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Guayule: storia tra passato e futuro

2013-07-24 16.35.48

 

Una pianta desertica, capace tuttavia di adattarsi ai climi temperati mediterranei, che alla fine degli anni ’30 veniva coltivata anche in Italia, in Puglia, nel foggiano, con l’intento strategico di estrarne gomma naturale.

In seguito alle emergenze dettate dalla seconda guerra mondiale il progetto fu abbandonato.

 

La storia

Fin dai primi del ‘900, il Guayule iniziò a catalizzare l’attenzione dei chimici, degli agronomi e dei governi del mondo, per le caratteristiche che lo rendevano appetibile nella prospettiva dell’approvvigionamento bellico di una materia prima strategica, svincolato dalle importazioni estere. Nel 2010, Mark R. Finlay, Professore appassionato di Storia dell’agricoltura  presso la Armstrong Atlantic State University,  in una testimonianza  a Montpellier, sul futuro delle piante alternative per l’estrazione della gomma, citò ampi stralci del proprio libro Growing American Rubber: Strategic Plants of National Security, (Rugger University Press 2009). Si tratta di un “pezzo di storia” della chimica e dell’agronomia, che documenta come la gomma da Guayule fosse al centro delle statistiche  sugli scambi commerciali USA già nel 1910. E’ del 1929 uno scatto che ritrae lo scienziato Thomas Edison, uno dei più grandi inventori della storia e precursore riconosciuto all’unanimità della Ricerca e Sviluppo – ovvero lo sforzo incessante di tradurre i risultati dell’innovazione  e della sperimentazione in prodotti per il mercato -, nel suo “giardino sperimentale” con arbusti di Guayule.

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Porta invece la data del giugno 1930 una “raccomandazione” del generale Eisenhower  a  “monitorare” la gomma da Guayule. A distanza di decenni, fu a partire dalla fine degli anni 70 che, su stimolo di studi aggiornati della società Pacific Rubber Growers – che indicavano nel Guayule la “pianta regina” per la produzione di gomma, nell’arco di circa venti anni – e in concomitanza di una accresciuta sensibilità sui comportamenti umani idonei a limitare il climate change, il Governo USA aprì la strada ad una più strutturata strategia sul Guayule. Dall’Atlantico al Mediterraneo, passando dalle sperimentazioni russe e tedesche, anche nel Sud Europa e nel Nord Africa il Guayule ha percorso un pezzo di storia “a intermittenza”, per la difficoltà di realizzare una produzione industriale competitiva. Approdando in Italia. E’ quanto ha  documentato lo storico Alberino Cianci, autore di  un saggio [1] che  racconta la storia di un’Italia, impegnata a partire dal 1933 ad affrancarsi dalle importazioni di gomma da caucciù del Brasile. Dopo una fitta attività di contatti, sopralluoghi e resoconti  di tecnici italiani e americani – dell’Intercontinental Rubber Company –, nacque  l’“Ente gomma Guayule”. Di qui, la costituzione della SAIGA – Società Anonima Italiana Gomma Autarchica – fra i cui consulenti e amministratori figuravano nomi illustri come i chimici Bruni, Natta  (premio Nobel nel 1963 per la chimica per le scoperte nel campo della tecnologia dei polimeri), Francesco Giordani. Nata il 30 dicembre 1937 con sede a Roma, purtroppo non riuscì a realizzare una produzione industriale, che invece fu raggiunta, anche se altamente diseconomica, nello stesso periodo nel sud degli USA.

 

Una filiera agro-industriale

Oggi, grazie alle nuove conoscenze nel campo della chimica molecolare  vegetale,  l’obiettivo dell’estrazione di gomma naturale da Guayule con un processo industriale  competitivo è  possibile. Un obiettivo in cui crede Versalis, oggi impegnata nello studio delle condizioni per lo sviluppo di una filiera agro dimostrativa, volte alla definizione del migliore protocollo agronomico adatto ed applicabile alle condizioni territoriali e climatiche italiane. A tale scopo sono stati condotti i cosiddetti studi di vocazionalità, tesi a  individuare le aree potenzialmente idonee  all’insediamento di una filiera agro-industriale per la produzione di gomma naturale da Guayule. Sulla base di alcuni macroparametri propri della tipologia della pianta e ai relativi requisiti agricoli, sono state selezionate alcune aree potenzialmente adatte per lo sviluppo della coltura nel territorio italiano e, successivamente, identificate alcune zone nel sud Italia come sede per la prima sperimentazione agricola.

L’avvio di campi dimostrativi e la selezione di tre differenti genotipi dell’arbusto, finalizzati a individuare l’arbusto, sia con la migliore capacità di adattamento alle condizioni climatiche- territoriali, sia con le migliori prestazioni, ha caratterizzato le fasi di indagine scientifico-tecnica. Dai risultati sono emersi i principali requisiti agronomici – terreni e loro lavorazione, semina, diserbo e protezione della coltura, irrigazione e fertilizzazione, ecc – utili alla coltivazione del Guayule nel Mezzogiorno d’Italia. Una sfida su cui scommettere.

 

[1] Saiga, il progetto autarchico della gomma naturale. Dalla coltivazione del Guayule alla nascita del polo chimico di Terni

 

 

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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