La storia dell’energia solare in Italia

Il fuoco d’oro – Elettricità del Sole Elettricità direttamente dal Sole. In alcuni materiali esposti alla radiazione solare si determina un moto di elettroni e quindi una corrente elettrica. Uno di questi è rappresentato da sottili lastrine di silicio molto puro e trattato in modo particolare; quando i fotoni (“particelle” di radiazione elettromagnetica dotate di […]

Il fuoco d’oro – Elettricità del Sole

Elettricità direttamente dal Sole. In alcuni materiali esposti alla radiazione solare si determina un moto di elettroni e quindi una corrente elettrica. Uno di questi è rappresentato da sottili lastrine di silicio molto puro e trattato in modo particolare; quando i fotoni (“particelle” di radiazione elettromagnetica dotate di energia proporzionale alla lunghezza d’onda della radiazione) colpiscono gli atomi di silicio, si determina un flusso di elettroni fra la faccia della fotocella esposta al Sole e quella sottostante:si viene a creare una corrente elettrica e una differenza di potenziale che, con gli attuali materiali, è di circa 0,5 volt.

Soltanto la parte infrarossa della radiazione solare, con lunghezza d’onda superiore a 1 micrometro, è capace di determinare una corrente elettrica nelle fotocelle al silicio e in questo modo si utilizza però meno della metà dell’energia della radiazione solare totale. A causa di altre perdite si recupera, come elettricità, fra il 10 e il 15 % della radiazione solare totale. Le celle fotovoltaiche sono caratterizzate e vengono commerciate sulla base della “potenza di picco”, cioè della potenza che sono in grado di assicurare nel mezzogiorno di una giornata di estate; in tali condizioni le fotocelle sono in grado di produrre 1 chilowattora in un’ora; la potenza è minore nelle altre stagioni. La potenza di un chilowatt di picco richiede una superficie di fotocelle di circa 10 m2 e consente di ottenere circa 1.000-1.300 chilowattore di elettricità all’anno (circa 100-130 chilowattore all’anno per m2 di superficie delle fotocelle). La produzione di elettricità nelle celle fotovoltaiche, che pure utilizzano sia la radiazione solare diretta sia quella diffusa, è intermittente; l’energia elettrica deve perciò essere accumulata in batterie di accumulatori che la restituiscono quando è richiesta e quando le fotocelle non la producono, per esempio di notte.
L’elettricità prodotta dal Sole può essere accumulata utilizzandola, a mano a mano che si rende disponibile, per scomporre l’acqua producendo l’idrogeno che è un gas combustibile e può essere immagazzinato in un serbatoio. Oppure l’elettricità può essere usata per sollevare l’acqua in un bacino sopraelevato; quando il Sole non c’è, l’acqua scende attraverso una turbina e restituisce gran parte dell’energia accumulata.
Come si vedrà più avanti, un chilowattora di energia può essere ricuperato ogni volta che 3.600 metri cubi di acqua superano un dislivello di 10metri. Con una adatta sistemazione delle fotocelle è possibile ottenere corrente elettrica anche a 150 volt; si tratta però di corrente continua, differente dalla corrente elettrica alternata che arriva nelle nostre case e nelle industrie: Poiché la maggior parte dei dispositivi elettrici funzionano a corrente alternata, occorre progettare e costruire nuove macchine e apparecchiature in grado di funzionare con l’elettricità, nella forma in cui viene fornita dalle celle fotovoltaiche solari. La strada più semplice è comunque ancora quella della carica di batterie di accumulatori per la quale, del resto, occorre proprio corrente continua.

Il prezzo delle celle fotovoltaiche, divenute commerciali nel 1954, è andato diminuendo continuamente a mano a mano che aumentava la diffusione. Nel 2004 tale prezzo si aggira intorno a 5.000 euro per chilowatt di picco, più o meno 500 euro per m2 di fotocelle capaci di fornire, come si è detto, da 100 a 130 chilowattore di elettricità all’anno. (martedì 7 giugno 2005)

Accumulatori di luce solare?

