Rinnovabili •

Clima, ultima chiamata prima di Parigi

Da oggi a venerdì, Bonn ospiterà l’ultimo ciclo di negoziati sul clima preparatori alla COP 21. Ma fra le grandi potenze restano enormi fratture

Clima ultima chiamata prima di Parigi

 

(Rinnovabili.it) – È l’ultima chiamata per il clima, poi ogni residua questione verrà demandata alla COP 21 che avrà luogo a Parigi fra poco più di un mese. Da questa mattina, fino a venerdì, i delegati dei 196 Paesi UNFCCC saranno riuniti a Bonn per mettere a punto i dettagli della strategia comune sul cambiamento climatico da adottare a partire dal 2020.

Nessun osservatore, nel mondo dell’ambientalismo, si aspetta mosse coraggiose. Ancora una volta, come è accaduto negli ultimi 20 anni, regna lo sconforto. Anche la politica ha dovuto ammettere che i negoziati procedono a rilento, perché restano vecchie ruggini tra potenze globali e ostacoli troppo difficili da superare.

 

Eppure c’è una bozza di accordo, resa pubblica dai coordinatori ONU della conferenza all’inizio di ottobre, che dovrebbe spianare la strada al patto globale sul clima. Ma il testo lascia scontenti tutti coloro che premevano per un accordo ambizioso, vincolante e rivedibile al rialzo con sufficiente tempestività. Del resto, da un documento di sole 10 pagine non era possibile attendersi più che qualche dichiarazione di buone intenzioni. Peccato che, con queste basi, l’accordo potrebbe rivelarsi una ennesima scatola vuota, con gran danno per i Paesi che stanno già oggi patendo gli effetti più distruttivi del riscaldamento globale.

Le nazioni in via di sviluppo, in particolare, lamentano la mancanza di impegni precisi sui finanziamenti che i più ricchi dovrebbero destinare per aiutarli a combattere il cambiamento climatico. L’oggetto del contendere non è solo l’importo totale degli aiuti economici, ma anche la scarsa chiarezza sulla loro provenienza e destinazione. Quanta parte verrà dal pubblico e quanta dal privato? Quanta giungerà come sovvenzione e quanta sotto forma di prestito? Quale quota, rispetto ai 62 miliardi destinati al Green Climate Fund (a fronte dei 100 promessi entro i prossimi 5 anni), sarà immediatamente disponibile a partire dal 2020? Sono domande rimaste aperte, e l’assenza di risposte chiare è scoraggiante.

 

Clima ultima chiamata prima di Parigi 1

 

Molte nazioni hanno espresso, inoltre, profonda delusione per l’eliminazione dell’obiettivo di decarbonizzazione dell’economia globale tramite un progressiva e certificata dismissione dei combustibili fossili.

«I Paesi ricchi non riescono a portare i due ingredienti più importanti sul tavolo dei negoziati, il taglio delle emissioni e i contributi in denaro», critica ActionAid.

«Siamo ancora lontani dal centrare l’obiettivo dei 2 °C, i governi dovranno rivedere le loro proposte entro il 2020, data di entrata in vigore del futuro accordo di Parigi», ha fatto eco il Climate Action Network.

Diversi studi, nell’ultimo mese, hanno infatti verificato che i contributi per la riduzione delle emissioni presentati in ambito ONU non impediranno – senza una revisione profonda – un aumento delle temperature pari a 2,7-3,5 °C entro fine secolo.

Qualcuno, va detto, ha fatto i compiti meglio di altri: Etiopia, Marocco e Costa Rica hanno presentato obiettivi ambiziosi, ma sono Paesi che detengono quote marginali delle emissioni globali. A distinguersi in negativo, invece, sono Canada, Australia, Russia, Giappone e Turchia, senza contare gli oltre 40 governi che non hanno ancora annunciato il loro impegno climatico post-2020.

 

 

Se l’accordo di Parigi non sarà risolutivo, tuttavia, la responsabilità maggiore sarà da ricercare altrove. Il principio di “responsabilità comune ma differenziata” stabilito dalla Carta del 1992 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), genera oggi attriti fra le grandi potenze e frena i negoziati.

I Paesi ricchi insistono sul fatto che molto è cambiato in 23 anni: diverse nazioni una volta etichettate come “in via di sviluppo” hanno fatto enormi progressi in campo economico, diventando grandi inquinatori responsabili del riscaldamento globale tanto quanto Stati Uniti e Unione europea. La Cina, ad esempio, è oggi il principale emettitore al mondo di inquinamento da anidride carbonica, mentre l’India è il quarto. Tuttavia, entrambi i governi si nascondono dietro l’etichetta di Paese in via di sviluppo per evitare modifiche drastiche del modello di sviluppo.

Per contro, non è che Bruxelles o Washington abbiano mai fatto mostra di voler gettare il cuore oltre l’ostacolo. Gli impegni di riduzione delle emissioni e limitazione dello sfruttamento di combustibili fossili sono piuttosto conservativi: alle dichiarazioni pubbliche di guerra al carbone non segue un parallelo e prepotente impegno per lo sviluppo delle energie pulite. Entrambe le grandi potenze, con il beneplacito delle grandi compagnie, hanno ripiegato sul gas naturale, celando dietro la retorica della transizione graduale e del male minore un business multimiliardario.

About Author / La Redazione

Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.