Il nuovo campus Apple: “un’astronave” chiusa in se stessa

Paragonata dallo stesso Jobs ad una navicella spaziale “dolcemente atterrata” a Cupertino, la nuova sede eco-friendly dell’azienda statunitense, si dissocia dal contesto

Quando in giugno Steve Jobs, fondatore del celebre gruppo Apple, ha presentato davanti al City Council di Cupertino, la proposta per il progetto del nuovo quartier generale della società, le immagini mostravano un elegante palazzo luccicante, a forma d’anello, completamente immerso nel verde e perfettamente integrato nel paesaggio.

Le premesse non potevano che essere di buon auspicio, soprattutto considerando il fatto che il progettista di questo importantissimo edifico, non è nientemeno che l’archistar Norman Foster, uno degli ideatori della celebre Masdar city, la promessa di città più verde del mondo. Secondo il progetto dello studio associato Foster and Partners, questo edificio, avrebbe rappresentato un punto cruciale per la società statunitense, una nuova immagine eco-friendly completamente rinnovata, che avrebbe aiutato la Apple a riprendersi, dopo che Greenpeace, nel suo Greener Electronics Report, aveva criticato la società per la sua scarsa trasparenza nella gestione delle sostanze chimiche, dell’utilizzo di materiali nocivi per l’ambiente e per le sue politiche di riciclo.  Un edificio ad emissioni zero, progettato nei minimi dettagli della struttura e perfettamente autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie ai numerosi ettari di terreno elusivamente destinati agli impianti fotovoltaici ed alle fonti rinnovabili. Un progetto all’insegna della tecnologia green che, a causa delle sue dimensioni, non poteva permettersi di tralasciare il problema della mobilità interna ed esterna. Anche a questi quesiti Foster aveva dato risposta, progettando un’intricata rete di collegamenti ecosostenibili tra la nuova sede e la vecchia e, soprattutto, tra l’edificio e il vicino agglomerato urbano.

Ma a poco più di quattro mesi di distanza dalla presentazione ufficiale sono iniziate le prime critiche. In testa ai contestatori due autorevoli quotidiani americani, il Los Angeles Times ed il New Yorker. La prima domanda che si sono posti è per quale motivo la Commissione di Cupertino, non abbia posto a Jobs nessun quesito in merito al ruolo che un edificio così massiccio ed impegnativo (2,8mln di mq) avrebbe avuto nello sviluppo futuro di Cupertino.

Quando i primi progetti emersero online, alcuni critici, notarono il suo carattere fortemente anti-urbano, sorprendentemente staccato dal contesto, un edificio che avrebbe forse potuto avere più senso nei primi anni ’70, che non nel nuovo millennio. Se la struttura appare curata nei minimi dettagli, al contrario il suo rapporto con l’area circostante sembra nullo. Attualmente infatti, l’area di Cupertino è quasi tutta a bassa densità, le abitazioni sono di piccole dimensioni e gli agglomerati urbani sono di dimensioni contenute. Si può dunque immaginare, come possa stonare un edificio di cinque piani massiccio ed imponente in un panorama simile.

I critici del New Yorker nei loro articoli, paragonano la nuova sede Apple, ai primi campus suburbani aziendali del dopoguerra, infiniti edifici “appoggiati” sul terreno, ma privi di identificazione spaziale. Una critica forte dunque, che riconosce al progetto le qualità innovative e tecnologiche, che accoglie i propri dipendenti in un’atmosfera sofisticata e forse di qualità, ma completamente sconnessa dalla realtà. Il nuovo campus Apple, che l’azienda  descrive come un ambiente “sereno e sicuro” per i propri dipendenti, si mantiene distante dal mondo che lo circonda ad un livello insolito, rivelandosi come un corridoio molto lungo, collegato solo con se stesso all’infinito.

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