Nel 1992 una notizia sembrò aprire nuovi orizzonti alle prospettive di utilizzare in modo efficace l’energia solare, una fonte dienergia che potrebbe liberare l’umanità dalla schiavitù delle centrali elettriche e del petrolio e carbone; molte volte, peraltro, si è dovuto riconoscere che la società solare è ancora lontana a causa delle caratteristiche dell’energia solare. Benché il Sole irraggi ogni anno sulla Terra una enorme quantità di energia, 10.000 volte maggiore di quella consumata dagli esseri umani, l’ottenimento di calore e elettricità dal Sole si scontra con alcuni inconvenienti. L’energia solare è molto dispersa sul territorio, rispetto alle richieste umane, la sua densità per unità di superficie è, cioè, bassa. Inoltre l’intensità dell’energia solare è molto variabile nelle ore del giorno e nelle stagioni dell’anno. Ogni giorno circa l’80 % dell’energia è disponibile fra le 8 e le 16, e per circa 12 ore ogni giorno la radiazione solare manca del tutto.
Le richieste umane di calore e di elettricità sono invece elevate anche la sera e la notte. Nel corso dell’anno circa l’80 % dell’energia solare è concentrata nei sei mesi da marzo a settembre (nell’emisfero settentrionale); le necessità umane di calore sono invece più intense proprio nei mesi autunnali e invernali.
I più efficaci sistemi di utilizzazione della radiazione solare sono basati sul riscaldamento dell’acqua entro collettori esposti al Sole, oppure sulle celle fotovoltaiche che trasformano direttamente l’energia solare in elettricità. In entrambi i casi il più grande inconveniente consiste nella difficoltà di accumulare il calore o l’elettricità per periodi superiori a pochi giorni. Sono stati tentati vari sistemi per raccogliere il calore solare d’estate in grandi vasche ben isolate, in modo da potere estrarre il calore durante l’inverno, ma i vari metodi non hanno superato la fase sperimentale.
Il più efficace sistema di cattura della radiazione solare è oggi basato sull’utilizzazione di celle fotovaltaiche; un sottile strato di silicio, o di pochi altri materiali, trattati chimicamente, viene esposto alla radiazione solare. Fra la parte superficiale esposta al Sole e la parte retrostante delle fotocelle si forma una differenza di potenziale che genera una corrente elettrica, con un rendimento abbastanza elevato; un pannello di fotocelle solari della superficie di un metro quadrato genera, nel corso di un anno, 100 kilowattore di elettricità, un trentesimo di quella consumata in un anno da una famiglia media. Ma anche in questo caso l’elettricità disponibile è proporzionale all’intensità della radiazione solare e quindi varia con le ore del giorno e nei vari mesi dell’anno; per poter avere elettricità nelle ore in cui non c’è Sole, un sistema di fotocelle solari deve essere integrato con una batteria di accumulatori in cui l’elettricità arriva a mano a mano che si forma dal Sole e in cui viene “immagazzinata”. Gli accumulatori di elettricità sono però pesanti e ingombranti e costosi e rappresentano un insoddisfacente sistema di accumulo dell’energia solare; l’elettricità solare, inoltre, non può essere immagazzinata per molto tempo negli accumulatori.
La scoperta di un metodo di accumulo della radiazione solare per almeno alcune ore consentirebbe di far funzionare le fotocelle anche di notte; inoltre la stessa produzione di elettricità sarebbe ottenibile con una superficie di fotocelle molto inferiore a quella attuale. Le fotocelle infatti restano inutilizzate per oltre la metà dell’anno, nei giorni e mesi in cui la radiazione solare non c’è o è troppo bassa.

Ecco uno straordinario campo di lavoro per coloro che si occupano della chimica e della fotochimica dei materiali; molti materiali, come il solfuro di zinco o l’alluminato di stronzio, esposti alla luce, emettono luce anche al buio per qualche tempo; ci sono anche dei piccoli oggetti domestici che continuano ad emettere luce per molti minuti o anche ore dopo l’esposizione ad una sorgente luminosa. Ai fini energetici la loro utilità è peraltro limitata perché, al buio, “restituiscono” come energia luminosa soltanto una piccolissima frazione dell’energia che hanno ricevuto.

