UE, transizione energetica: è tutta una questione di risorse

Oltre alla quantità di risorse finanziarie, le tensioni in UE riguardano anche i criteri di ammissibilità e i limiti di finanziamento del Fondo di transizione equa, sul quale si giocherà il destino energetico di tutta l’eurozona.

Transizione energetica
Credits: Artur Szczybylo da 123rf.com

Tensioni a Bruxelles sul Just Transition Fund, il fondo per la transizione energetica per rendere l’Europa un continente climaticamente neutrale.

 

(Rinnovabili.it) – Si avvicina la data fatidica del 4 marzo, giorno in cui la Commissione Europea dovrebbe rilasciare ufficialmente la proposta di legge con cui sancire l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, permangono preoccupazioni circa le risorse europee per il fondo di transizione equa, Just Transition Fund, pilastro portante del Just Transition Mechanism volto a rendere più sicura la transizione energetica soprattutto per quei paesi fortemente dipendenti dal carbone e da altre industrie inquinanti.

 

La dimensione complessiva del fondo, pari a 7,5 miliardi di euro, ha infatti attirato molte critiche, soprattutto da parte delle categorie di settore. Luc Triangle, segretario generale del sindacato IndustriAll, ha dichiarato ad Euroactiv che le risorse europee finora stanziate “sono noccioline”. Nel frattempo, i colloqui sul bilancio a lungo termine dell’UE si sono fermati in seno al Consiglio Europeo proprio per l’insuccesso nella preparazione dell’accordo. Ciò è stato in gran parte dovuto al fatto che i cosiddetti net-payer (quei paesi che traggono dal bilancio comunitario benefici inferiori rispetto all’entità dei propri contributi, come Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia) hanno rifiutato di abbandonare le loro posizioni per avere un fondo di transizione energetica più ridotto.

 

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Nonostante questo, a febbraio la Commissione aveva fissato un nuovo budget di 7,8 miliardi di euro, riallocando risorse europee per a politica spaziale e la mobilità militare. Ma i leader dei paesi UE alla fine hanno respinto questo ricalcolo, a causa di preoccupazioni più urgenti, anche se le fonti di Euroactiv al Consiglio si aspettano che i nuovi colloqui tengano conto della volontà della Commissione di incanalare più denaro nella politica climatica. L’eurodeputato polacco Jerzy Buzek, uno dei primi sostenitori di una giusta politica di transizione, ha sottolineato che l’Europa “ha bisogno di nuovi fondi supplementari per non spostare i soldi da una parte del bilancio a un’altra”. Tuttavia, è probabile che, date le posizioni dei governi nazionali, eventuali aumenti del Just Transition Fund arriveranno effettivamente a spese di altre aree.

 

Ma non sono solo le dimensioni del fondo a creare tensioni. Infatti, anche i dettagli sui limiti di finanziamento e sull’ammissibilità delle richieste sono attualmente un problema per il Consiglio e la Commissione, provocando scontri.  Quando Buzek propose per la prima volta un fondo di transizione energetica alla fine del 2018, l’idea era quella di rafforzare le regioni carbonifere e indirizzare il finanziamento verso i paesi dell’Europa centrale e orientale. Durante la fase di redazione del Fondo, però, la Commissione decise di estendere i criteri di ammissibilità: non solo 10 Stati membri a basso reddito (coperti dal Fondo di modernizzazione del sistema di scambio di quote di emissione), ma tutti i 27 paesi dell’UE avrebbero avuto accesso al fondo di transizione equa. Ciò è accaduto dopo che i governi di Francia, Germania, Italia e Spagna hanno chiarito che non avrebbero sostenuto un budget che assegnasse una nuova tranche di risorse a un determinato gruppo di paesi.

 

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L’allargamento dei beneficiari dei finanziamenti ha però suscitato timori sulla portata delle risorse, specialmente per coloro che ne hanno più bisogno (ad esempio, Polonia e Repubblica Ceca). Per questa ragione, durante un viaggio a Varsavia, Elisa Ferreira, commissaria per la Politica regionale, aveva cercato di rassicurare il governo polacco sottolineando che l’UE avrebbe fatto in modo che la Polonia traesse “pieno beneficio” dal Fondo: “ricostruiremo, rinnoveremo e diversificheremo le regioni più dipendenti dai combustibili fossili”.

 

Nonostante questo, la nuova proposta del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, prevede che i finanziamenti del Just Transition Fund siano accessibili solo dopo la sottoscrizione dell’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. In caso contrario, si potrà accedere solo al 50% della dotazione prevista. A fronte di questa posizione, che ricalca molto quella del primo ministro francese Emmanuel Macron, il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha denunciato la “condizionalità politica” indicandolo come una cattiva tattica negoziale.

 

Ma oltre ai capi di governo, ci sono anche altri i nomi che entrano nelle dinamiche negoziali. Tra questi, quello dell’eurodeputata greca Manolis Kefalogiannis del Comitato regionale (REGI), che sarà la prima relatrice del fascicolo e la cui posizione sull’energia nucleare potrebbe confondere le acque dei negoziati. Le sue posizioni, infatti, vertono sulla necessità di non supportare l’atomo, in linea con quelle della Commissione Europea. Inoltre, sebbene non sia una parte ufficiale del conflitto politico, la Banca Europea per gli Investimenti è uno dei principali attori da tenere d’occhio, poiché sarà responsabile della gestione di circa 30 miliardi di euro degli investimenti promessi nell’ambito del Just Transition Mechanism. Nell’ambito del pacchetto di transizione energetica concordato l’anno scorso, infatti, la BEI ha deciso di aumentare il livello massimo di finanziamento dal 50% al 75%.

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