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Modulo Eco, quando la bioedilizia manda in pensione il riscaldamento

Il 19 dicembre 2016 alle 17.30, con una temperatura esterna di 0°C, all’interno di Modulo Eco si misuravano 16.5°C

Fotografia complessiva del Modulo Eco
Fotografia complessiva del Modulo Eco

 

Sono andata a visitare il Modulo Eco, a Parma, in un freddo pomeriggio prima di Natale. Avevo appuntamento con alcuni dei responsabili di questo progetto pilota e ricordo bene che la cosa che più mi ha colpita, entrando nell’edificio, è stato il tepore che ho sentito e il profumo di legno. Ho subito pensato che ci fosse il riscaldamento e invece…no! Una differenza di temperatura di oltre 16 gradi rispetto all’esterno, ottenuta semplicemente con una progettazione accorta, intelligente.

Se si parla di Modulo Eco non si può tralasciare il punto chiave che ha portato alla nascita di un edificio simile: la sostenibilità. Che significa? La prima definizione di sostenibilità, ufficiale e riconosciuta a livello internazionale, risale al 1987 in occasione del World Commission on Environment and Development (WCED) e detta: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Il documento derivante, noto anche come rapporto Brundtland (dal nome dell’allora presidentessa del WCED), non tratta dell’ambiente in quanto tale, ma del benessere delle persone e della qualità ambientale, ponendo l’accento sulla responsabilità delle generazioni d’oggi nei confronti di quelle future e sul mantenimento delle risorse e dell’equilibrio ambientale del nostro pianeta. In seguito, nel 1992, a Rio de Janeiro, venne redatta e firmata da 179 nazioni, tra cui l’Italia, l’Agenda 21: un programma operativo a sostegno dello sviluppo sostenibile in cui i Paesi firmatari si impegnano a ridurre l’uso di risorse naturali e la produzione di rifiuti. A questo protocollo d’intesa ne sono seguiti molti altri, a testimonianza del grande interesse che il tema suscita a livello mondiale. Il risultato consiste in un nuovo modo di intendere la progettazione, la costruzione e la concezione dell’abitare. In alcune zone d’Europa questo tipo di discorso è ampiamente sviluppato e attuato da tempo; in Italia, invece, le cose non stanno proprio così.

 

 

Sebbene siano numerosi gli impianti fotovoltaici che si vedono sui tetti, sebbene si cerchi di investire nell’energia eolica e in molti abbiano introdotto l’utilizzo di serramenti a tenuta stagna, la strada da percorrere è ancora lunga. In quanti sanno che cos’è un triplo vetro o hanno un tetto verde sulla propria casa? E se parliamo di domotica? Quanti possono dire di vivere in una casa auto-sostenibile? E’ possibile creare e vivere in un edificio auto-sostenibile? Queste sono solo alcune delle domande senza risposta che hanno spinto, un paio di anni fa, un gruppo di giovani, appartenenti all’associazione culturale Manifattura Urbana a realizzare il Modulo Eco. Quest’ultimo, quindi, è figlio della volontà di coinvolgere persone e cittadini per trasmettere loro la sostenibilità dell’abitare. Quale modo migliore per spiegare il significato di sostenibilità e progettazione basata su materiali naturali e biodegradabili se non permettere alle persone di entrare fisicamente in un edificio ECO-sostenibile? Attraverso la realizzazione del Modulo Eco e l’organizzazione di eventi e seminari, i cittadini di Parma, ma anche coloro che si trovano a passare dal Piazzale della Pace, possono toccare con mano e provare sulla propria pelle il significato di un edificio sostenibile. Quindi sostenibilità attraverso il Modulo Eco va intesa come vivere in un ambiente fatto di materiali naturali, biodegradabili e riciclabili che un domani saranno facilmente smaltibili, senza impattare dannosamente sull’ambiente. Un altro punto importante di questo progetto è la didattica: dalla fase iniziale fino alla realizzazione e messa in opera, sono stati coinvolti studenti di geometra, architettura, ingegneria, ma anche volontari, e persone semplicemente interessate.

 

Sezione longitudinale del Modulo Eco con riferimenti dei particolari costruttivi.
Sezione longitudinale del Modulo Eco con riferimenti dei particolari costruttivi.

 

La struttura è stata assemblata in piccole porzioni in un magazzino e poi trasportata in Piazzale della Pace per l’allestimento finale. La scelta e la messa a punto dei materiali hanno richiesto particolare impegno, e questo per 2 motivi. In primo luogo, si cercavano materiali naturali o, comunque, che fossero il più naturale possibile; tale scelta infatti, oltre ad essere tema principale del Modulo Eco, garantisce a chi vive nell’edificio un ambiente salubre e tutta una serie di sensazioni che erano di particolare importanza per i responsabili. Il secondo motivo, che ha condizionato molto le scelte progettuali, è stato la disponibilità da parte di sponsor e  aziende di fornire i materiali gratuitamente o a prezzo di costo.

