Rinnovabili • Tutte le bugie sulle micro case

Tutte le bugie sulle micro case

Le micro case sono sicuramente super sostenibili. Ma architetti, psicologi e designers ci parlano dei problemi legati a questa scelta di vita

Tutte le bugie sulle micro case
Foto di WinnieC da Pixabay

(Rinnovabili.it) – Le micro case ultimamente ci vengono proposte come la scelta di vita più sostenibile in assoluto. Vivere in uno spazio minimo, rinunciando a tutti i vizi, gli sprechi e le contraddizioni della nostra società, riducendo al minimo il consumo di suolo e raggiungendo l’autosufficienza energetica di sicuro è una scelta green. Ma quanti riescono davvero ad affrontare tutti i sacrifici e le privazioni della vita in venti metri quadrati? Architetti, psicologi e designer hanno spiegato al The Globe and Mail” come le micro case creino problemi di tipo sociale e sanitario.

Quello che non ci dicono mai quando si parla di micro case

Wohnwagon, una mini casa off-grid con la fitodepurazione sul tetto

La prima delle bugie sulle abitazioni piccolissime è il fatto che resistere è quasi impossibile. La maggior parte dei proprietari di una casa container, di un micro loft o di una eco-cabin spesso ha un’altra abitazione ed utilizza quella minuscola per i weekend o le vacanze. Ad esempio Carrie e Shane Caverly, che hanno mostrato la loro mini abitazione in moltissimi programmi televisivi americani, hanno ammesso di aver abbandonato l’impresa e di essersi trasferiti in un appartamento dopo diciotto mesi. Molti tra i loro colleghi eco-minimalisti hanno ceduto alle comodità della vita in città, ma questo particolare viene omesso dai documentari per non danneggiare l’immagine vita perfetta in spazi ridottissimi.

Un altro problema legato alle micro case è dovuto all’incapacità degli esseri umani di sopravvivere in spazi sovraffollati“Tutti hanno bisogno del loro spazio”, spiega Dak Kopec, docente di design per la salute umana al Boston College. “La mancanza di spazio è stata collegata alla depressione, all’alcolismo e allo scarso rendimento scolastico nei bambini.”

La psicologa Susan Saegert, docente di psicologia ambientale presso la City University di New York, aggiunge: “Non riesco ad immaginare nessuno con bambini piccoli che non diventi pazzo in una mini abitazione”. All‘aspetto psicologico bisogna aggiungere quello sanitario: vivere in quattro in venti metri quadrati non può essere salutare. Nelle micro case manca la luce e l’aria fresca e se non vogliamo trovarci ad avere i problemi respiratori, le allergie e le patologie delle persone costrette in spazi minuscoli per motivi economici, dobbiamo ricominciare a pensare alle abitazioni delle giuste dimensioni.

Ecocapsule: la micro casa off grid arriva dalla Slovacchia micro case

Marc Davison, uno dei proprietari di una mini casa, ha affermato in un’intervista che vivere in uno spazio ridottissimo non ti permette mai di rilassarti, ogni operazione va pensata, ogni centimetro va calcolato. Per non nuocere agli altri componenti della famiglia ci vuole costante concentrazione. Ma dato che vivere in casa non dev’essere un lavoro, questo tipo di vita è adatta solamente a chi abita in zone calde e può passare la maggior parte del tempo all’aperto. L’esperimento californiano di Davison riuscì, mentre quello canadese si rivelò impossibile a causa del clima.

Un altro dei problemi taciuti quando si parla di micro case è la sistemazione. Quasi sempre queste case sono provviste di ruote, per essere spostate e non dover rispondere ai regolamenti edilizi. La verità è che trovare un luogo in cui “parcheggiare” la casa per lunghi periodi è davvero difficile.

L’avvertimento di chi ha provato le micro case

Travis Marttinen, proprietario di un mini appartamento in Ontario ci avverte. Vivere in spazi ridottissimi è davvero una scelta ecologica, etica e romantica. Ma non bisogna pretendere di vivere come prima. Siamo davvero disposti a semplificare radicalmente le nostre abitudini per fare questa scelta, possiamo rinunciare alla maggior parte dei nostri oggetti? Se siamo pronti a fare a meno delle nostre abitudini e di tutti i comfort a cui ci ha abituato la nostra epoca, è il momento di ritirarci in una tiny house.

Case mobili dall’anima green per cambiare città senza traslocare micro case
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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.