Shigeru Ban torna a cimentarsi con l’architettura umanitaria

    L’architetto giapponese, esperto in architettura umanitaria e autore di un progetto anche per il terremoto dell’Aquila, lavorerà con l’ONU in un campo di rifugiati in Kenya

    architettura umanitaria
    Fonte: UNHCR

     

    Il progetto di architettura umanitaria lanciato dalle Nazioni Unite

     

    (Rinnovabili.it) – Considerato il guru dell’architettura in cartone, vincitore del Premio Pritzker nel 2014, il giapponese Shigeru Ban ha siglato un’intesa con le Nazioni Unite per la progettazione di 20 mila case per i rifugiati del campo Kalobeyei, in Kenia. L’insediamento ospita attualmente 37 mila persone, di cui 17 mila giunte solo nel 2017. I numeri, secondo l’ONU, continueranno a crescere, e c’è bisogno di soluzioni abitative funzionali per accoglierli. Shigeru Ban è un maestro nella cosiddetta architettura umanitaria: all’attivo ha progetti in Ruanda, Nepal e Italia, dove a seguito del terremoto dell’Aquila ha costruito una sala concerti con struttura in acciaio e cartone.

    In Kenya oggi ha l’opportunità di sperimentare nuovamente soluzioni architettoniche con materiali sostenibili: il progetto prevede la costruzione di ripari che non necessitino di supervisione tecnica, consentano una facile manutenzione da parte degli inquilini e utilizzino materiali reperibili localmente e rispettino l’ambiente.

     

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    Il cartone compresso, che ha caratteristiche sorprendenti, sarà sicuramente incluso nella scelta. Il design, inoltre, nelle intenzioni di Ban, dovrà rispettare le tradizioni locali e creare spazi familiari familiari adatte alla cultura e all’ambiente circostante. Ciò significa, in particolare, che dovranno adattarsi alle condizioni climatiche del Kenya, ma non solo: il cantiere dovrà essere partecipato, coinvolgendo le comunità di rifugiati e accogliendo i loro contributi nel processo di progettazione.

    I risultati saranno testati su 20 prototipi e, se risulteranno fattibili, saranno utilizzati per sostituire gradualmente le strutture esistenti, molte delle quali già cominciano a rovinarsi. La resistenza alle intemperie (sul Kenya si abbattono gravi alluvioni) e la durata negli anni saranno aspetti cruciali, dal momento che in media un rifugiato passa 16 anni nel campo di Kalobeyei.

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