 

Fotografia dei materiali da parete usati in Modulo Eco.

 

 

La finitura esterna dell’edificio è in sughero Corkpan, tostato, pressato e poi fissato con viti. Il processo di tostatura termica permette la fusione delle resine naturalmente contenute nella corteccia, che agiscono da collante naturale aggregando i granuli di sughero e formando il pannello. Il risultato è un materiale altamente resistente a fuoco, acqua e umidità. Spostandosi verso l’interno si trova uno strato o “foglio” traspirante, impermeabile, che principalmente blocca aria e vento e protegge gli strati interni da eventuali infiltrazioni. Oltre il “foglio” si incontra il primo elemento strutturale, un pannello di OSB (Oriented Strand Board). Gli OSB sono materiali a base di legno costituiti da diversi strati, a loro volta composti da trucioli di legno prevalentemente lunghi e stretti (strand) e assemblati con un legante (colla). I pannelli di OSB sono periodicamente fissati da montanti lamellari, anch’essi con funzione strutturale. Proseguendo ancora troviamo un secondo pannello di OSB e tra loro si frappone della fibra di canapa con funzione isolante. Oltre il secondo strato di OSB è posto un pannello di fibra di legno e poi un altro “foglio” che blocca l’aria e rende il Modulo completamente isolato dall’esterno schermando eventuali spifferi. Infine un’intercapedine d’aria precede la chiusura del muro, ottenuta con un mattone in terra cruda, essiccata al sole, un intonaco e una finitura sempre in terra cruda.

 

Particolare costruttivo della parete esterna isolata con mattoni in argilla.
Particolare costruttivo della parete esterna isolata con mattoni in argilla.

 

 

Il tetto, articolato in sezione a tre falde con pendenze differenziate, come da particolari costruttivi, ha una falda a copertura della serra, una seconda falda a tetto verde (finito con terra e seminato per far crescere il “sedum”, una miscela di piante grasse) e una terza falda alla posa di pannelli fotovoltaici.

La costruzione del Modulo Eco è priva di elementi fondativi invasivi (per esempio cemento armato). Il piano d’appoggio è costituito da sacchi di Leca semplicemente appoggiati a terra. Sopra i sacchi di Leca è stata posizionata una struttura composta da elementi strutturali e isolanti come da particolare costruttivo in figura 8.

Gli infissi, in legno all’interno e alluminio all’esterno, hanno vetri doppi con interposto gas argon.

Il Modulo Eco è, quindi, un edificio auto-sostenibile, basato e costruito con materiali naturali, biodegradabili e/o facilmente smaltibili. I pannelli fotovoltaici, presenti su parte del tetto, producono 1kW di potenza; sufficiente per garantire l’illuminazione interna dell’edificio che richiede circa 200-300 Watt. La temperatura e la qualità dell’aria (VOC) dell’edificio sono costantemente monitorati e registrati per definirne la casistica sperimentale. Un impianto domotico permette di controllare, tramite un pannello a parete o da remoto (applicazione sul cellulare), l’illuminazione, la movimentazione delle tapparelle e, anche se non sono ancora presenti, l’impianto di riscaldamento e di sorveglianza.

 

 

 

Uno degli aspetti sperimentali più importante, come detto all’inizio, è la temperatura interna dell’edificio: il 19 dicembre 2016, la temperatura interna era naturalmente di 16.5 °C contro gli 0° C esterni. Questo grazie alla presenza di una serra posizionata in direzione sud che accumula calore e, grazie all’intercapedine d’aria predisposta nella struttura, lo convoglia nell’edificio, riscaldandolo a costo zero. In fine, sono state predisposte grate per la ventilazione meccanica controllata, fondamentali per il ricambio d’aria e per evitare il ristagno di umidità e la formazione di macchie e muffa.

A partire dai primi di marzo 2017 il Modulo Eco verrà trasferito in un altro quartiere di Parma, un parco in zona periferica per farne, molto probabilmente, una sala civica. La speranza è che questo padiglione della sostenibilità aperto al pubblico e a disposizione dei cittadini ormai da qualche mese sia in grado di offrire una possibile soluzione, un’alternativa sostenibile alla progettazione e all’abitare standard.

Dagli ottimi risultati già raggiunti da questo progetto pilota, c’è da augurarsi che altre iniziative di questo tipo vengano sviluppate in altri comuni italiani. Sulla base di questo esempio è possibile far maturare nella gente la consapevolezza della sostenibilità e che con queste modalità costruttive eco-compatibili, non solo è possibile costruire bene, ma anche recuperare l’immenso patrimonio immobiliare esistente. In un momento di crisi economica come quella attuale è bene che altri politici illuminati, come il sindaco Pizzarotti, si rendano conto che la sostenibilità può creare milioni di posti di lavoro e far risparmiare soldi e risorse.

 

di Alice Dimonte, Ing. Ph.D., IMEM – CNR

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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