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Energie rinnovabili per la climatizzazione: geoscambio in provincia di Venezia

Venerdì 29 ottobre all’auditorium della Provincia a Mestre si è svolto il convegno “Energie rinnovabili per la climatizzazione: geoscambio in provincia di Venezia. Sostenibilità e regolamentazione” organizzato dall’assessorato alla Difesa del suolo e Tutela del territorio in collaborazione con l’ordine dei Geologi del Veneto, il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, l’Ordine, la Fondazione e il Collegio degli Ingegneri di Venezia. Un convegno che ha suscitato molto interesse e che ha registrato oltre 300 partecipanti soprattutto tecnici ed esperti qualificati del settore. Presenti anche i componenti della terza commissione consiliare provinciale (Urbanistica, Beni ambientali, Tutela del territorio, Mobilità e Trasporti, Parchi e Riserve naturali).

«Porre l’attenzione sulla ricerca delle energie rinnovabili e del risparmio energetico è un obiettivo centrale della nostra azione amministrativa – osserva la presidente Francesca Zaccariotto – questo convegno è stato un tassello del nostro lavoro che si svilupperà anche con nuove iniziative. Circa un mese fa ho siglato un protocollo con la Direzione generale dell’Energia della Commissione europea al fine di ridurre le emissioni di gas serra nocivi del 20 per cento entro il 2020. La Commissione europea ha riconosciuto le Province come attori principali per il loro territorio nell’applicazione del Patto dei Sindaci, lanciato nel 2008 per impegnare le città firmatarie ad andare oltre gli stessi obiettivi dell’Unione europea nella riduzione delle emissioni di CO2».

Nel corso dei lavori sono stati resi noti i risultati dell’indagine compiuta dalla Provincia e conclusa lo scorso luglio “sull’idoneità al geoscambio” nel territorio provinciale. Si definisce idoneità al geoscambio l’attitudine del terreno a scambiare calore ai fini di climatizzazione degli adifici. “Più adatte” sono risultate le aree del portogruarese (comuni di San Michele al Tagliamento, Caorle, Concordia Sagittaria), una zona a Santa Maria di Sala, a Pianiga e a Chioggia.

«La geotermia oggetto del convegno svoltosi oggi – ha sottolineato Massimo Gattolin, dirigente del Servizio geologico e tutela del territorio della Provincia di Venezia – presenta comunque notevoli possibilità di crescita al di là della zona considerata. E’ una tecnologia già consolidata in molti paesi europei e negli Stati Uniti e in Italia sta suscitando un crescente interesse. In attuazione dell’art. 31 del Piano di Tutela delle Acque della Regione Veneto, la nostra Provincia si appresta a regolamentare le modalità costruttive e di autorizzazione degli impianti». Al convegno tecnici ed esperti hanno presentato alcune proposte di regolamentazione insieme ad un Progetto di ricerca affidato all’Università di Padova, con lo scopo di valutare l’idoneità del territorio ad ospitare impianti geotermici senza uso diretto di acqua di falda.

«Nel sottosuolo la temperatura cresce in media di 3 gradi ogni 100 metri – ha spiegato Paolo Spagna presidente dell’Ordine dei Geologi del Veneto -. Il calore della terra è quindi una grande fonte di energia naturale. Tuttavia i dati circa l’utilizzo della geotermia sono in Italia molto bassi: meno del 10% del consumo energetico complessivo, ovvero lo 0,6% del consumo totale di energia. Un valore decisamente basso rispetto al suo potenziale reale benché il mercato ci indichi una domanda in forte espansione. Oggi con circa 20 mila euro è possibile installare un impianto geotermico per riscaldamento e raffrescamento in un’abitazione di 150 metri quadri. L’investimento si recupera i 5/7 anni. Con lo stesso sistema – ha aggiunto il presidente Spagna – è possibile anche riscaldare serre, fare acquacoltura o utilizzarla per scopi industriali. La prospettiva a medio e lungo termine è di una forte espansione. Serve quindi un ulteriore sforzo da parte della politica affinché crei nuove basi legislative capaci di favorire questo sviluppo. Diventa anche decisivo il coinvolgimento delle categorie professionali esperte nello studio e nell’analisi del sottosuolo, nella progettazione degli impianti termici e nei problemi di salvaguardia dell’ambiente, per creare davvero le condizioni migliori per un reale sviluppo di questa risorsa, senza lasciarla all’improvvisazione del singolo».

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.