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Greenbuilding d’élite

Uno standard di certificazione per pochi, destinato ad edifici ad energia e acqua zero, car free, sostenibili ed ecologici, integrati nel contesto, socialmente utili e dalle prestazioni durevoli.

Sei anni fa l’architetto canadese Jason McLennan, già riconosciuto a livello internazionale quale esponente della bioarchitettura, decise di realizzare un suo grande sogno, trasformare il mondo della progettazione dando vita ad una nuova epoca di edifici e progetti, rivolti unicamente ad assicurare alle future generazioni, un futuro pulito e di qualità. La soluzione più rapida per diffondere capillarmente una conoscenza di questo tipo e raggiungere gli onorevoli obiettivi prefissati nel minor tempo possibile, passava sicuramente per la creazione di una serie di linee guida che potessero essere prese ad esempi da tutti gli operatori del settore, per innalzare i propri standard di progettazione ad un livello più alto.

Così nel 2006 grazie al sostegno dell’International Living Future Institute, un’organizzazione non governativa nata dal desiderio di incentivare la sostenibilità in edilizia durante tutte le fasi che accompagnano il processo costruttivo, l’architetto McLennan creò il “Living Building Challenge”, una nuova tipologia di classificazione energetica, improntata sulla sostenibilità, al pari dei numerosi protocolli di certificazione già esistenti, ma con criteri selettivi e standard molto più alti ed un obiettivo di sostenibilità rivolto non solo alla costruzione in sé, ma all’intero contesto, tenendo contemporaneamente in considerazione passato, presente e futuro della comunità e secondo una metodologia ben chiara capace di unire contemporaneamente standard architettonici, ingegneristici, di pianificazione, paesaggistici, sociali e politici.

Non sono solo le prestazioni dell’edificio in fase progettuale a determinare la possibilità di accedere o meno al ratink fissato dal Living Building Challenge, ma anche la proiezione della qualità del costruito nel tempo, tanto da consentire la certificazione di strutture realizzate come minimo 12 mesi prima della richiesta, per poter monitorare le prestazioni dell’edificio  anche a distanza di tempo dalla sua costruzione. L’unicità e lo standard incredibilmente alto del LBC gli hanno permesso di ottenere il primo premio del Buckminster Fuller Challenge, una competizione internazionale che ha il compito di riconoscere la migliore strategia a livello globale, in grado di dare un contributo concreto e valido alla risoluzione dei problemi più urgenti dell’umanità.

Gli imperativi da considerare per poter accedere al sistema di certificazione del Living Building Challenge sono numerosi, rispettivamente secondo 7 tipologie di classificazione:

  1. SITO: fissando dei limiti di crescita in base al contesto naturale nel quale si inserisce la costruzione, valorizzando l’habitat naturale, prevedendo in tutti i progetti una percentuale destinata all’agricoltura urbana e pianificando il sistema della mobilità secondo criteri di “car free“.
  2. ACQUA: per ottenere lo standard LBC le costruzioni devono essere “Net Zero Water”, ovvero completamente indipendenti dal punto di vista idrico, prevedendo il recupero delle acque meteroriche ed il trattamento ecologico ed il riutilizzo della rete idrica interna.
  3. ENERGIA: come per l’acqua, anche l’energia dovrà essere prodotta completamente in loco e provenire unicamente da fonti rinnovabili, traformando gli edifici in Net Zero Energy Building.
  4. SALUTE: massimizzando la qualità e la salubrità degli ambienti interni, secondo canoni d’illuminazione e ricambio d’aria naturale molto alti ed assicurando la presenza di elementi naturali interni ed esterni al progetto.
  5. MATERIALI: assicurando la massima qualità, il minimo spreco di risorse ed il massimo abbattimento delle emissioni nocive, durante tutte le fasi produttive. Partendo dal recupero delle materie prime, provenienti da ambienti certificati o da preocessi di recupero, passando da maccanismi industriali eco-friendly, arrivando a produrre materiali salubri e riciclabili per futuri utilizzi. Per uniformare i giudizi è stata creata una “Red List”, che elenca e classifica le peggiori classi di elementi chimici e materiali off-limits.
  6. EQUITA’: promuovendo azioni che coinvolgano anche i futuri abitanti e la comunità circostante nella realizzazione di progetti sicuri, socialmente attivi, rispettosi di ambiente e socialità umana, economicamente improntati al futuro ed che possano promuovere cultura.
  7. BELLEZZA: per promuovere accanto alla qualità funzionale anche la qualità formale, incentivando un design innovativo che possa “educare” alla sostenibilità i futuri abitanti e gli eventuali visitatori.

