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Biodiesel: una filiera sostenibile

Biocarburanti e trasporto pubblico urbano: insieme per l’ambiente. Durante il convegno dedicato all’utilizzo del biodiesel nel trasporto pubblico locale, tenutosi oggi al VEGA, Parco scientifico e tecnologico di Venezia, rappresentanti del mondo agricolo, istituzioni, aziende trasformatrici si sono confrontati sulle opportunità aperte dalla nuova normativa, che recepisce le direttive europee. Dal 2008, le compagnie petrolifere hanno l’obbligo (sanzionabile) di rispettare la quota del 2% di biocombustibili da miscelare ai carburanti tradizionali per autotrazione. Questa quota salirà al 3% già nel 2009. La Comunità europea prevede di salire al 5,75% entro il 2010.
Un’opportunità di crescita per il settore agricolo, soprattutto nel Nord- Est. Veneto e Friuli Venezia Giulia sono forti produttrici di derrate agricole, possiedono un efficiente sistema di produzione-trasformazione, dispongono di infrastrutture logistiche, di stoccaggio delle materie prime agricole e distribuzione di energia. Il Veneto, in particolare, lancia segnali positivi: le aziende agricole che coltivano cereali per usi energetici (colza, girasole, soia) sono passate in un solo anno da 54 ad oltre 1.000 e nel Friuli Venezia Giulia la situazione è altrettanto positiva. La filiera regionale o sovraregionale tra agricoltori, trasformatori e utilizzatori è di fatto già realizzabile.
Secondo i dati relativi ai consumi di carburanti nelle due regioni, nel Veneto nel 2010 serviranno 122 mila ettari per colture energetiche e 27 mila per il Friuli. Obiettivi raggiungibili, un quanto la nuova politica agricola comunitaria ha eliminato l’obbligo di mettere ‘a riposo’ il 10% dei terreni agricoli comunitari. L’utilizzo dei biocarburanti in miscela con il gasolio di origine fossile può contribuire allla riduzione dell’inquinamento da polveri sottili.
Una ricerca del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Padova ha dimostrato con una serie di test che l’utilizzo di una semplice miscela di un 30% di biodiesel e un 70% di gasolio, consente di abbattere le polveri ultrasottili (cioè inferiori al PM 10) fino al 30% e diminuisce del 35 – 40% i pericolosi idrocarburi policiclici aromatici.
Per incentiva l’uso di biodiesel, la CNA di Venezia in collaborazione con Cereal Docks – azienda vicentina che si è recentemente dotata di un nuovo impianto con una capacità di 150 mila tonnellate anno per la produzione di biodiesel – ha avviato una sperimentazione in collaborazione con l’azienda veneziana dei trasporti pubblici locali: i bus delle linee 13 e 18 saranno alimentati con una miscela biodiesel al 30% e gasolio. Un piccolo, ma significativo contributo all’abbattimento delle emissioni nocive.
Secondo la Presidente di Assocostieri, l’associazione nazionale di produttori di biodiesel, Maria Rosaria Di Somma, la scelta dei biodiesel rappresenta una soluzione da perseguire: è disponbile subito, non richiede modifiche ai motori degli autoveicoli, ha prestazioni analoghe al gasolio, un’elevata biodegradabilità, non compromette scelte future sulle energie alternative come l’idrogeno e sviluppa un circolo virtuoso tra i settori agricolo ed energetico e l’ambiente.
Quali sono allora i problemi da superare? Il costo ancora elevato dei biocarburanti, anche se il gap rispetto al petrolio si va riducendo. La soluzione? La defiscalizzazione del biodiesel italiano utilizzato nelle flotte del trasporto pubblico. Per il Veneto si è calcolato che l’utilizzo sui mezzi pubblici di biodiesel richiede un contributo annuale pari a 5 – 6 milioni di euro.
La defiscalizzazione potrebbe sostenere i prodotti di origine nazionale impegnati nelle municipalizzate, con particolare riguardo a dove il problema è più acuto e sentito: ovvero nei centri urbani. E, per quanto riguarda l’accusa che le colture energetiche ‘rubano’ risorse a quelle destinate ad usi alimentari, risponde così Mauro Fanin presidente di Cereal Docks azienda leader nel settore della trasformazione di cereali per uso alimentare: ‘Utilizzando la miscela al 30% di biodiesel servono circa 20 mila tonnellate di prodotto che corrispondono a circa 20 mila ettari di terreno: circa il 10% della superficie coltivata a barbabietole da zucchero di qualche anno fa e ampliamente sovvenzionata. Le colture energetiche non affamano il mondo: l’80% dei cereali continua ad andare al consumo alimentare’.
r.a.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.