Un nuovo polimero plastico “bio” per oceani più puliti

Una nuova ricerca della Cornell University, dopo 15 anni di studi, ha realizzato un polimero plastico velocemente biodegradabile e al contempo, resistente e funzionale

polimero plastico
Di © Hans Hillewaert, CC BY-SA 3.0, Collegamento Creative Commons — Attribution-ShareAlike 3.0 Unported — CC BY-SA 3.0https://creativecommons.orgFile:Fishing nets.jpg – Wikimedia Commonshttps://commons.wikimedia.org

Creato un polimero plastico che inizia a biodegradarsi in soli 30 giorni di esposizione ai raggi ultravioletti 

(Rinnovabili.it) – La chimica ancora una volta cerca di trovare soluzioni ai problemi ambientali che affliggono il nostro pianeta. Sono gli scienziati della Cornell University, alla ricerca di un modo per ridurre l’inquinamento da plastica nei corsi d’acqua e negli oceani, ad esser riusciti a sviluppare un polimero plastico con una resistenza paragonabile ai materiali più duraturi, ma in grado di biodegradarsi rapidamente se esposto ai raggi UV.

Questo tipo di polimero plastico, secondo la ricerca pubblicata sul Journal of American Chemical Society, sarebbe più in linea con le nostre attuali esigenze ambientali e potrebbe essere utilizzabile anche nell’industria della pesca. Lo studio vorrebbe infatti contribuire alla tutela dei mari, in particolare riducendo la persistenza di quei materiali, come le lenze da pesca, che se abbandonati possono rimanere nell’ambiente anche per 600 anni.

Come spiega Bryce Lipinski, dottoranda nel laboratorio di Geoff Coates, la pesca commerciale contribuisce alla metà di tutti i rifiuti di plastica che finiscono negli oceani. Reti e corde sono composti principalmente da tre tipi di polimeri: polipropilene isotattico, polietilene ad alta densità e nylon-6,6, nessuno dei quali si degrada facilmente. Invece il polimero plastico creato dal team della Cronell University “ha le proprietà meccaniche richieste dagli strumenti da pesca commerciale”, ma se disperso nell’ambiente acquatico “può degradarsi in una scala temporale plausibile”, rendendo così realistica la fondamentale riduzione “dell’accumulo di plastica persistente nell’ambiente”. 

Leggi anche: ”Le microplastiche sono ovunque, anche nel ghiaccio marino in Antartide”

Sottolineando l’importanza dello studio, Geoff Coates ha fatto notare che, ”mentre la ricerca di plastiche degradabili ha ricevuto molta attenzione negli ultimi anni, […] ottenere un materiale con una resistenza meccanica paragonabile alla plastica commerciale rimane una sfida difficile”.

I ricercatori hanno dovuto lavorare per 15 anni allo sviluppo di questo tipo di polimero plastico, chiamato ossido di polipropilene isotattico (iPPO) la cui prima scoperta risale al 1949. Solo oggi però, dopo numerosi tentativi, gli studiosi sono riusciti a fornire resistenza meccanica e fotodegradazione.

Questo polimero plastico infatti si rompe quando esposto alle radiazioni ultraviolette, ma il suo tasso di degradazione dipende dall’intensità della luce, il che potrebbe essere un problema. Lipinski ha però fatto notare come in laboratorio la lunghezza della catena polimerica del materiale sia diminuita di un quarto dopo soli 30 giorni di esposizione, dato che fa ben sperare. Per i ricercatori è necessario non lasciare alcuna traccia di plastica nell’ambiente e per ottenere questo risultato sono pronti a lavorare ancora, fosse anche altri 15 anni. 

Leggi anche: “Inquinamento marino: le microplastiche di superficie sono solo l’1% del totale”

Articolo precedenteDa Horizon 2020, 112 milioni per nuovi progetti energetici “verdi”
Articolo successivoCOVID-19 colpisce anche la produzione di tè in tutto il mondo

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Leave the field below empty!