La notizia di cui parlavo all’inizio si riferisce invece ad una scoperta fatta negli Stati uniti dove due chimici avrebbero identificato una sostanza solida che, esposta al Sole, cambierebbe di colore e conserverebbe il nuovo colore per alcuni giorni. Ho usato il condizionale perché per ora si sa troppo poco sugli effettivi risultati conseguiti; non possiamo dimenticate che siamo stati scottati già molte volte dalle notizie di eventi scientifici “miracolosi”, apparsi sui quotidiani prima che nelle riviste scientifiche (dall’acqua dotata di memoria, alla fusione nucleare fredda) rivelatesi poi false.

Secondo le notizie finora disponibili la sostanza capace di immagazzinare la luce si chiama cloruro di dialchil-viologeno, o cloruro di dialchil-dipiridinio. A chi è poco familiare con la chimica il nome forse dice poco, tanto più che molte sostanze rientrano in questa classe; più interessante è il fatto che il paraquat o gramoxane, un erbicida, è proprio un cloruro di dimetildipiridinio e quindi la sostanza capace di accumulare e restituire luce solare deriverebbe da un materiale prodotto su larga scala a basso costo.

Il cloruro di viologeno presenta la nuova proprietà di accumulatore di luce quando è addizionato con fosfonato di zirconio. La miscela, esposta al Sole, cambia di colore da bianco a azzurro e il mutamento sembra sia duraturo, fino a quando l’energia immagazzinata non viene restituita, per esempio ad una cella fotovoltaica che potrebbe così funzionare anche di notte. E’ troppo presto per correre con la fantasia: ma se questo, o qualsiasi altro materiale, fosse davvero capace di subire, per esposizione alla luce solare, un mutamento reversibile una volta che si trova al buio, saremmo di fronte ad una riduzione di almeno tre volte dei costi di produzione dell’energia fotovoltaica. Veramente il problema di catturare l’energia del Sole farebbe un significativo passo avanti e ne trarrebbero vantaggio i paesi dove la radiazione solare è più intensa. Arriveremo un giorno ad avere nel Sahara delle centrali fotovoltaiche solari capaci di esportare
elettricità in Europa ?
*(La Gazzetta del Mezzogiorno – 5 settembre 1992)*

Viaggiare con il Sole

Nel 1960 fu presentata alla Fiera di Roma la prima automobile dotata, sul tetto, di un paio di metri quadrati di fotocelle in grado di ricaricare, con l’energia solare, le batterie del motore elettrico. Era la breve stagione di Kennedy in America, gli anni in cui si sperava nella diffusione di una scienza e tecnologia al servizio delle necessità umane; appena sei anni prima erano state inventate le fotocelle solari a base di silicio, capaci di trasformare la radiazione solare direttamente in elettricità.
Da un secolo si sapeva che in certi materiali, come il selenio, illuminati dal Sole, si genera una corrente elettrica, ma il grande balzo avanti si ebbe quando tre scienziati dei laboratori della società telefonica Bell scoprirono che il silicio si prestava a preparare fotocelle molto più efficienti: nel 1957 erano già in commercio celle fotovoltaiche capaci di trasformare in elettricità il 15 % dell’energia della radiazione solare. Il satellite artificiale Vanguard I nel 1958 fu il primo a utilizzare le fotocelle a silicio per ottenete l’elettricità per le proprie apparecchiature.

Sarebbe stato possibile usare l’elettricità solare per muovere automobili, battelli, aeroplani, come sembrava promettere l’automobile esposta a Roma? Nel corso di oltre quarant’anni il prezzo delle fotocelle al silicio è diminuito di oltre dieci volte; le celle fotovoltaiche solari sono utilizzate normalmente non solo sui satelliti artificiali, ma in innumerevoli applicazioni terrestri; per fornire elettricità per telefoni e telecomunicazioni in zone isolate, fino ai pannelli stesi sul tetto delle case, in grado di fornire elettricità per le necessità degli abitanti e addirittura in eccesso da vendere alle società elettriche.

Le applicazioni nel campo dei trasporti sono più difficili perché un veicolo deve potersi muovere anche usando l’intensità del Sole è bassa e il cielo è coperto o quando piove; inoltre i mezzi di trasporto attuali sono stati progettati per essere alimentati con motori molto potenti, sempre più potenti a mano a mano che diminuiva il prezzo del petrolio. Nonostante tali difficoltà il 7 luglio 1981 il primo aeroplano interamente funzionante con energia solare ha attraversato il canale della Manica, da Parigi in Francia a Cantebury in Inghilterra, 240 chilometri a 4000 metri di altezza. Fu la prova che si poteva volare con l’energia del Sole!

