lazio

Numerosi sono i laboratori universitari, accademici ed industriali che sono attivi nella ricerca e sviluppo del fotovoltaico organico dato il grande potenziale di questa tecnologia di nuova generazione. Si ambisce inizialmente al matching della tecnologia con applicazioni e quindi mercati dove almeno al presente non si compete direttamente con la matura tecnologia convenzionale al silicio cristallino come in varie installazioni del BIPV architettonico  (es. facciate semitrasparenti) e nel flessibile/conformale/portatile. Per una sua commercializzazione, la ricerca si muove su più fronti. È  continuo lo sforzo per sviluppare nuovi materiali, incrementare le efficienze ed i tempi di vita, per lo sviluppo di moduli e pannelli di larga area con performance che si avvicinano il più possibile a quelle delle celle di laboratorio con tecniche di fabbricazione automatizzate, efficienti ed a basso costo.

Alla fine del 2006 è stato istituito presso il nostro Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università di Roma – Tor Vergata, il Polo Solare Organico della Regione Lazio (www.CHOSE.it) con l’importante contributo della Regione Lazio. L’obiettivo scientifico che caratterizza il progetto è lo sviluppo di tecnologie di produzione di celle fotovoltaiche basate su materiali organici od ibridi e su processi di fabbricazione innovativi. Le università di Tor Vergata, Ferrara e di Torino insieme con due grandi industrie quali la Erg Renew e la Permasteelisa hanno costituito recentemente il consorzio Dyepower con lo scopo iniziale della realizzazione di una linea pilota per la fabbricazione di pannelli di vetro fotovoltaici dye solar cell.

di Thomas Brown, Polo Solare Organico della Regione Lazio – CHOSE. Dipartimento di Ingegneria Elettronica, Università degli Studi di Roma- Tor Vergata


 

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.