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Car fluff: soluzioni per disegnarne il futuro

Per raggiungere i target europei previsti dalla Direttiva per il 2015, la categoria si unisce per migliorare la qualità degli impianti e individuare soluzioni adeguate per il trattamento del car fluff

car fluff(Rinnovabili.it) – La scadenza è ormai prossima: entro il 2015 il riciclo dei materiali recuperati dai veicoli a fine vita dovrà corrispondere al 95% del peso del veicolo stesso, ampliando il bacino d’intervento attuale con il recupero energetico del car fluff. Ma per intervenire in maniera sistematica sul problema ed essere certi di arrivare alla scadenza con successo, serve un’azione congiunta di tutti gli attori coinvolti nella filiera.

 

E’ proprio questo il fil rouge delle due sessioni del Convegno, organizzato dalle associazioni ADA e ASSODEM con la collaborazione di Rinnovabili.it, in occasione della manifestazione Ecomondo di Rimini. L’evento ha richiamato tutte le parti oggi attive nel dibattito sul riciclo delle auto a fine vita, quali i raccoglitori, i demolitori, i frantumatori ed i tecnici della termovalorizzazione, ed è stato soprattutto occasione per sancire ufficialmente l’unione tra le due più importanti associazioni del settore dei demolitori, ADA e ASSODEM, generando finalmente un organismo univoco con le caratteristiche e la forza necessaria per poter dialogare con le Istituzioni. Ad animare questa prima parte del dibattito e a discutere sugli obiettivi futuri e sulle sfide che dovranno essere affrontate sono stati Anna Perini e Rinaldo Ferrazzi, rispettivamente past President e Presidente in carica dell’associazione ADA, Anselmo Calò, Presidente di ASSODEM, e molti dei rappresentanti di categoria della filiera degli End of Life Vehicle (ELV), come UNRAE, CAR, ASSOFERMET, FEDERAUTO.

 

La tecnologia c’è, manca la norma

Ma come coprire il gap che ancora ci separa dal riciclo del fatidico 95% dei materiali provenienti dalle auto a fine vita e dallo sfruttamento ottimale del car fluff, chiesto dalla Direttiva europea? E’ questo un tema estremamente attuale, che ha risvegliato un attento dibattito durante la Tavola rotonda nella seconda sessione del convegno, richiamando sul palco l’esperienza e le competenze dei protagonisti del settore: insieme al Presidente Calò, Andrea Ramonda (FISE ASSOAMBIENTE), Franco Macor (AIRA) e Salvatore Di Carlo (FIAT Auto).

 

“La situazione non è poi così pessimista”, ha esordito Di Carlo, direttore di Fiat Group Automobiles. “Nel 2006 l’Italia era ferma solo al 70%  del riciclo della materia, con un procedimento d’infrazione avviato dal’UE  a gravare sulle sue spalle. Oggi gli obiettivi raggiunti ci parlano invece di un 84,8%, una percentuale che pone il nostro Paese in una posizione decisamente positiva”.

 

Una situazione di partenza attiva che conferma la capacità dell’Italia di raggiungere gli obiettivi prefissati in termini di riutilizzo dei componenti e soprattutto di riciclaggio meccanico dei materiali, alla quale si deve però aggiungere il processo di energy recovery dal car fluff, punto dolente della questione.

 

“Non si tratta però di un problema tecnologico – ha ribadito Andrea Ramonda di FISE ASSOAMBIENTE – il car fluff è uno dei pochi materiali speciali che oggi può essere trattato in ogni tipo di impianto per la termovalorizzazione ottenendo ottimi risultati, basti pensare che con circa 400.000 tonnellate di car fluff correttamente termovalorizzate, sarebbe possibile produrre circa 500.000 MWh di energia, sufficienti a soddisfare il fabbisogno di 130.000 famiglie. Il problema sta nel fatto che non tutti i termovalorizzatori nazionali possiedono il codice dedicato al car fluff e trattare rifiuti speciali in impianti nati per trattare rifiuti urbani, se dal punto di vista tecnologico non crea nessun problema, pone questioni di consenso politico”.

 

Grazie all’evoluzione tecnologica del processo di frantumazione, infatti, che ha portato ad una migliore qualità del car fluff, riducendo sostanzialmente la presenza di inerti e metalli nel composto, buona parte dei termovalorizzatori italiani oggi dedicati al trattamento dei rifiuti speciali sarebbero già in grado di recuperare energia dal car fluff, ma, nonostante ciò, non esiste ad oggi una normativa nazionale che estenda le autorizzazioni di questo processo a buona parte degli impianti.

 

“Non  serve dunque investire in termovalorizzatori dedicati” – ha sottolineato il Presidente di ASSODEM Anselmo Calò, “quanto piuttosto migliorare la qualità del fluff per renderlo sempre più gestibile, evitando così che trovi il suo sbocco all’estero”.

 

Possibili soluzioni

L’importanza del processo di smistamento e recupero dei singoli materiali di un veicolo a fine vita e l’intervento dei frantumatori che separano dal materiale avanzato (fluff) eventuali inerti e metalli è dunque l’aspetto forse più cruciale del problema, nonché la soluzione stessa.

 

“Il nostro compito – ha dichiarato in rappresentanza dei frantumatori  Andrea Macor, di AIRA – è estremamente importante e deve puntare a rendere il fluff sempre più “puro”, privo di inerti, vetro, o terra, per arrivare a rimuovere anche quell’1% di metallo ancora contenuto al suo interno e inviare al recupero energetico un materiale ottimo ed in buone quantità, riducendo al minimo il materiale di scarto da destinare in discarica”.

 

All’attuale Presidente di ASSODEM Anselmo Calò, il compito di giungere alle conclusioni. Tracciando una strada percorribile da oggi al 2015, le strategie da perseguire e i problemi da risolvere secondo Calò devono prevedere un adeguamento normativo, che estenda a buona parte dei termovalorizzatori la possibilità di recuperare energia dal car fluff, ed il relativo completamento dell’Accordo di programma, il miglioramento ulteriore della qualità del materiale estratto, con l’eliminazione di inerti e metalli dal fluff, ed, infine, la responsabilizzazione delle case automobilistiche verso un programma di riciclo a monte della produzione stessa del veicolo.

 

“Ciò che serve è un Project for Desmantelling delle case automobilistiche ha concluso Calò – ovvero un progetto a monte della produzione del veicolo, che possa tracciare l’ecologicità di ogni singolo componente, assicurando al momento della demolizione il massimo riciclo possibile di materia e di conseguenza il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Direttiva europea”.

 

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About Author / Alessia Bardi

Si è laureata al Politecnico di Milano inaugurando il primo corso di Architettura Ambientale della Facoltà. L’interesse verso la sostenibilità in tutte le sue forme è poi proseguito portandola per la tesi fino in India, Uganda e Galizia. Parallelamente alla carriera di Architetto ha avuto l’opportunità di collaborare con il quotidiano Rinnovabili.it scrivendo proprio di ciò che più l’appassiona. Una collaborazione che dura tutt’oggi come coordinatrice delle sezioni Greenbuilding e Smart City. Portando avanti la sua passione per l’arte, l’innovazione ed il disegno ha inoltre collaborato con un team creativo realizzando una linea di gioielli stampati in 3D.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.