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Asfalti gommati: sicuri, silenziosi e green

Le straordinarie frontiere del riciclo hanno portato alla messa a punto di un inerte che miscelato con l’asfalto è in grado di creare un manto stradale assolutamente innovativo

“Tecnologie innovative ecologicamente sostenibili per pavimentazioni stradali”. È questo il titolo tecnico del progetto più conosciuto come Tyrec4Life, un’iniziativa avviata nel 2011 con l’obiettivo di sperimentare tecnologie innovative in grado di estendere l’utilizzo del polverino da pneumatici fuori uso nelle pavimentazioni stradali. Presentato nell’ambito del Programma europeo LIFE Plus, Tyrec4Life ha un valore economico globale pari a 3,5 milioni di euro e si concluderà nell’arco di 3 anni, ovvero nel 2014. Realizzato con un grande contributo dalla Provincia di Torino, l’ente capofila, il progetto ha visto il coinvolgimento di vari partner coinvolti a vario titolo nelle attività; tra questi, anche il Centro di Ricerche FIAT che, nella persona di Salvatore Di Carlo, Direttore di FIAT Group Automobiles S.p.A., ci ha dato alcuni aggiornamenti in merito al progetto.

 

«Tutto è nato nel 2010, quando per la prima volta in Italia è stato realizzato un tratto della circonvallazione Venaria – Borgaro con un asfalto che aveva al proprio interno un polverino realizzato con gli Pneumatici Fuori Uso (PFU). Nello strato superficiale del manto stradale, infatti, quello che noi esperti chiamiamo “tappetino” cioè quello su cui scorrono le ruote, che ha di norma 3 centimetri di profondità, l’inerte utilizzato è stato appunto il polverino da pneumatico: granelli di pochi millimetri di diametro».

 

Di Carlo spiega che normalmente l’asfaltatura stradale è composta da vari strati, nei quali c’è sempre la presenza di un inerte, in genere una sabbia estratta dai fiumi. Il progetto ha voluto, invece, inserire come inerte proprio il polverino da pneumatici e arrivare a determinarne la miscelazione migliore per poter ottimizzare al massimo la resa durante l’utilizzo. Tanti i vantaggi legati a questa sapiente sostituzione, tra i quali un minore impatto ambientale, una migliore insonorizzazione del traffico su strada, prestazioni superiori alla guida e risparmi legati a una maggiore durata di questa tipologia di asfalto.

 

«Precisando che da un punto di vista estetico non c’è alcuna differenza con l’asfalto normale – spiega Di Carlo – va innanzitutto sottolineata una notevole diminuzione del rumore di rotolamento: il passaggio di un veicolo su un asfalto con polverino di gomma ha registrato 2 decibel e mezzo in meno di rumorosità rispetto al passaggio su un asfalto normale. Inoltre, la presenza della gomma ha un aspetto estremamente positivo nella durata dell’asfalto stesso, grazie alla sua capacità di assorbire le dilatazioni e le contrazioni dovute alle temperature esterne, durata che, secondo alcuni studi americani, è almeno 3-4 volte maggiore rispetto a quella normale. Migliora anche il grip di chi corre su un asfalto di questo tipo: c’è un’efficacia di frenata e di tenuta maggiore rispetto a quella registrata su un asfalto normale».

 

Prima ancora di tutto ciò, ha tenuto a precisare Di Carlo però, c’è la valenza ambientale del progetto: grazie all’impiego dei PFU, infatti, si può evitare di dragare i fiumi per il reperimento dell’inerte, utilizzato nella normale asfaltatura, e il polverino impiegato, oltre a migliorare la resistenza della strada, potrà essere riutilizzato come base per una nuova asfaltatura, una volta che la strada dovrà essere rifatta. Si tratta di sperimentazioni “nuove” per l’Italia, ma che in altri Paesi hanno già una loro storia.

 

«Già 20-30 anni fa gli Stati Uniti d’America, soprattutto in California, avevano iniziato a sperimentare questo genere di asfalti. Successivamente si è iniziato anche in Europa, soprattutto nei Paesi del Nord e con esperienze interessanti in Olanda, in Belgio e altri Paesi nordici, dove il problema del freddo invernale, e quindi del congelamento degli asfalti, è molto sentito».

 

Quella di Borgaro – Venaria (nella galleria fotografica, alcuni momenti della realizzazione del tratto di raccordo) è la prima sperimentazione di questo tipo realizzata nel nostro Paese. Adesso Tyrec4Life ha un obiettivo ben preciso da conseguire: realizzare altri 5 chilometri di manto stradale “gommato” in vari tratti di strade presenti sul territorio piemontese e testarlo in tutte le condizioni di traffico.

 

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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