E’ importante sottolineare che nonostante il Living Building Challenge sia stato riconosciuto dal GBC (Green Building Council) quale strumento valido, non tutte le strutture certificate LEED sono idonee a ricevere il riconoscimento massimo del LBC. Per comprendere la rigida selettività della classificazione Living Building Challenge basta soffermarsi sul fatto che solo 6 strutture in tutti gli Stati Uniti sono state ritenute idonene alla valutazione LBC e di questi solo tre hanno effettivamente ricevuto la certificazione finale: il Tyson Living Center Learning di Eureka, l’Omega Center for Sustainable Living a Rhinebeck, NY; e l’Hawaii Preparatory Academy Energy Laboratory nelle Hawaii.

Tyson Living Learning Center

Una delle strutture della Washington University di St Louis, completamente rivestita con listelli di legno raccolti nelle aree boschive limitrofi in perfetta sintonia con quanto espresso dallo standard del LBC di integrazione al contesto e di valorizzazione delle risorse locali. Essendo destinato ad ospitare aule universitarie, il centro si è rivelato da subito come un laboratorio di ricerca e sperimentazione concreta di strategie di sostenibilità ed efficienza. Como richiesto dalla certificazione LIving, l’edificio è completamente autonomo nei consumi energetici e nel sistema dell’acqua, prevedendo inoltre un particolare trattamento e trasformazione dei rifiuti interni alla struttura.

 

Omega Center for Sustainable Living a New York

Un centro per l’educazione alla sostenibilità sede di un’organizzazione non-profitt, realizzato attraverso un processo costruttivo costato circa 3,5 mln di dollari che ha permesso di realizzare una struttura capace di produrre molta più energia di quella consumata.

L’efficienza è assicurata da tre impianti fotovoltaiici rispettivamente distribuiti tra la copertura ed un impianto a terra, ma il vero valore aggiunto della struttura è il particolare sistema di riciclo e trattamento delle acque reflue basato sull’azione purificante dei microorganismi contenuti in particolari tipi di alghe e funghi, nonchè dalla presenza di un bacino naturale per la raccolta delle acque piovane.

 

L’Energy Laboratory della Hawaii Preparatory Academy

Un edificio dedicato allo studio delle energie alternative che oltre ad insegnare la teoria, mette in pratica i principi di sostenibilità ed efficienza energetica, creando cos’ un edificio Net Zero Energy. Finanziato grazie ad un contributo di 4,5 mln di dollari elargito da un imprenditore tedesco del mondo delle rinnovabili per spingere le nuove generazioni alla conoscenza delle energie alternative, l’Energy Laboratory si affida contemporaneamente alla produzione solare, eolica ed idrica, sfruttando contemporaneamente tre tipi di pannelli solari, utilizzando materiali riciclati per la costruzione dell’involucro e un sistema di raffreddamento radiante, nonchè un processo di recupero dell’acqua dolce capace di raccogliere fino a 10.000 litri. Nel 2010 questo edificio raggiunse anche il livello LEEDPlatinum di GBC.

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About Author / Alessia Bardi

Si è laureata al Politecnico di Milano inaugurando il primo corso di Architettura Ambientale della Facoltà. L’interesse verso la sostenibilità in tutte le sue forme è poi proseguito portandola per la tesi fino in India, Uganda e Galizia. Parallelamente alla carriera di Architetto ha avuto l’opportunità di collaborare con il quotidiano Rinnovabili.it scrivendo proprio di ciò che più l’appassiona. Una collaborazione che dura tutt’oggi come coordinatrice delle sezioni Greenbuilding e Smart City. Portando avanti la sua passione per l’arte, l’innovazione ed il disegno ha inoltre collaborato con un team creativo realizzando una linea di gioielli stampati in 3D.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

About Author / La Redazione

Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.