”The Climate Project” è un’organizzazione mondiale che nasce dall’impegno in campo ambientale di Al Gore - per questo insignito del Premio Nobel per la Pace 2007 insieme all’IPCC dell’Onu - allo scopo di realizzare un’informazione chiara per tutti, ma rigorosa ed esaustiva, sul tema dei cambiamenti climatici. Abbiamo intervistato il suo responsabile italiano, il prof. Mario Alverà
Dall’iniziativa dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore è partito anche in Italia un road show basato su conferenze e sulla proiezione dell’ormai famoso film realizzato dallo stesso Al Gore, “Una scomoda verità”.
“The Climate Project” è oggi un’organizzazione che ha ramificazioni in tutto il mondo e in Italia è portato avanti dal professor Mario Alverà.
*Mauro Spagnolo – Professor Alverà, ci illustri le motivazioni, le idee e gli obiettivi del progetto che Al Gore sta portando in giro per il mondo.*
*Mario Alverà* – Deve esser chiaro che sì è chiusa bruscamente un’epoca. E’ come se si fosse sbattuta una porta dietro la quale lasciamo un mondo dove i combustibili fossili erano il motore di tutto. Altrettanto all’improvviso si è aperta un’altra porta su un mondo che deve cambiare mentalità, abitudini e che dovrà essere governato anche dal punto di vista della politica ambientale.
*MS – A suo avviso cosa ha spinto personalità del calibro di Al Gore ad impegnarsi in modo così totalizzante sul fronte ambientale, e cosa ha determinato la crescente esigenza di governanti e cittadini ad impegnarsi per limitare i danni del cambiamento climatico?*
*M.A.* – Questa era si è chiusa così in fretta non solo per l’allarme ambientale, ma anche per la disastrosa crisi statunitense, partita dal “caso mutui sub prime” ed è una situazione che sta trascinando tutti i paesi in un baratro finanziario ed economico. Aver concesso mutui al 100% per le case, con la convinzione che più se ne concedevano e meglio era, mettendo si nei conti che qualcuno avrebbe potuto avere problemi, ma nel complesso il sistema avrebbe potuto reggere. Insomma anche se c‘era una certa percentuale di rischio generale, si era convinti che il meccanismo, nella sua totalità, non avrebbe avuto problemi.
Ma si sbagliavano. E ciò ha provocato quello che Al Gore definisce “la chiusura brusca di un epoca”. E insieme a questo si è acuita una sensibilità per il problema ambientale, che già precedentemente era presente, ma che la crisi americana ha reso in qualche modo più visibile e che ha convinto che il modello di sviluppo fin qui seguito dal mondo occidentale non era più perseguibile.
*MS – E adesso quale strada va imboccata?*
*M.A.* – Chiusa di colpo una porta se ne è spalancata subito un’altra, su una nuova realtà, consapevole che i combustibili fossili non potranno durare all’infinito e che la concezione dello sfruttamento delle risorse naturali va ribaltato. Le fonti rinnovabili e le tecnologie eco-compatibili devono diventare il fulcro dello sviluppo e un nuovo modo di concepire il progresso.
*MS – Concretamente cosa dovrebbero fare Europa e Stati Uniti secondo “The Climate Project”?*
*M.A.* – Al Gore auspica l’attuazione di un piano energetico concordato tra gli Stati Uniti e l’Europa. Ma si deve trattare di un piano pragmatico e attuabile. Questa concretezza deve tradursi in impegni più a breve termine con una maggiore concretezza e realismo negli obiettivi da raggiungere.
L’Europa, ad esempio, deve dedicarsi a rinnovare la sua rete di trasmissione dell’energia elettrica perchè questo le consentirebbe di poter sfruttare varie tipologie di energia da fonte rinnovabile. Su questa rete europea potrebbe correre l’energia prodotta sfruttando il geotermico dell’Islanda, l’eolico del Mare del Nord e dell’Atlantico e il solare del Sahara.