Oggi è in costruzione un aereo che l’anno venturo compirà il giro del mondo alimentato con l’elettricità fornita dalla radiazione solare. Il progettista è Bertrand Piccard, nipote di August Piccard che nel 1931 aveva stabilito il primato di altezza (16.000 metri) a bordo di un pallone, e figlio di Jacques Piccard che nel 1954 aveva stabilito, con il batiscafo “Trieste”, di costruzione italiana, il primato di profondità a 11.000 metri nella fossa delle Marianne, nel Pacifico. L’aereo di Bertrand Piccard è ad eliche, azionate da motori elettrici alimentati da 240 metri quadrati di celle fotovoltaiche e potrà volare a 11.000 metri di altezza e a 120 chilometri all’ora. Altrettanto importanti sono i progressi nel campo delle automobili solari; non solo ci sono molti prototipi, ma alcuni modelli hanno affrontato delle gare di velocità internazionali. La prima “millemiglia” solare mondiale è stata corsa nel 1983 in Australia; dal 1987 ogni tre anni si corre la gara per auto solari suun percorso di 1600 miglia (circa 2500 chilometri) da Darwin, all’estremo nord, a Sidney, all’estremo sud del continente australiano; l’ottava edizione sarà corsa nel prossimo settembre. Nel frattempo anche gli americani si sono lanciati nella sfida e nel 2001 si è svolta la prima corsa fra automobili solari. La terza corsa interamericana, da Austin, nel Texas, nel sud degli Stati uniti, a Calgary, nello stato canadese di Alberta: questa volta 2500 miglia (quasi 4000 chilometri), si è conclusa il 27 luglio 2005, con la vittoria dell’automobile solare dell’Università del Michigan (54 ore nette), seguita da quella dell’Università del Minnesota, a 11 minuti.

Le automobili solari da corsa sono per lo più fabbricate da studenti universitari di ingegneria che riescono a farsi finanziare dalle proprie università, da industrie private e addirittura con collette fra studenti e cittadini. Inutile dire che le corse fra automobili solari rappresentano una forma di pubblicità per le università, il cui nome corre in tutte le televisioni, assicurando un grande prestigio, per le imprese automobilistiche e per quelle dell’energia. La costruzione di una automobile da corsa solare che costa da 100 a 200 mila euro, molto meno di una auto da formula uno, richiede la soluzione di molti problemi scientifici, elettrici, meccanici; per le corse con auto solari sono stati utilizzati materiali di avanguardia a base di fibre di carbonio per la carrozzeria; sono state perfezionate speciali batterie di accumulatori al litio, e sono stati studiati nuovi tipi di motori. Molti dettagli si trovano in Internet. Ciascuna tappa si corre per dodici ore al giorno dal sorgere al tramonto del Sole; l’elettricità ottenuta dal Sole alimenta direttamente i motori elettrici e, quando è in eccesso, viene accumulata nelle batterie e diventa disponibile più tardi. Alcuni ridono e pensano che le auto solari, che non usano petrolio, non inquinano e non fanno rumore, resteranno delle curiosità; ma sono gli stessi che ridevano quando i fratelli Wright, col loro rudimentale aeroplano, si sollevarono di pochi metri dal suolo; pochi anni dopo gli aerei solcavano a centinaia i cieli. Forse fra poco le auto solari perfezionate — magari, perché no? in qualche università italiana — percorreranno le nostre strade.
Idea non banale, perché oggi 9 agosto 2005 il petrolio WTI ha superato i 64 dollari al barile, il che equivale, con il cambio di 1,24 dollari per euro, a oltre 380 euro alla tonnellata.
*(9 Agosto 2005)*

