Rinnovabili • Cambiamento climatico: cosa dice il nuovo rapporto dell’IPCC

Il cambiamento climatico ci sconvolgerà la vita: il nuovo rapporto IPCC

“Il peggio deve ancora venire”, scrivono gli autori del report del panel intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico. La bozza vista da AFP in anteprima ha toni durissimi e scardina i punti di riferimento tradizionali usati per costruire le politiche climatiche in questi anni

Cambiamento climatico: cosa dice il nuovo rapporto dell’IPCC
Foto di jplenio da Pixabay

L’impatto del climate change si farà sentire prima di quanto fosse stato previsto

(Rinnovabili.it) – Anche se terremo sotto controllo le emissioni di gas serra, nei prossimi decenni il cambiamento climatico modificherà profondamente la vita sulla Terra. L’impatto del climate change si farà sentire prima di quanto fosse stato previsto.  Le soglie dell’accordo di Parigi non valgono più. Le diseguaglianze cresceranno vertiginosamente se non agiamo subito. “Il peggio deve ancora venire, incidendo sulla vita dei nostri figli e dei nostri nipoti molto più della nostra”. È quanto si legge nella bozza del nuovo rapporto dell’IPCC, il panel intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici.

Il nuovo report IPCC sul cambiamento climatico

Sul documento di oltre 4.000 pagine sono riusciti a mettere gli occhi in anteprima i giornalisti dell’AFP. Il rapporto IPCC dovrebbe uscire soltanto nel febbraio del 2022, ma i principali risultati sono già consolidati. L’IPCC infatti costruisce una “summa” della scienza climatica: lo stato dell’arte più aggiornato, con una ponderazione delle previsioni più attendibili, da cui emergono gli scenari di riferimento. È in base a questo documento che le politiche climatiche si devono muovere.

Sui numeri stabiliti dal panel dell’Onu si misura l’ambizione climatica degli Stati. Una bussola per comprendere se stiamo andando nella direzione giusta, e se ci stiamo andando abbastanza veloci. Insomma, un reality check rispetto ai piani di transizione ecologica messi in campo.

Se si tiene a mente questo, il contenuto del rapporto IPCC ha dei toni ancora più drammatici di quanto non sembra a prima vista. E non sembra un caso che in un documento scientifico di questa portata sia usato un linguaggio anche molto crudo, diretto, per nulla ambiguo. Le sfide che abbiamo di fronte sono sistemiche e intrecciate con la nostra vita di tutti i giorni. Il cambiamento climatico è già qui, avverte l’IPCC. E ci stiamo tirando la zappa sui piedi da soli, trasformando i nostri alleati più preziosi in potenziali nemici. Come? Diminuendo la capacità di foreste, oceani e altri ecosistemi di assorbire CO2 e quindi tamponare l’impatto del cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico è già qui

Nel resoconto del rapporto fatto dall’AFP, l’agenzia stampa francese evidenzia 4 grandi conclusioni. Primo punto: il cambiamento climatico è già qui. L’IPCC calcola che le temperature globali siano cresciute finora di 1,1°C sui livelli preindustriali. Si tratta, sottolinea, di un valore che innesca già un climate change con effetti molto importanti sulle nostre vite. In pratica il messaggio è che le soglie individuate dall’accordo di Parigi non sono più valide: non bastano a tenerci al riparo. In ogni caso, l’IPCC sottolinea che il riscaldamento globale prolungato anche oltre gli 1,5 gradi Celsius potrebbe produrre “conseguenze progressivamente gravi, lunghe secoli e, in alcuni casi, irreversibili”.

Anche a questa soglia di riscaldamento globale, molte specie sono condannate all’estinzione e diversi ecosistemi sono profondamente degradati. Le condizioni climatiche corrono più veloci, troppo veloci, rispetto alla capacità di animali, piante e ecosistemi di adattarsi al cambiamento climatico.

Il secondo messaggio del rapporto è proprio sull’adattamento: non stiamo facendo abbastanza. “Gli attuali livelli di adattamento saranno inadeguati per rispondere ai futuri rischi climatici”, avverte l’IPCC. Non siamo pronti ad affrontare nemmeno gli scenari che contengono il global warming a 2°C entro il 2050. Tutto ciò punta chiaramente in una direzione: l’aumento delle diseguaglianze. Decine di milioni di persone in più soffriranno la fame, 130 milioni finiranno in povertà estrema. Centinaia di milioni di persone dovranno affrontare inondazioni nelle città costiere, ondate di caldo intollerabili, scarsità d’acqua.

Sul punto di non ritorno

Il terzo messaggio dell’IPCC riguarda i cosiddetti tipping points, i punti di non ritorno climatici. Una questione molto discussa e ancora troppo poco compresa. Per il panel dell’Onu la scienza è sufficientemente concorde: sono un pericolo reale. Perché sono importanti? C’è il pericolo che un cambiamento climatico inneschi impatti multipli e a cascata, come in un effetto domino che destabilizza una catena di ecosistemi. Il rapporto cita lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e Antartide, il degrado dell’Amazzonia e lo scioglimento del permafrost siberiano.

Per alcune regioni, in un futuro più immediato di quanto ci si aspettava finora, gli eventi climatici estremi possono colpire in rapida sequenza, dando forma a una sorta di tempesta perfetta. Brasile orientale, Sud-est asiatico, Mediterraneo, Cina centrale e quasi tutte le zone costiere potrebbero trovarsi di fronte, contemporaneamente, a siccità, ondate di calore, cicloni, incendi, inondazioni. L’umanità non sta agendo nel verso giusto, visto che la probabilità di innescare i punti di non ritorno è esacerbata da fenomeni profondamente influenzati dall’uomo come “perdita di habitat e di resilienza, sfruttamento eccessivo, estrazione di acqua, inquinamento, specie non autoctone invasive e dispersione di parassiti e malattie”.

Dobbiamo cambiare la nostra vita

Serve un cambiamento radicale e realmente trasformativo. Questo il quarto messaggio del rapporto IPCC sul cambiamento climatico. Le priorità devono essere evitare che gli scenari peggiori si concretizzino e prepararsi per quegli impatti del climate change che ormai non possiamo più evitare.

Cosa dobbiamo fare? Il rapporto nomina alcuni punti. Conservazione e ripristino dei cosiddetti ecosistemi blue carbon (foreste di alghe e mangrovie). Mangiare meno carne e prodotti animali. Abitudini di consumo più orientate a diete a base vegetale sono in grado di tagliare le emissioni legate al cibo anche del 70% entro il 2050.

“Abbiamo bisogno di un cambiamento trasformativo che operi su processi e comportamenti a tutti i livelli: individuo, comunità, imprese, istituzioni e governi”, conclude il rapporto IPCC. Dobbiamo ridefinire il nostro modo di vivere e di consumare.

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Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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