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Italia, emergenza energia

Il sistema produttivo italiano risulta oggi troppo costoso e vulnerabile a causa di un’eccessiva dipendenza energetica dall’estero

La questione energetica in Italia è stata recentemente riportata in primo piano dal Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola con affermazioni sul possibile rilancio del nucleare nel nostro Paese, e, cosa più importante, sulla necessità di un nuovo Piano Energetico Nazionale.
L’annuncio, forse un po’ ad effetto, ma comunque seguito dal parere favorevole di buona parte del mondo politico e industriale italiano, è il primo passo dell’attuale Governo nell’affrontare l’emergenza energetica.
Il sistema energetico italiano è da sempre intrinsecamente fragile per una cronica dipendenza dall’estero, vista la mancanza di consistenti riserve di materie prime nel nostro territorio.
La produzione nazionale di energia elettrica, in particolare, non solo avviene per più dell’80% con combustibili fossili, che devono essere quindi importati da Paesi esteri, ma non riesce neppure a coprire interamente la richiesta totale nazionale (consumi effettivi più perdite di rete).
Il bilancio elettrico ci dice che nel 2006 (i dati del 2007 e 2008 sono ancora incompleti e provvisori) sono stati importati da fornitori esteri 46.596 GWh, pari a ben il 14% della richiesta totale italiana di elettricità (GRTN-TERNA). L’acquisto diretto dall’estero risulta conveniente all’Italia attraverso un’elevata importazione notturna, soprattutto da Svizzera e Francia, quando cioè il surplus di energia prodotta dalle centrali nucleari transalpine può essere acquistato ad un costo relativamente basso.

Considerando quindi l’importazione sia di materie prime, sia di elettricità, l’Italia dipende dall’estero per ben l’89% del proprio fabbisogno energetico (valore dato dalla produzione termoelettrica più gli scambi di energia con l’estero).
Questa eccessiva dipendenza estera genera un sistema produttivo instabile e fortemente soggetto alle variazioni del prezzo del petrolio, perciò vulnerabile. Improvvise penurie nella fornitura dei combustibili o improvvisi aumenti dei prezzi degli stessi (le quotazioni del greggio si aggirano oggi attorno ai 140 dollari al barile) potrebbero paralizzare il Paese, come già avvenuto nell’estate 2003 con i blackout e come sta avvenendo oggi con la crisi nel settore dei trasporti.
Per capire le ragioni dell’attuale situazione, è utile ripercorrere gli ultimi 60 anni di storia della produzione energetica italiana.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in pieno boom economico e industriale, la risorsa idroelettrica, fino ad allora regina della produzione elettrica italiana, non fu più sufficiente a coprire l’aumento esponenziale dei consumi. S’incominciò allora ad investire molto sulle fonti fossili e principalmente sul petrolio, con l’affermazione nel mercato mondiale dell’Agip (divenuta poi Eni). La tragedia del Vajont nel 1963 decretò poi lo stop definitivo alla costruzione di grandi dighe in territorio italiano.
Nei primi anni ‘60 l’Italia incominciò a sfruttare anche la fonte nucleare e nel 1966 era già il terzo produttore mondiale di energia atomica, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.
Le crisi petrolifere degli anni ’70 (1973 e 1979) ebbero come conseguenza un primo tentativo di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico per svincolarsi dall’uso del petrolio. Nel 1975 venne varato il Piano Energetico Nazionale (PEN), che prevedeva una ripresa del carbone, un forte sviluppo della fonte nucleare e la crescita dell’acquisto di energia dall’estero.
Con il blocco del programma atomico italiano, dopo il disastro di Chernobyl nel 1987, la strategia per far fronte alle sempre maggiori incertezze economiche e geopolitiche legate al petrolio fu quella da un lato di intensificare l’uso del gas naturale, combustibile più sicuro da un punto di vista sia ambientale, sia economico rispetto a carbone e olio combustibile e dall’altro di aumentare ulteriormente l’importazione di elettricità.
La tendenza nell’immediato futuro è quella di continuare questa politica di approvvigionamento, ma con una maggiore diversificazione dei fornitori esteri per diminuire i costi e i rischi.
Oggi l’Italia è il quarto importatore mondiale di gas naturale (proveniente soprattutto da Russia e Algeria) e il secondo di energia elettrica (International Energy Agency, Key World Statistics 2007). Il gas naturale è la prima risorsa per la produzione nazionale di elettricità (50,3%), mentre le fonti rinnovabili tutte insieme rappresentano ancora una quota secondaria (16,6%) (GRTN-TERNA).

