Rinnovabili •

Aree industriali sostenibili a confronto

La Nuova Ecologia applicata al settore industriale ha dato vita a diverse Aree Industriali Sostenibili, differenti in base alle esigenze ma impegnate nella riduzione dell'impronta ambientale

La profonda crisi ambientale che stiamo vivendo è più che mai al centro dell’interesse e delle azioni decise a livello politico sovra-nazionale, in Europa e nel resto del mondo, nell’intento di frenare, e possibilmente impedire, un ulteriore peggioramento delle condizioni climatiche e dell’inquinamento, che ne è la causa prima. Contemporaneamente a questa si somma la crisi economica degli ultimi anni che, in un mercato “globale” che coinvolge le potenze industriali e i paesi in via di sviluppo, sta assumendo toni sempre più preoccupati. Diventa quindi irrinunciabile agire secondo i principi stabiliti nel corso degli ultimi vent’anni dal percorso dello Sviluppo Sostenibile che, secondo la definizione ormai tradizionale, è quello sviluppo “che risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie” e che nell’attuale accezione, comprende l’aspetto economico, quello sociale e quello ambientale.

Occorre inoltre tenere presente che la percezione, la sensibilizzazione e l’informazione del pubblico e del singolo sono cresciute, per cui il consumatore, con numeri via via crescenti, si presenta sul mercato con richieste ed esigenze diverse che risentono di questo cambiamento di approccio e culturale.

In tale contesto trova sempre più credito la convinzione che lo sviluppo economico possa ripartire, ma debba farlo con presupposti e modalità differenti. Una possibilità è rappresentata dalla cosiddetta Economia Verde (“Green Economy”), termine con il quale si designano oggi tecnologie e metodi sviluppati nel processo ormai ventennale dello Sviluppo Sostenibile, ma anche interi settori di mercato. Per fare chiarezza, si applica il termine di “produzione verde” a quelle realtà produttive, che, attribuendo una valenza strategica all’ambiente, intervengono sul proprio processo produttivo abbattendo o eliminando gli impatti ambientali, mentre si indica come “mercato verde” quello che produce tecnologie, prodotti o servizi che minimizzano l’impatto di altri soggetti del mercato senza fornire garanzie sulla ridotta impronta del proprio processo. Dunque, mentre la “produzione verde” è sinonimo di benefici diretti per l’ambiente locale in cui operano le aziende produttrici, il “mercato verde” risponde a logiche commerciali e pur contribuendo a mitigare impatti ambientali globali, come ad esempio l’effetto serra, non necessariamente produce benefici ambientali direttamente percepibili nel territorio di riferimento. Ad esempio un’azienda leader per la costruzione di componenti utilizzati per lo sviluppo di energia eolica o fotovoltaica opera nel “mercato verde”, ma non necessariamente adotta, nei processi operativi, tecniche a basso impatto ambientale; pertanto il suo operare “verde” non necessariamente sarà percepito come tale dal territorio che la ospita.

Per questa ragione le politiche pubbliche locali devono essere particolarmente attente nell’approfondire gli effetti ambientali locali connessi ai settori produttivi, tenendo presenti criticità e specificità delle diverse aree.

 

Le Aree Industriali Sostenibili

Il settore produttivo è responsabile di ripercussioni negative sull’ambiente, conseguenti all’adozione di modalità e tecnologie di produzione poco attente agli aspetti ambientali connessi: lo sfruttamento eccessivo di materie prime, l’utilizzo di risorse energetiche non rinnovabili, l’emissione di sostanze inquinanti, la produzione di rifiuti e la mancanza di un sistema di gestione dell’area hanno costituito fino ad oggi un punto di debolezza del comparto produttivo.

L’approccio suggerito dall’Ecologia Industriale, una delle discipline nate per affrontare tale problematica, consiste “in una visione sistemica dell’attività economica umana e delle sue interazioni con i sistemi biologici, chimici e fisici, con l’obiettivo di stabilire e mantenere la specie umana a livelli che siano sostenibili indefinitamente pur continuando l’evoluzione tecnologica, economica e culturale” e offre una valida alternativa per realizzare obiettivi di sostenibilità nel settore industriale e produttivo, in generale.

