Moda sostenibile: proposta UK per fermare consumo usa e getta

Il Comitato per il Controllo Ambientale UK propone l’introduzione di una tassa di 1 penny per i produttori per ogni capo venduto, incentivi fiscali per le aziende e l’introduzione nelle scuole di corsi di cucito per rendere la moda sostenibile

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“Per rendere la moda sostenibile, l’approccio volontario non funziona, va sostituito con obiettivi ambientali obbligatori per tutti”

 

(Rinnovabili.it) – Cercare di rendere il più possibile il settore della moda sostenibile, cercando di porre fine alla cultura del consumo usa e getta. È quanto vorrebbe realizzare il Comitato per il Controllo Ambientale nel Regno Unito, che propone l’introduzione di una tassa per i produttori del mondo della moda, pari a 1 penny per ogni capo venduto, incentivi fiscali per le aziende che offrono servizi di riparazione per l’abbigliamento e l’introduzione nelle scuole di corsi di cucito e rammendo. Nel rapporto da poco pubblicato, infatti, il Comitato riferisce che l’industria della moda del Regno Unito emette più emissioni di carbonio del trasporto aereo e marittimo e ritiene che l’introduzione di tali misure potrebbero migliorare il riciclo in un settore che, nel solo Regno Unito, crea 1 milione di tonnellate di rifiuti ogni anno.

 

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Il nostro insaziabile appetito per i vestiti – ha dichiarato il parlamentare laburista Mary Creagh, che presiede il gruppoarriva con un enorme prezzo sociale e ambientale: le emissioni di carbonio, l’uso dell’acqua, l’inquinamento chimico e plastico stanno distruggendo tutto il nostro ambiente”. Il rapporto è il culmine di una inchiesta dei parlamentari sulla sostenibilità dell’industria della moda che, dopo aver raccolto le prove di 16 rivenditori, hanno scoperto che agli sforzi volontari per ridurre la loro impronta ambientale, è corrisposto un aumento delle vendite di 200.000 tonnellate dal 2012; in pratica, la gente compra e scarta vestiti più rapidamente che mai. Secondo il rapporto, infatti, in UK si comprano più vestiti per persona di qualsiasi altro paese in Europa: in media, i consumatori nel Regno Unito acquistano ogni anno 26,7 kg di abiti, rispetto ai 16,7 kg in Germania, 14,5 kg in Italia e 12,6 kg in Svezia. “Ogni anno – ha aggiunto Creagh – ci liberiamo di oltre un milione di tonnellate di vestiti, con 140 milioni di sterline che finiscono in discarica”.

 

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Enormi le implicazioni ambientali e sociali. Il rapporto stima che la produzione tessile generi 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno e dal 20% al 35% di tutte le microplastiche che finiscono nell’oceano. Per essere prodotta, una camicia e jeans (un chilogrammo di cotone) ha bisogno tra i 10.000 e i 20.000 litri d’acqua e spesso comporta gravi condizioni di lavoro, non solo nel Regno Unito. Diverse le società che sono state citate per non aver dato priorità alla sostenibilità, tra cui Amazon UK, Boohoo, Missguided, JD Sports, Sports Direct e TK Maxx. Altri, invece, sono stati elogiati per essersi maggiormente impegnati nella questione, tra cui Burberry, Marks and Spencer, Primark, Tesco e Asos, ma i parlamentari hanno notato che nel complesso l’approccio volontario non funziona e dovrebbe essere sostituito con obiettivi ambientali obbligatori per tutti i grandi rivenditori. Tra le proposte avanzate dal rapporto, ci sono anche la riduzione dell’IVA sui servizi di riparazione e l’introduzione del divieto di incenerimento o lo smaltimento in discarica di giacenze invendute che possono essere riutilizzate o riciclate.

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