È vero che idroelettrico (11,8%) e geotermico (1,8%) sono già quasi interamente sfruttati sul territorio italiano e quindi offrono margini di crescita molto bassi. Altrettanto vero che la combustione di biomasse (2,1%) è limitata da impatti ambientali non trascurabili. Eolico e solare fotovoltaico, invece, che oggi danno un contributo poco significativo (0,9% e 0,001% rispettivamente), avrebbero le potenzialità per svilupparsi maggiormente.
In Italia, però, al contrario per esempio che in Spagna e in Germania, s’investe molto poco nelle energie alternative a causa probabilmente di leggi e obiettivi nazionali poco chiari. I potenziali investitori, visti i costi ancora elevati di queste tecnologie (specialmente del fotovoltaico) e non avendo normative chiare di riferimento, si fanno perciò scoraggiare dai forti rischi di aleatorietà nella produzione (sole e vento non sono costanti). Gli incentivi statali, elargiti con il famoso CIP 6 del 1992, si sono rivelati evidentemente insufficienti a far decollare il settore.
Il risultato del “mix energetico” italiano, troppo sbilanciato verso il gas naturale e l’importazione di energia estera, è un prezzo della corrente elettrica per gli utenti finali mediamente più alto che nel resto d’Europa. Nel gennaio 2007 l’elettricità costava in Italia, al netto delle tasse, 165,8 €/MWh per uso domestico e 98,3 €/MWh per uso industriale contro i rispettivi 120,5 €/MWh e 80,3 €/MWh della media europea (Aspo Italia).
La liberalizzazione del settore elettrico e la privatizzazione dell’Enel, avviate nel 1999 con il Decreto Bersani, avrebbero dovuto favorire il contenimento dei costi attraverso l’introduzione della libera concorrenza. In realtà il mercato elettrico italiano stenta a partire non solo perché l’ex monopolista mantiene ancora il primato sull’importazione delle materie prime, ma anche, e soprattutto, perché la mancanza di una chiara politica energetica nazionale ha limitato finora l’ingresso di nuovi attori.
Negli ultimi 20 anni, infatti, dopo l’ultimo aggiornamento del PEN (1988), in Italia non è stata attuata una reale pianificazione energetica. Si è preferito procedere con una serie di decisioni e provvedimenti poco organici tra loro e rispondenti più a logiche e umori del momento (lo stop al nucleare del 1987, per esempio), che a una gestione coerente dell’intero sistema.
Il PEN attuale è un documento superato perché si riferisce al quadro istituzionale e di mercato degli anni ‘70 e ‘80. Nel frattempo però lo scenario energetico nazionale (e mondiale) è mutato profondamente: il PEN non tiene per esempio conto del Protocollo di Kyoto e delle potenzialità delle energie rinnovabili.
In questa situazione confusa gli investimenti privati nel settore dell’energia sono ancora troppo scarsi. Le conseguenze sono un mercato elettrico con pochissimi concorrenti e quindi prezzi finali dell’energia ancora molto alti, e un insufficiente sviluppo delle fonti rinnovabili. Il sole e il vento sono le uniche risorse di cui godiamo in abbondanza e, se fossero sfruttate meglio e di più, permetterebbero di renderci molto meno dipendenti dall’estero (il nucleare non eviterebbe il problema visto che dovremmo necessariamente importare l’uranio).
Qualunque scelta si faccia nel futuro (ritorno al nucleare, incremento significativo delle fonti rinnovabili, politiche di risparmio energetico, eccetera), sarà necessario seguire un preciso piano di lungo termine che dia le regole di base per la gestione del sistema energetico. Solo così le singole scelte potranno risolvere definitivamente i nodi della questione energetica italiana. Le parole del Ministro Scajola sembrano andare, almeno in parte, in questa direzione.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
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Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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