Pesticidi: un cocktail di veleni nelle acque italiane

Le acque italiane sono contaminate oltre i limiti da una quantità crescente di pesticidi a base di sostanze pericolose come il glifosato

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(Rinnovabili.it) – I pesticidi nelle acque continuano a crescere e molte sostanze superano i limiti di legge. Circa 130 mila tonnellate di prodotti fitosanitari vengono utilizzate ogni anno in Italia, senza contare i biocidi. Tra queste sostanze anche il glifosato, probabile cancerogeno secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), cui l’Unione europea pensa invece di estendere l’autorizzazione per altri 10 anni.

La fotografia inquietante è scattata dall’ISPRA, nel suo rapporto 2016 sui pesticidi nelle acque. Le quantità, tuttavia, sono ampiamente sottostimate. Lo ammettono gli esperti stessi, dal momento che molti dati non sono stati raccolti dal alcune Regioni italiane.

«Il rapporto viene costruito sulla base dei dati forniti dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente – spiega l’ISPRA in una nota –  ma la copertura del territorio non è completa né omogenea soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali: non si dispone di informazioni relative a Molise e Calabria e  mancano i dati relativi a cinque Regioni per quanto riguarda le acque sotterranee».

 

Cresce l’inquinamento da pesticidi

Pesticidi un cocktail di veleni nelle acque italiane 3Secondo quanto rilevato dall’analisi di quasi 15 mila campioni, prelevati in 3.700 punti del territorio nazionale, sono state reperite 224 sostanze diverse, un numero molto più alto rispetto al passato (erano 175 nel 2012).

«Gli erbicidi sono ancora le sostanze più rinvenute – afferma l’ISPRA – soprattutto a causa dell’utilizzo diretto sul suolo, spesso concomitante con i periodi di maggiore piovosità di inizio primavera, che ne determinano un trasporto più rapido nei corpi idrici superficiali e sotterranei».

Per quanto riguarda le acque superficiali, gli esperti spiegano che 274 punti di monitoraggio (21,3% del totale) «hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: glifosato e il suo metabolita AMPA (acido aminometilfosforico), metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metabolita, desetil-terbutilazina. Per quanto riguarda il glifosate e il metabolita AMPA, presenti rispettivamente nel 39,7% e nel 70,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, va chiarito che sono cercati solo in Lombardia e Toscana, dove sono tra i principali responsabili del superamento dei limiti di qualità ambientali».

Nelle acque sotterranee la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia 50% dei punti, in Friuli 68,6%, in Sicilia 76%.

 

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Sostanze approvate sottostimando i rischi

Il punto fondamentale è che «più che in passato, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque, contenenti anche decine di componenti diversi». Fino a 48 sostanze sono state rinvenute in un singolo campione.

«La tossicità di una miscela è sempre più alta di quella dei singoli componenti – chiarisce l’ISPRA – Si deve, pertanto, tenere conto che l’uomo e gli altri organismi sono spesso esposti a “cocktail” di sostanze chimiche, di cui a priori non si conosce la composizione. È necessario prendere atto di queste evidenze, confermate a livello mondiale, e del fatto che le metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi, debbono essere analizzate criticamente al fine di migliorare la stima del rischio».

Si tratta di una osservazione chiave, che scredita una volta di più il processo dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA). In diretto contrasto con la IARC, l’EFSA ha definito il glifosato «probabilmente non cancerogeno», aprendo le porte al rinnovo dell’autorizzazione per questa sostanza in Ue. Ma il parere, oltre a basarsi su studi mai resi pubblici effettuati dall’industria che commercializza gli erbicidi a base di glifosato, hanno preso in esame solo la singola sostanza. Proprio quel che l’ISPRA ritiene insufficiente ad una stima accurata del rischio.

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