Eventi climatici estremi: come salvaguardare i siti archeologici

Il patrimonio culturale, pur rappresentando una risorsa strategica rilevante per lo sviluppo sociale del nostro Paese, è costantemente esposto a rischi in grado di comprometterne la conservazione.

siti archeologici
Figura 1. Domus Publica e Stoà del sito archeologico di Pietrabbondante, Isernia (da Volpe, 2020).

di Evelina Volpe ed Elisabetta Cattoni

(Rinnovabili.it) – Con un patrimonio tra i più vasti al mondo, l’Italia vanta la presenza di oltre 3.500 musei, 2.000 aree archeologiche, 24 parchi nazionali, 23 aree marine e 55 siti Patrimonio dell’Umanità. Come attestato dalla lista dei siti di inestimabile valore redatta dall’Unesco e con riferimento alla Convenzione Mondiale sulla tutela del patrimonio culturale e naturale del 1972, il nostro Paese annovera un’ineguagliabile varietà di tipologie di beni che rende il territorio unico al mondo. 

Tuttavia il patrimonio culturale, pur rappresentando una risorsa strategica rilevante per lo sviluppo sociale del nostro Paese (Research Italy, 2019), un’importante testimonianza del tempo trascorso (UNESCO, 2019) e un importante luogo di incontro tra passato e futuro (Unione Europea, 2019), è costantemente esposto a rischi in grado di comprometterne la conservazione. Oltre al deterioramento naturale e all’impatto antropico, costituiscono una forte minaccia per il nostro patrimonio, gli eventi naturali estremi quali frane e alluvioni. 

Negli ultimi decenni il patrimonio storico, artistico e paesaggistico ha molto risentito dei continui cambiamenti climatici ed ambientali, pertanto il tema della conservazione e salvaguardia da eventi estremi ha suscitato notevole interesse da parte della comunità scientifica. Tuttavia si è ancora lontani dalla corretta definizione di politiche di gestione del rischio capaci di tutelare un patrimonio dall’indiscusso pregio culturale. 

In tale contesto si inserisce il particolare caso dei siti archeologici, monumenti che per la loro naturale conformazione sono fortemente vulnerabili rispetto ai meccanismi di rottura dei versanti che vengono a istaurarsi sempre più frequentemente a causa dell’aumento, in intensità e durata, degli eventi pluviometrici estremi. È infatti opinione condivisa che i cambiamenti climatici non si traducono solamente in un aumento della temperatura, ma anche in una modifica dell’intero sistema ivi incluse le precipitazioni.

Le piogge, sempre più copiose, contribuiscono al raggiungimento delle condizioni di equilibrio limite dei versanti e quindi all’innesco di frane che attualmente sono tra i meccanismi più pericolosi per i siti archeologici. La capacità distruttiva dei movimenti franosi è generalmente associata a fenomeni di rapidità straordinaria su un vasto territorio, tuttavia anche frane lente e localizzate spesso possono danneggiare gravemente i siti monumentali.

L’area archeologica della Valle dei Templi di Agrigento, il Ninfeo Bramante di Genazzano, l’area archeologica di Pompei, l’area di Ostia Antica, rappresentano alcuni casi emblematici italiani per tipo di movimenti ed estensione delle aree coinvolte. I continui fenomeni di scorrimento superficiale del terreno causano, sui monumenti, un processo di alterazione e frammentazione che rendono i manufatti incompleti e modificati rispetto alle forme originali (Fig. 1).

Tra le molteplici discipline coinvolte in un tema a carattere fortemente multidisciplinare, l’ingegneria geotecnica svolge sicuramente un ruolo importante.

La conoscenza della probabile dinamica dei versanti, da attuarsi attraverso lo sviluppo di un modello previsionale per la valutazione delle condizioni di stabilità, costituisce un valido strumento di tutela del patrimonio archeologico italiano. Tra gli approcci previsionali comunemente impiegati per valutare il rischio da frana di un pendio si annoverano i modelli deterministici fisicamente basati, che descrivono i processi fisici determinanti l’innesco di una frana attraverso modelli matematici. Tuttavia, per garantire un adeguato livello di affidabilità nelle previsioni, l’applicazione di tali metodi richiede una caratterizzazione topografica, geotecnica e idraulica molto dettagliata per l’area di studio considerata. Mentre la ricostruzione di dettaglio della topografia generalmente è disponibile, una caratterizzazione adeguata delle proprietà meccaniche ed idrauliche delle coltri superficiali talvolta non è ottenibile per limiti pratici ed economici. Per tale motivo, ad un approccio deterministico del problema risulta preferibile un approccio probabilistico in cui i dati di input sono considerati variabili aleatorie e la sicurezza è valutata in termini di probabilità di collasso, definita come la probabilità che il coefficiente di sicurezza (FS) sia inferiore all’unità (Salciarini et al., 2019). I modelli previsionali probabilistici fisicamente basati,  consentono di stimare la risposta di un versante ad un definito evento pluviometrico e si configurano pertanto come uno strumento utile nell’ambito delle politiche di tutela del patrimonio culturale dalle piogge estreme.

Bibliografia

Probabilistic vs. Deterministic Approach in Landslide Triggering Prediction at Large–scale. Salciarini D., Volpe E., Cattoni E. Lecture Notes in Civil Engineering, 2020, 40, pp. 62–70, Springer.

Protezione e conservazione dei siti archeologici in aree predisposte a fenomeni di dissesto idrogeologico. Volpe E. Tesi di Dottorato, Dipartimento di Bioscienze e Territorio-Università degli Studi del Molise. 

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