Rinnovabili • Vertice sulla biodiversità

Oggi inizia la COP15, il vertice sulla biodiversità che guarda al 2030

La COP15 di Kunming deve fissare i nuovi obiettivi sulla diversità biologica per il decennio. Quelli con orizzonte 2020, gli Aichi targets, sono stati tutti disattesi. Sembra impossibile che il summit produca il risultato preferito da Pechino, un accordo sulla biodiversità globale e vincolante come quello di Parigi sul clima

Vertice sulla biodiversità
Foto di Hands off my tags! Michael Gaida da Pixabay

Doppio appuntamento per il vertice sulla biodiversità: adesso online, ad aprile 2022 in presenza

(Rinnovabili.it) – Sottotono, in sordina e dopo tre rinvii consecutivi. Alla fine, è partita la COP15 di Kunming, il vertice sulla biodiversità ospitato dalla Cina che vuole siglare l’equivalente dell’accordo di Parigi per la tutela della diversità biologica in tutto il mondo. Un obiettivo molto ambizioso e completamente fuori portata, a detta di tutti gli osservatori. Perché il summit internazionale sulla biodiversità è, sì, cruciale anche per le politiche climatiche e lo stato di salute degli ecosistemi, ma raccoglie poco interesse da parte degli Stati.

Perché il vertice sulla biodiversità di Kunming nasce storto?

La COP15 sulla biodiversità è l’incontro annuale (la Conference of Parties) dei paesi che aderiscono alla Convention on Biological Diversity (CBD), un trattato internazionale sottoscritto ormai da 196 paesi e approvato a Nairobi, in Kenya, nel 1992. Lo stesso anno della conferenza di Rio sul clima che portò alla nascita della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e al protocollo di Kyoto del 1997. Proprio a Rio vennero gettate le basi per la CBD. Dal 1996, la Convenzione si riunisce ogni 2 anni. L’appuntamento dell’anno scorso è slittato a causa della pandemia e si tiene per metà online, adesso, e per metà la prossima primavera (25 aprile – 8 maggio) a Kunming in Cina.

La Cina voleva fare della COP15 sulla biodiversità l’equivalente di quello che la COP21 è stata per la politica climatica mondiale nel 2015: un momento di sintesi da cui scaturisce un accordo globale e vincolante. È molto difficile che ciò accada perché i lavori preparatori hanno sfornato una bozza di documento comune poco ambiziosa. Progressi frenati dalla poca voglia da parte degli Stati di impegnarsi seriamente su un tema così vasto come quello della tutela della diversità biologica, ma anche dalle innumerevoli difficoltà tecniche che punteggiano di ostacoli il percorso verso un accordo globale.

Il nodo più difficile da sciogliere è come valutare i progressi ottenuti e gli impatti reali sugli ecosistemi: sono sistemi così complessi che le nostre attuali conoscenze non bastano per comprendere le ricadute che ci possono essere a breve, medio e lungo termine. Motivo per cui nessuno Stato sottoscriverebbe a cuor leggero un patto di cui non può prevedere le conseguenze sul suo territorio e sulle politiche che dovrebbe adottare in futuro. Resta però il fatto che su questo fronte l’azione internazionale è all’anno zero o quasi. E che tutti gli sforzi precedenti sono falliti: il mondo ha mancato tutti gli obiettivi che erano stati fissati per il 2020 (i famosi Aichi targets).

L’agenda della COP15 sulla diversità biologica

A fronte di questa debâcle e delle difficoltà oggettive di mettere tutti d’accordo su un patto globale e vincolante, la Cina sta spingendo per l’adozione di una serie di impegni slegati l’uno dagli altri. Si definiranno gli obiettivi sulla biodiversità con orizzonte 2030, un aggiornamento degli Aichi targets.

Una delle misure che hanno raccolto più consensi tra gli Stati è il cosiddetto “piano 30 x 30”, cioè l’impegno a tutelare almeno il 30% degli ecosistemi marini e terrestri entro la fine di questo decennio. La Cina, però, non ha ancora aderito formalmente. Tra gli altri punti che saranno discussi ci sono uno stop globale ai rifiuti di plastica, ridurre di due terzi l’uso di pesticidi a livello globale, dimezzare il numero di specie invasive e cancellare almeno 500 miliardi di euro di sussidi dannosi per l’ambiente ogni anno.

Uno dei punti problematici che potrebbero dare più filo da torcere ai delegati nazionali – proprio come per la finanza climatica alla COP26 – riguarda la creazione di un meccanismo di trasferimento fondi per sostenere la tutela della biodiversità nei paesi più svantaggiati. Un nodo su cui la Cina – che nel consesso internazionale si presenta ancora come paese in via di sviluppo e cerca di promuovere un’immagine di sé come paladina di questi paesi, in contrapposizione agli Stati Uniti e all’Occidente – ha intenzione di calcare la mano.

(lm)

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.