Il fuoco d’oro – Il Sole “fabbrica” materiali

L’energia solare fissata come vegetazione. La cosa che il Sole sa fare bene, senza macchine, su larga scala e con notevole efficienza è “fabbricare” materia organica attraverso i processi di fotosintesi. La fotosintesi consiste nella combinazione di due molecole molto semplici — quella dell’anidride carbonica CO2 e quella dell’acqua H2O — presenti nell’atmosfera e nel terreno in grande quantità e del tutto gratuite; nelle foglie verdi (il colorante verde clorofilla funziona da catalizzatore della sintesi) e sotto l’azione della radiazione solare si formano sostanze organiche più o meno complesse, attraverso varie strade, con immissione nell’aria di ossigeno O2 che è il sottoprodotto (in un certo senso il “rifiuto”) della reazione. Alla fine, in seguito anche ad altre reazioni che comportano l’uso dell’azoto fornito dal terreno e di altri elementi, nei vegetali si forma un insieme di sostanze organiche ricche di energia. Si tratta, principalmente, di zuccheri, amido, cellulosa, lignine, sostanze proteiche, grassi, eccetera. Se questi vengono bruciati restituiscono, come calore, l’energia che il Sole ha messo a disposizione per la loro sintesi. Si può quindi dire che le sostanze organiche presenti nella massa vivente vegetale — nella “biomassa” — “contengono” incorporata dentro di se energia solare e tale energia restituiscono bruciando, anche nel corpo degli animali che se ne sono nutriti. Anche ogni persona e ogni animale, quindi, “mangia” energia solare. La quantità di energia solare che può essere fissata dalla vegetazione varia molto a seconda del tipo di piante, delle condizioni climatiche, eccetera. Inoltre la fotosintesi utilizza soprattutto la componente visibile della radiazione solare. Nelle zone in cui sono presenti colture ecologicamente stabili — come grandi foreste — è possibile recuperare sotto forma di sostanze organiche circa l’uno per cento della radiazione solare totale incidente. Se si ricorda che gli scaldacqua solari e i distillatori solari utilizzano praticamente circa il 40 % della radiazione solare incidente e che le fotocelle solari trasformano in elettricità non più del 13 % della radiazione incidente totale, si vede che un rendimento dell’uno per cento, senza macchine, si può considerare buono.
Nelle condizioni dell’Italia, dove la radiazione solare incidente, come si è detto, è in media di circa 5.000 MJ/m2 all’anno, per un ettaro (10.000 m2) un rendimento dell’uno per cento corrisponde a circa 500 mila MJ all’anno di energia recuperata sotto forma di biomassa vegetale secca del peso di circa 30.000 kg. Se si considera che il potere calorifico dei prodotti petroliferi è di circa 40 MJ/anno, si può dire che un ettaro di terreno coltivato o di bosco rappresenta un pozzo inesauribile che fornisce l’energia equivalente a quella di circa 12 tonnellate di prodotti petroliferi all’anno. La materia organica vegetale presente nella biomassa è, peraltro, una fonte di energia ben differente dal petrolio, dal carbone, dal gas naturale, dalla benzina. Si possono tuttavia trasformare le sostanze organiche vegetali in combustibili liquidi, oppure in materie prime che, alternativamente, dovrebbero essere fabbricate usando petrolio. Se le sostanze organiche della biomassa sono ricche di amido e zuccheri queste possono essere trasformate per fermentazione in alcol etilico; è la stessa operazione che si ha nel vino e nella birra, derivati da materie agricole “solari” anch’essi. L’alcol etilico puro è un liquido combustibile che può essere miscelato con la benzina e può essere utilizzato, quindi, come carburante per autoveicoli.
Già in passato in vari paesi, e anche in Italia, negli anni trenta e quaranta del Novecento, l’alcol etilico di origine agricola, e, quindi, derivato dal Sole, è stato usato come carburante. Per molti decenni in Brasile l’alcol etilico ottenuto dallo zucchero di canna è stato usato come carburante con notevole risparmio di prodotti petroliferi; negli Stati uniti è stato usato come carburante l’alcol etilico derivato dall’amido di mais. I materiali lignocellulosici possono anch’essi essere trasformati in alcol etilico per fermentazione, oppure, per riscaldamento ad alta temperatura, possono essere trasformati in due gas — ossido di carbonio CO e idrogeno H2 — dai quali si può ottenere per sintesi alcol metilico il quale può anch’esso essere usato in miscela con la benzina come carburante per autoveicoli. In molte operazioni agricole si formano dei sottoprodotti che possono essere trasformati in metano CH4, un gas combustibile (anzi è lo stesso costituente del gas naturale) mediante processi semplici e noti. Si parla di “biogas” per indicare il metano ricavabile da sottoprodotti e scarti agricoli e zootecnici, quindi il metano “solare”.