*MS – C’è chi sostiene che, in Europa, le energie da fonti alternative si reggono soprattutto sugli incentivi e che senza questi non reggerebbero la concorrenza delle fonti fossili, soprattutto ora che c’è stato un forte calo delle quotazioni del petrolio.*
*M.A.* – E’ vero, c’è il problema dei costi. Oggi alcune tecnologie non sono ancora abbastanza competitive, cioè la loro efficienza non ha un adeguato rapporto con i prezzi. Ma come ci ha insegnato la legge Legge di Moore nel campo dei microprocessori, 40 anni fa’, le prestazioni dei processori sarebbero raddoppiate ogni diciotto mesi e i computer avrebbero dimezzato il prezzo ogni diciotto mesi. Cosa che si è puntualmente verificata. Quella era una legge commerciale e il fatto di averlo affermato e di aver messo in campo questo standard di sviluppo ha fatto sì che si avverasse perchè i produttori ci avevano creduto e ognuno di loro spinse in quella direzione per paura di rimanere indietro rispetto agli altri competitor. Questo ha consentito ai ritmi previsti uno sviluppo delle capacità dei processori e un calo dei prezzi. Analogamente dovrebbe avvenire per le tecnologie con cui viene prodotta l’energia da fonti rinnovabili. Debbono aumentare l’efficienza, diminuire i costi e divenire competitive.
*MS – Questo però è un processo che, soprattutto in uno scenario globalizzato come quello attuale, non può essere portato avanti solo da un paese o da una parte del mondo. Come vede, in questo senso, il futuro rapporto tra gli Usa e l’Europa?*
*M.A.* – Occorre che Stati Uniti ed Europa, come sostiene Al Gore, adottino di concerto un piano serio e concretamente attuabile. Il pragmatismo americano può funzionare da guida in questo. Oggi poi, con l’elezione di Barack Obama, la politica ambientale cambierà radicalmente e questa convergenza diventa praticabile.
Quando parlo di piano praticabile mi riferisco agli standard americani che sono caratterizzati da programmi a breve termine, con una possibilità di previsioni e di attuabilità maggiore, rispetto a programmi spalmati su venti-trent’anni che sono difficilmente controllabili, anche perché in un periodo lungo le variabili da controllare e quelle imponderabili aumentano.
*MS – L’Unione Europea oltre ad aver ratificato il protocollo di Kyoto e lavorare all’avvio del famoso pacchetto “clima-energia” 20-20-20, sta ultimamente spingendo per la tecnologia del Carbon Captare and Storage. Gli Usa invece sono su altra lunghezza d’onda, almeno fino ad ora…*
*M.A.* – Certo c’e una distanza di posizioni tra l’Europa e gli Usa sulle soluzioni da adottare, ma l’avvento di Obama potrà semplificare molto i rapporti e la collaborazione in questo campo. “The Cimate Project”, ad esempio, non crede che il Carbon Capture and Storage sia una soluzione realizzabile a breve termine. Sono ancora molte le sperimentazioni da compiere. Insomma è tutto da dimostrare che si tratti di una tecnologia davvero applicabile e che risolva il problema, anche perché vanno ancora studiati tutti gli effetti collaterali.
*MS – E nell’ambito europeo, come giudica la posizione dell’Italia?*
*M.A.* – In Italia siamo ancora indietro. Sappiamo che gran parte dell’elettricità viene prodotta con carbone, petrolio e gas. Ma anche nelle tecnologie siamo indietro, da questo punto abbiamo perso diversi treni. L’Italia è arretrata nella ricerca. Basti pensare che in Usa, alla GM, hanno progettato e realizzato un sistema eolico nel cui sistema di rotazione sono stati eliminati i cuscinetti a sfera. La rotazione è equipaggiata da un sistema di lievitazione magnetica. Oppure le pale ad orientamento variabile che, a seconda della direzione e della velocità del vento, cambiano posizione.
E’ evidente che in Italia siamo fortemente indietro. E per l’eolico succede un po’ quello che è successo con i pannelli solari, dove ad esempio la Germania è diventata un leader industriale e noi importiamo i loro prodotti.
D’altronde anche nel comparto dell’industria e delle tecnologie ambientali la storia si ripete. Per esempio, quando iniziò l’era industriale, l’lnghilterra fu la prima a sviluppare tecnologie e a realizzare un sistema industriale e questo le permise per qualche secolo di essere all’avanguardia e di svolgere un ruolo di primo piano nel settore economico. Chi iniziò molto più tardi si trovò in una situazione di handicap e non riuscì più a colmare il distacco. In Italia si sta verificando questa situazione di ritardo e forse ormai è già tardi per recuperare.