Ad esempio in questo contesto il “ rifiuto” assume un nuovo significato poiché viene considerato un prodotto intermedio. I rifiuti di un processo vengono ri-utilizzati come materia prima per un altro processo, minimizzando così gli impatti ambientali con un approccio che prevede la collaborazione e la cooperazione tra le imprese per la riduzione dei rifiuti dell’attività industriale nel suo complesso. L’Ecologia Industriale quindi si propone di studiare le relazioni tra le imprese produttive, tra i loro prodotti e processi, favorendo l’integrazione di un’area industriale nel territorio locale di riferimento.

L’idea che questo approccio, applicato a un’intera area industriale, possa assicurare la tutela dell’ambiente in modo più efficiente coniugando le necessità delle imprese, con un conseguente miglioramento delle performance economiche, è andata consolidandosi grazie a casi concreti a livello internazionale e nazionale e all’evoluzione di strumenti di gestione ambientale, messi a punto nel percorso dello Sviluppo Sostenibile.

In Italia le “Aree Ecologicamente Attrezzate” (AEA) sono state normate con il D. Lgs. 112/98 (Bassanini) il quale prevede che “le Regioni disciplinano, con proprie leggi, le aree industriali e le aree ecologicamente attrezzate, dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza. Le medesime leggi disciplinano altresì le forme di gestione unitaria delle infrastrutture e dei servizi delle aree ecologicamente attrezzate da parte di soggetti pubblici o privati”. Dunque gli elementi fondamentali delle aree sono il sistema di gestione unitario e la dotazione di infrastrutture e servizi comuni di area per minimizzare e gestire in modo integrato le pressioni sull’ambiente.

Tale concetto, evolutosi in quello di “Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata” (APEA), si è diffuso progressivamente, anche se con marcate differenze regionali, con diverse esperienze interessanti; secondo le normative regionali finora emesse, un’APEA deve possedere requisiti di qualità urbanistica, territoriale, edilizia ed ambientale e deve essere dotata di specifiche forme di gestione, infrastrutture, sistemi tecnologici e servizi comuni, in funzione dei reali fabbisogni delle aziende insediate, delle caratteristiche del territorio e delle criticità ambientali dell’area, tali da garantire vantaggi ambientali ed economici, anche per il contesto territoriale circostante.

Contemporaneamente, le Aree Industriali Sostenibili (AIS), equivalenti di fatto alle APEA, sono oggetto di attenzione a livello comunitario proprio perché ritenute uno snodo importante per lo sviluppo sostenibile di un territorio, e quindi molti sono i progetti di ricerca finanziati a livello comunitario, il cui obiettivo specifico è mettere a disposizione di tali realtà produttive strumenti, concettuali e operativi, che supportino sia la progettazione e realizzazione di nuove Aree Industriali “Sostenibili” sia una “riconversione”  di quelle esistenti verso un modello di maggiore sostenibilità.

Ad esempio, il Progetto SIAM (finanziato dal Programma Life, 2004-2007) si è concentrato sulla definizione dei principali obiettivi che un’area produttiva sostenibile già esistente o da realizzare dovrebbe perseguire, sulla individuazione delle strategie necessarie per conseguire gli obiettivi indicati e sui requisiti organizzativi e gestionali che l’area deve possedere per poter raggiungere, documentare e condividere i propri obiettivi di sostenibilità.

La valutazione degli impatti di un’area produttiva ha incluso gli aspetti ambientali, economici e sociali. Si è ritenuto infatti che solo un approccio integrato che considerasse contemporaneamente le tre dimensioni della sostenibilità potesse consentire il coinvolgimento e la partecipazione di tanti partner diversi. Un’Area Industriale Sostenibile (AIS) deve essere progettata e gestita per permetterne uno sviluppo graduale e ciascuna fase di lavoro deve essere finanziariamente vantaggiosa: in tutti gli esempi di successo, infatti, un fattore determinante è rappresentato dai vantaggi economici ottenuti. Ricerche più recenti hanno messo in evidenza che per accrescere le possibilità di successo di un’AIS devono essere affrontati più aspetti da ritenere strategici e, più precisamente, oltre agli aspetti ambientali ed economici, anche quelli sociali, che contemplano il coinvolgimento della Comunità Locale nella gestione dell’area industriale, favorendo una migliore integrazione dell’area industriale nel territorio di riferimento.