Sempre più spesso si parla di “coltivazioni” o “piantagioni energetiche” per indicare colture progettate proprio per ottenere combustibili o materie alternative a quelle ricavate dal petrolio. Il recupero produttivo a fini energetici dei tre milioni circa di ettari abbandonati in Italia fornirebbe una importante frazione dei prodotti petroliferi consumati ogni anno in Italia (circa 100 milioni di tonnellate nel 2004), con vantaggi per le minori importazioni, con aumento dell’occupazione, della ricchezza interna, con vantaggi per la difesa del suolo, eccetera. (7 giugno 2005)

Il fuoco d’oro

Calore solare ad alta temperatura. Mediante specchi piani o concavi, opportunamente disposti, il calore solare può essere concentrato in spazi ristretti, su un tubo o su una caldaia, ed è possibile in questo modo ottenere calore a temperature anche molto elevate. Anche se forse la storia di Archimede che avrebbe incendiato le vele delle navi romane con specchi ustori solari non è del tutto vera, molti laboratori hanno costruito e utilizzato dei forni solari e sono stati proposti progetti di grandi centrali termiche o termoelettriche azionate con il calore solare concentrato mediante specchi. Il rendimento di una macchina termica dipende dalla temperatura a cui è disponibile il calore; con i collettori piani senza concentrazione si dispone di calore a bassa temperatura (meno di 100°C) e il rendimento di un motore solare è di circa il 2 % (il rendimento massimo teorico per un motore alimentato da calore a 100°C che “rigetta” calore alla temperatura media dei mari, 15°C, risulta: [100-15]/[273+100] = 2,3 %).Con una centrale termoelettrica solare a specchi è possibile ottenere vapore anche a 500°C e il rendimento può aumentare molto, anche oltre il 40 % (il rendimento massimo teorico risulterebbe di circa [500-15]/[273+500] = 62 %). Una centrale termica solare è costituita sostanzialmente da un sistema di specchi che concentrano la radiazione solare su una caldaia. Gli specchi devono essere tenuti continuamente in movimento per seguire il Sole nel suo “moto apparente” nel cielo e tale moto, come si sa, varia da giorno a giorno. L'”inseguimento” del Sole può essere fatto con dispositivi meccanici, ad orologeria, oppure il moto di ciascuno specchio può essere guidato da un sistema fotoelettrico o elettronico puntato verso il Sole. Si tratta comunque di sistemi delicati e complessi, soprattutto se la centrale si trova in zone aride e poco abitate. Un altro grave inconveniente è rappresentato dal fatto che gli specchi riflettono soltanto la radiazione solare diretta, per cui quando il cielo è coperto viene a cessare il flusso di calore verso la caldaia. Una caldaia è quindi riscaldata in modo irregolare ed è difficile conservare costante la temperatura del suo fluido; una delle soluzioni consiste nel porre nella caldaia dei sali che fondono assorbendo calore e restituiscono il calore gradualmente al vapore che alimenta le turbine. Nessun sistema peraltro, finora, si è rivelato soddisfacente anche perché le perdite di calore sono tanto più grandi e rapide quanto più elevata è la temperatura. Le grandi centrali termoelettriche solari appaiono quindi come idee attraenti ma di dubbia utilità pratica. Una centrale da 1000 chilowatt di potenza, con una superficie di specchi di 7800 m2, è stata costruita ad Adrano in Sicilia, da un consorzio italo-franco- tedesco, è entrata in funzione nel 1981 ma, dopo alterne vicende, è stata abbandonata nel 1987. Uno degli inconvenienti delle centrali solari alimentate da calore solare concentrato ad alta temperatura sta nel fatto che il corporiscaldato — tubo o caldaia — perde calore per convezione, conduzione e irraggiamento in quantità tanto maggiore quanto maggiore è la sua temperatura. Un ingegnoso sistema per ridurre tali perdite consiste nel coprire il corpo riscaldato con una struttura di tubi “a nido d’ape” aventi lunghezza circa dieci volte superiore al loro diametro (per esempio lunghi venti o trenta centimetri e con diametro di due o tre centimetri). Il calore “contenuto” nel fondo di tali strutture, nella parte a contatto col corpo caldo, non esce all’esterno perché l’aria contenuta in ciascun tubo è praticamente stazionaria e quindi cattiva conduttrice del calore; se la struttura a nido d’ape “guarda” il Sole o un corpo a temperatura maggiore della propria, la superficie ad alta temperatura (diciamo 500°C) al fondo di ciascun tubo, si comporta come un “corpo nero” e non perde calore neanche per irraggiamento. (lunedì 2 maggio 2005)