*MS – Quindi non vede uno sbocco per la ricerca o per l’industria made in Italy, nel settore delle rinnovabili?*
*M.A.* Noi siamo molto sensibili per l’edilizia energicamente autonoma ed eco compatibile. Ma c’è pochissima ricerca ed i progressi, e le conseguenti applicazioni, sono al di sotto di quanto succede negli altri paesi europei. Per esempio in Olanda stanno realizzando un palazzo “verde” in ogni città e questo permette di creare una vera e propria filiera che coinvolge Amministrazioni, progettisti ed industria, sviluppando un circuito virtuoso che produce reddito, ma anche nuovo budget per la ricerca.
*MS – Non ritiene ci sia bisogno di una maggiore cultura ambientale e, prima ancora, di un’informazione più completa e più diffusa?*
*M.A.* – Le abitudini individuali, il cosiddetto stile di vita, è importantissimo. E di fatti il road-show del nostro “The Climate Project” cerca proprio di divulgare il più possibile, studi, ricerche ed osservazioni che l’Ipcc dell’Onu pubblica ogni sei mesi. E cerchiamo di renderli comprensibili al maggior numero di persone. Infatti, per cambiare le proprie abitudini, l’individuo deve capire il motivo per cui deve farlo. Bisogna dunque mettere in grado chiunque di acquisire conoscenze adeguate, e quindi motivazioni, affinché modifichi il suo modo di pensare e di comportarsi. Solo così si riuscirà ad educare il cittadino anche a pretendere da chi lo governa ad adottare le misure che servono a combattere il riscaldamento globale. E’ un po’ la storia del buco dell’ozono. Una ricerca assidua da parte degli istituti di ricerca e degli scienziati, portò l’opinione pubblica ad avere una matura consapevolezza del fenomeno e a fare pressione sui governi affinché prendessero le opportune contro-misure. Ed oggi, grazie alla messa al bando degli agenti che provocarono il fenomeno (soprattutto i cosiddetti CFC, i cloroflorurocarburi), la situazione è decisamente migliorata.
*MS – Per la mobilità si parla di diverse soluzione, dal motore elettrico fino ad arrivare a quello ad idrogeno. Come sarà, a suo avviso, il futuro degli autoveicoli?*
*M.A.* – Il futuro più prossimo è nell’auto elettrica, quella più a portata di mano. Mentre negli Stati Uniti la ricerca sul motore a idrogeno è stata, per ora, accantonata. E’ una tecnologia che oggi pone problemi ancora non risolti. Un recente studio statunitense prevede che la propulsione ad idrogeno sarà una soluzione a lungo termine e che serviranno circa 70 anni per renderla sicura, applicabile e a prezzi competitivi.
*MS – parliamo più in dettaglio del vostro progetto e delle attività che avete in programma per il futuro.*
*M.A.* – Il nostro impegno è attualmente basato su un road show che stiamo effettuando per far conoscere il “The Climate Project” di Al Gore. È importante innescare un passa-parola per dargli la migliore diffusione possibile. Sappiamo che si tratta di un messaggio difficile ed in ogni paese c’è qualcuno che ci considera dei profeti di sventura. Ma, come non si stanca di ripetere Al Gore, bisogna convincerci e convincere che siamo entrati in una nuova era e che non è più possibile tornare indietro, anche perché il tempo a disposizione è ormai ridotto. I cambiamenti climatici rischiano di essere irreversibili e dovremmo quindi ascoltare quello che l’Ipcc ormai da tempo va dimostrando con il suo lavoro. Anche se c’è ancora qualche voce che insiste a sostenere che il riscaldamento globale ha una origine naturale e l’attività umana influisce solo per una trascurabile parte, va riconosciuto che non solo l’Ipcc, ma la stragrande maggioranza della comunità scientifica è di diverso avviso e l’esigenza di porre fine alle emissioni nocive nel più breve tempo possibile rimane un imperativo cui nessuno può sottrarsi.
*MS – Lei ha citato che l’elezione di Obama avrà ripercussioni di grande rilevanza anche per l’ambiente e le energie rinnovabili. Ci sarà spazio anche per Al Gore in questa trasformazione?*
*M.A.* – Posso solo confermare che Obama ha chiesto ad Al Gore di assumere l’incarico di responsabile per l’ambiente dello staff presidenziale. Ma Gore, non ha ancora preso una decisione in merito. Quello che possiamo ragionevolmente credere è che, qualora Gore rifiutasse, sarà lui stesso ad indicare al presidente il nome di una personalità di adeguato spessore e di alto profilo, per questo delicatissimo incarico.