Rinnovabili • Inquinamento dell’aria: nel 2020 niente effetto lockdown

I lockdown del 2020 non hanno avuto nessun effetto sull’inquinamento dell’aria

Secondo l’Air Quality Life Index dell’università di Chicago, la concentrazione di PM2.5 nel primo anno di pandemia è scesa da 27,7 a 27,5 μg/m3: praticamente è rimasta invariata nonostante i blocchi alla produzione e alla circolazione. E l’inquinamento è un fattore di rischio (sottovalutato) 90 volte più grave di guerre e terrorismo

Inquinamento dell’aria: nel 2020 niente effetto lockdown
Foto di Pat McKane da Pixabay

L’inquinamento dell’aria ci toglie in media 2,2 anni di vita

(Rinnovabili.it) – Particolato sottile e altre sostanze inquinanti ci tolgono in media 2,2 anni di vita, ma con grandi differenze regionali. Si va dagli 1,2 anni in Europa ai 2,6 della Cina, anche se il colosso asiatico ha recuperato ben due anni di vita tra 2013 e 2020 grazie a politiche più stringenti sull’inquinamento dell’aria. Le regioni dove i decessi dovuti a scarsa qualità dell’aria sono più prematuri sono l’Africa centrale e occidentale, l’Asia meridionale e il sud-est asiatico, dove si perdono 5 anni di vita.

I numeri dell’Air Quality Life Index

Sono i dati che emergono dall’Air Quality Life Index, il rapporto annuale preparato dall’università di Chicago che analizza lo stato dell’inquinamento dell’aria a livello globale. Per la prima volta, le proiezioni sono calcolate sulle nuove soglie dell’Oms, che lo scorso settembre ha abbassato di molto i valori limite considerati “sicuri” di tutte le categorie di inquinanti. Nel caso del particolato più sottile (PM2.5), il valore è stato dimezzato a 5 μg/m3 su base annuale mentre il limite sulle 24 ore è sceso da 25 a 15 μg/m3.

Questa revisione ha cambiato il quadro globale. Adesso la quasi totalità della popolazione mondiale (il 97,3%, cioè quasi 7,5 miliardi di persone) vive in aree dove i valori di PM2.5 sforano i limiti, mentre con i vecchi parametri questa situazione riguardava “solo” 8 persone su 10. L’impatto è particolarmente forte in Europa e Stati Uniti, dove si passa rispettivamente dal 47,3% e dal 7,6% a valori del 95,5% e 92,8%.

L’impatto dell’inquinamento dell’aria? È peggio di guerre e terrorismo

Se si guardano gli anni di vita persi a livello globale a causa dell’inquinamento dell’aria, si arriva cumulativamente a una cifra pari a 17 miliardi di anni di vita. Un ammontare che assegna alla scarsa qualità dell’aria lo stesso impatto sulla salute umana del fumo. La diminuzione dell’aspettativa di vita a causa dell’inquinamento è poi ben più pesante rispetto a quella generata da altri fattori di rischio, solitamente percepiti come più urgenti o gravi. Le polveri sottili tolgono 3 volte più anni di vita rispetto all’abuso di alcool e all’acqua contaminata, 6 volte più dell’Aids, e ben 89 volte più dei conflitti e del terrorismo.

“Sarebbe un’emergenza globale se i marziani venissero sulla Terra e spruzzassero una sostanza che fa perdere più di 2 anni di aspettativa di vita alla persona media del pianeta. È una situazione simile a quella che prevale in molte parti del mondo, solo che siamo noi a spruzzare la sostanza, non degli invasori provenienti dallo spazio”, spiega Michael Greenstone, creatore dell’AQLI insieme ai colleghi dell’Energy Policy Institute dell’Università di Chicago.

Nessun effetto lockdown

L’altro dato da sottolineare in questo report è l’effetto combinato, e locale, dei blocchi alla produzione e dei lockdown (quasi) totali durante il primo anno di pandemia di Covid-19. A conti fatti, l’impatto sull’inquinamento dell’aria è stato praticamente zero. A livello globale, i valori medi di PM2.5 nel 2020 sono scesi da 27,7 a 27,5 μg/m3 rispetto all’anno precedente. Sostanzialmente invariati.

“Il fatto che l’inquinamento da particolato sia rimasto relativamente stabile, anche in un anno in cui le economie di tutto il mondo si sono bloccate a causa della pandemia, sottolinea l’immensa sfida che l’inquinamento atmosferico rappresenta e le opportunità di migliorare la salute umana se si adottano politiche forti”, si legge nel rapporto.

La riduzione dei livelli di inquinamento, quindi, è stata perlopiù temporanea, anche a livello locale. Ciò nonostante, alcuni paesi nel 2020 hanno visto effettivamente una decrescita sensibile di inquinanti. È il caso dell’Indonesia, che ha fatto segnare -20%, della Russia, della Cina, della Germania e del Giappone. All’estremo opposto, tra i paesi dove gli inquinanti in atmosfera sono aumentati di più, troviamo Nigeria, Turchia, Pakistan, Etiopia, Egitto, Stati Uniti, Tailandia e Bangladesh.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.