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Nelle aree geotermiche una buona qualità della vita

E’ in linea con quello regionale il quadro sanitario della popolazione residente nei comuni geotermici della Toscana. E’ in estrema sintesi quanto emerge dalla ricerca epidemiologica sulle popolazioni dell’intero bacino geotermico toscano condotto dall’Ars (Agenzia regionale di sanità) Toscana con il supporto scientifico del gruppo di epidemiologi del Cnr (Fondazione Monasterio di Pisa). Lo studio è stato presentato oggi alle istituzioni e ai direttori generali delle Asl da Francesco Cipriani, direttore dell’Osservatorio di epidemiologia dell’Ars, alla presenza dell’assessore all’ambiente Anna Rita Bramerini.

L’indagine è stata condotta incrociando dati ambientali e sanitari relativi a 43mila abitanti dei 16 Comuni geotermici toscani. Di questi, 8 si trovano nella provincia pisana e senese e ospitano 26 centrali geotermiche; altri 8 s i trovano nella provincia grossetana con 5 centrali. La ricerca condotta come un’istruttoria epidemiologica ha evidenziato un numero limitato di indizi su cui focalizzare l’attenzione e quindi intervenire.

«Lo studio dell’Ars – sottolinea l’assessore Bramerini -, poderoso e importante perché uno dei primi completi che valutano la situazione sanitaria nelle aree geotermiche, evidenzia dati di salute rassicuranti, in generale in linea con l’andamento regionale. Emergono anche alcune criticità sanitarie che potrebbero far pensare a fattori ambientali più legati a caratteristiche territoriali tipiche delle aree montane e agli effetti della presenza di attivitàminerarie. Infatti, laddove è maggiore l’emissione di mercurio e acido solfidrico, e cioè l’area di Larderello, è minore l’insorgenza di malattie».

«E’ stato uno studio abbastanza lungo – ha spiegato Francesco Cip riani – che ha utilizzato tutte le fonti disponibili al momento su eventi sanitari relativi ai residenti nelle aree geotermiche, prendendo in esame tutti i loro atti sanitari indipendentemente dal luogo dove sono stati rilasciati. Dunque, si tratta di mortalità, ricoveri in ospedale, basso peso alla nascita, malformazioni e altre patologie con minore gravitàche non richiedono ricovero. Lo studio è descrittivo e va a cercare indizi e prove di eventuali rischi. Dall’insieme di tutte le analisi non emergono grandi differenze sullo stato di salute della popolazione residente nelle aree geotermiche rispetto a quella che vive nelle altre zone della Toscana. I pochi eccessi di malattie rilevati ci fanno pensare che siano imputabili alle occupazioni minerarie del passato o a stili di vita individuali piuttosto che alla geotermia. Semmai rimane da approfondire l’eccesso di malattie respiratorie acute e delle vie urinarie rilevato in alcuni comuni dell’area amiatina» ;.

Questi risultati sono peraltro coerenti con quelli di studi epidemiologici precedenti condotti dall’Asl di Siena con l’Istituto Superiore di Sanità, che avevano evidenziato livelli elevati di mercurio nel sangue e nell’urina di volontari residenti nell’Amiata senese e di arsenico nell’acqua di queste zone e che concludevano a favore di un legame con la presenza dei due metalli nel territorio naturale del monte Amiata, dove per decenni si è svolta l’attività minerararia, piuttosto che con l’attività geotermica.
Lo studio si conclude con la proposta di attivare iniziative di prevenzione mirate a ridurre alcune delle malattie risultate in eccesso nelle aree geotermiche, con particolare attenzione a quella amiatina.

«Lo studio condotto dall’Ars offre un quadro sanitario tranquillizzante», ha dichiarato l’assessore alla sanità Daniela Scaramuccia. Per quanto riguarda quelle criticità che pur emergono, sarà possibile affrontarle avviando uno specifico Piano di Salute con la collaborazione di molti attori. Sfruttando le risorse esistenti, pensiamo di intervenire con il supporto di un gruppo di lavoro multiprofessionale che metta insieme le competenze del mondo sanitario, ambientale e della società civile: partendo dall’azienda sanitaria locale, con i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, con i responsabili di zona e i nostri esperti».
La Regione Toscana organizzerà nelle prossime settimane incontri pubblici per presentare i risultati dello studio ai cittadini e lo stesso faranno le Asl del territorio con gli operatori sanitari della zona.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.