L’industria nucleare dopo Fukushima

Malgrado quanto accaduto in Giappone, il segmento nucleare e le lobby politiche che lo sostengono sembrano andare avanti senza grossi tentennamenti in molte parti del mondo

Sono stato, nello scorso novembre,  al  grande Convegno dell’American Nuclear Society (ANS) tenutosi  a Washington. Ho partecipato con interesse, dato che c’è una sezione di protezione dalle radiazioni dove ho presentato alcuni miei lavori scientifici.

A Washington, in quei giorni, sono stato letteralmente catapultato in un mondo privo di dubbi ed ottimista sul futuro dell’energia nucleare, e volevo farne partecipe anche i lettori di “Rinnovabili” che ne saranno probabilmente stupiti: a valle di Fukushima, a valle del referendum, a valle della decisione di molti paesi di dire “stop” all’energia nucleare, cosa succede da altre parti?

L’industria nucleare e le lobby politiche che la sostengono  vanno avanti senza grossi tentennamenti in molte parti del mondo. In questo momento ci sono sulla nostra Terra, oltre ai 433 reattori nucleari operanti, sessantadue (62) reattori che sono in costruzione, per una potenza – di questi ultimi – di oltre 62.000 MW elettrici (MWe). La “taglia” dei reattori nuovi è cioè mediamente grossa, intorno ai 1000 MWe. Al Convegno si è anche parlato degli oltre 150 reattori “ordinati”, dei quali cioè la costruzione sarebbe decisa dai governi delle differenti nazioni, pur se i lavori veri  non sono ancora iniziati. Di questi 62 reattori in costruzione, va da sé, il grosso è in Cina (26), Russia (10), India (6) e Corea del Sud (5): quasi nulla, e questa è una prima crepa evidente nel quadro altrimenti abbastanza trionfale, in Europa e Stati Uniti. Il “rinascimento nucleare” (nuclear renaissance) pare perlomeno interessare solo certe aree del mondo.

Al Convegno dell’American Nuclear Society la questione dell’incidente di Fukushima è stata affrontata con una sessione speciale dedicata all’incidente stesso, ma il tono è stato molto tecnicista e nella sostanza privo di tentennamenti: un “incidente di percorso” che alla fine “è stato gestito abbastanza bene”, con “conseguenze limitate” a livello di inquinamento. Le virgolette sono state poste dallo scrivente che non concorda con nessuna di queste affermazioni! Delle enormi ripercussioni di Fukushima nel mondo intero, anche soltanto a livello di crollo della fiducia nell’energia nucleare, oltre che per aver “eliminato” dai paesi che sviluppano questa fonte un caposaldo come il Giappone, pochi fugaci cenni.

I progetti di nuove tipologie di reattori nucleari che vengono presentati e sviluppati sono molteplici, e si tocca con mano l’abbondanza di finanziamenti sia da parte del pubblico che del privato: il grosso si concentra sui cosiddetti reattori “GEN IV”, cioè di Quarta generazione. Per avere un quadro di massima, ricordiamoci che gli attuali reattori in esercizio sono quasi tutti di seconda generazione, quelli in costruzione di terza generazione, mentre la GEN IV sarà pronta, secondo i piani, fra una quindicina-ventina di anni. I reattori di 3ª generazione (GEN III) prevedono un approccio diverso alla progettazione, con l’implementazione di ulteriori salvaguardie ingegneristiche (ad esempio sistemi di refrigerazione passivi, ecc.) che renderebbero questi impianti più sicuri ed efficienti. Tuttavia, il principale problema dell’energia nucleare, a parte la sicurezza e gli incidenti, non viene per nulla risolto dalla GEN III: si tratta del problema delle scorie. La fissione nucleare, infatti, produce intrinsecamente residui radioattivi (scorie). Si tratta del combustibile esaurito , che contiene uranio, plutonio ed altri radioelementi e i prodotti di fissione. Vi sono poi, a fine vita del reattore, le sue strutture interne. Questi materiali sono radiotossici e richiedono dunque precauzioni nello smaltimento: la radioattività delle scorie si riduce nel tempo secondo il fenomeno naturale del dimezzamento, ma i tempi necessari sono lunghi. Esistono due modi principali per smaltire le scorie: per quelle a basso livello di radioattività si ricorre al deposito superficiale; per le scorie a più alto livello di radioattività si ricorre invece al deposito geologico, cioè allo stoccaggio in cavità sotterranee profonde.

Il problema delle scorie è appunto questo: allo stato attuale, e a maggior ragione se l’energia nucleare prendesse ulteriore piede, ci troveremmo a punteggiare il nostro territorio, e alla lunga il mondo intero, di depositi contenenti materiale che sarà pericoloso per tempi lunghissimi, consegnando pertanto alle generazioni future questa eredità non richiesta.

Un osservatore attento e consapevole, dato il problema scorie, quello anche da affrontare seriamente dei costi, quello della proliferazione nucleare, e quello degli incidenti nel dopo-Fukushima, adotterebbe perlomeno una certa cautela, oppure direbbe serenamente stop: ciò in Italia è già successo, come sappiamo, a valle dei referendum dello scorso anno, e così è successo in molti altri paesi, quali la Germania e il Giappone stesso. E’ però perlomeno utile sapere, per prepararsi al problema, che altrove nel mondo la sensazione è ancora diversa, come si poteva percepire distintamente al Convegno del ANS del quale ho raccontato: avanti con il nucleare, nonostante tutto. Non è da escludere che questa sensazione possa anche ritornare dalle nostre parti, come alcune avvisaglie con dichiarazioni da parte di esponenti del nuovo Governo Monti ci hanno fatto capire. Occorre non escludere questa possibilità: se il referendum sull’acqua è stato completamente disatteso e tradito nei fatti, negli ultimi mesi, la vigilanza anche in campo del nucleare è perlomeno un dovere di prudenza.

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