Pertanto, dall’iniziale concezione che vedeva le Aree come possibilità di accrescere la competitività delle aziende e abbatterne i costi, riducendone la pressione ambientale, si è passati ad un modello organizzativo che, indirizzandosi verso una nuova e migliore forma di gestione dell’area, può promuovere uno sviluppo alternativo a livello locale e regionale.

Questi risultati, ovviamente, poiché affrontano tanti aspetti e richiedono, di conseguenza, risorse e tempo, non saranno raggiungibili contemporaneamente: occorre adottare un percorso progressivo di miglioramento che dipenderà dalle criticità dell’area, dalla tipologia delle imprese insediate, dalle caratteristiche del territorio e dalle esigenze della Comunità Locale.

La figura 1 illustra i passi fondamentali che costituiscono il percorso descritto:

  • definire il quadro generale degli obiettivi attraverso un documento di Politica di sostenibilità;
  • analizzare la situazione dell’area evidenziando tutti gli impatti prodotti dal punto di vista ambientale, e i vincoli dettati dalle condizioni economiche e dalle istanze sociali dell’area;
  • formulare un Piano di miglioramento che consenta di raggiungere, per gradi, gli obiettivi macro decisi;
  • un Piano di monitoraggio e controllo periodico consentirà di verificare e quantificare i miglioramenti raggiunti;
  • redigere una Dichiarazione di sostenibilità dell’area, che descriva a tutte le Parti Interessate, pubblico compreso, i risultati di miglioramento ottenuti nell’area industriale contribuirà a migliorare le relazioni dell’area con il territorio circostante.

Il progetto MEID (Mediterranean Eco Industrial Development), finanziato dal Programma MED e sviluppato con il coordinamento di ENEA e il supporto di 9 partner europei dell’Area Mediterranea (2010-2013), rappresenta una prosecuzione di SIAM ed ha l’obiettivo di completare ed estendere gli strumenti prendendo in considerazione anche problematiche ambientali divenute rilevanti negli ultimi anni, come, ad esempio, l’efficienza energetica degli edifici industriali, con un’attenzione specifica alle Piccole e Medie Imprese (PMI), e cercando nel contempo di costruire un “modello mediterraneo” comune di Area Industriale Sostenibile.

Inoltre, all’interno di MEID sarà realizzata una Banca Dati delle “migliori pratiche adottabili” nella realizzazione di infrastrutture e di servizi centralizzati in un’Area Industriale Sostenibile.

Risulta evidente da quanto detto che, aldilà degli strumenti che la ricerca continuerà a rendere disponibili con il proprio lavoro, il successo delle Aree Industriali Sostenibili e il loro contributo come possibili “starter” dello sviluppo di un territorio dipenderanno dalla capacità di azione di diversi attori fondamentali: le aziende con la loro volontà di attivarsi per individuare sinergie, che le rendano più efficienti e competitive; la Pubblica Amministrazione Locale, che dovrà formulare politiche di “governance” sostenibili e attuarle fornendo collaborazione, incentivi e strumenti di semplificazione amministrativa con l’intento di contribuire all’aumento di attrattività del territorio di riferimento; il pubblico che, attraverso le Associazioni che ne rappresentano le istanze, dovrà accrescere la propria capacità di informarsi e partecipare al processo di sviluppo del territorio in cui vive, nonché di comprendere e adottare le modifiche comportamentali e di stile di vita che le problematiche attuali hanno reso indispensabili.

 

Dott.ssa Maria Litido, ENEA (Unità Tecnica Modelli, Metodi e Tecnologie per le Valutazioni Ambientali)

Ing. Mario Tarantini (ENEA, UTVALAMB-LCA)

Ing. Arianna Dominici (ENEA, UTVALAMB-LCA)

Dott.ssa Rovena Preka (ENEA, UTVALAMB-LCA)

 

 

About Author / La Redazione

Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

About Author / La Redazione

Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

leggi anche Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

leggi anche Da CATL la prima batteria con degrado zero dopo 5 anni

La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.