Il fuoco d’oro – Il riscaldamento

Il riscaldamento solare degli edifici. Una volta che è possibile “catturare” l’energia solare e ottenerla sotto forma di acqua calda o di aria calda, il primo pensiero che viene riguarda la prospettiva di utilizzare tale energia per il riscaldamento degli edifici; in questo inizio del XXI secolo si può stimare che, in Italia, il riscaldamento degli edifici di abitazione e commerciali assorba, sotto forma di calore da petrolio o gas naturale e di elettricità, circa 1.000 PJ all’anno (circa 25 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Una grande quantità di costosi prodotti petroliferi viene quindi bruciata per scaldare l’aria degli edifici spesso di pochi gradi; d’inverno si cerca di avere nei locali una temperatura di circa 20°C. Si tratta di un forte spreco perché l’energia viene liberata nelle caldaie sotto forma di calore ad una temperatura di molte centinaia di gradi e viene poi “degradata” a una ventina di gradi; ancora maggiore lo spreco se si usano impianti di riscaldamento elettrici. L’energia solare raccolta a temperatura fra 50 e 80°C, come è possibile fare con gli attuali collettori, potrebbe far risparmiare una notevole frazione dell’energia attualmente consumata nel settore domestico. Vi sono però alcuni inconvenienti: della radiazione solare totale annua circa il 35 % è disponibile nei mesi estivi, circa il 25 % è disponibile nella primavera e altrettanto nell’autunno e circa il 15 % è disponibile in inverno. Purtroppo la richiesta di energia per il riscaldamento è concentrata d’inverno, quando l’intensità della radiazione solare è minima. Un sistema solare progettato per il riscaldamento degli edifici raccoglie quindi la massima quantità di energia solare quando la richiesta è limitata o inesistente. Il calore solare raccolto nella primavera, in estate e in autunno e non richiesto per il riscaldamento degli edifici può essere utilizzato per produrre acqua calda, la cui richiesta è uguale più o meno tutto l’anno, ma in questo caso tutto il sistema energetico diventa più complicato; occorrono pompe per far circolare aria o acqua calda entro sistemi di distribuzione diversi a seconda delle stagioni e troppo poco si sa sul reale risparmio che si realizza in questo modo.

Cominciano ad essere diffusi anche impianti che utilizzano il calore solare estivo per il condizionamento dell’aria; molti edifici pubblici o privati richiedono, infatti, calore invernale e raffreddamento estivo e il condizionamento dell’aria è fatto con l’elettricità; la climatizzazione completa degli edifici comporta consumo e spreco di grandi quantità di energia e il Sole può assolvere entrambe le funzioni. L’energia solare può dare un contributo rilevante al risparmio dell’energia negli edifici se questi vengono progettati e costruiti in modo da utilizzare al massimo l’energia solare così come è disponibile, senza collettori o pannelli. Gli edifici possono essere orientati in modo da recuperare il massimo della radiazione solare invernale; con i “sistemi passivi” di raccolta dell’energia solare, in alternativa a quelli “attivi” a base di collettori, alcune pareti esterne sono disposte in modo da scaldarsi utilizzando anche la piccola quantità di calore solare disponibile d’inverno: Nella parete viene predisposta una intercapedine piena d’aria; questa si scalda a sua volta, si mette in moto spontaneamente e circola nelle stanze. Creando zone d’ombra è possibile provocare d’estate una corrente d’aria fra queste e le zone calde degli edifici e ottenere così una
ventilazione estiva senza condizionatori d’aria. Si può pensare ad una disposizione delle stanze negli edifici in modo da utilizzare meglio la radiazione solare come fonte di illuminazione al posto della luce elettrica.
La progettazione di edifici con il vincolo di consumare il meno possibile l’energia esterna e di utilizzare il massimo della radiazione solare disponibile rappresenta una interessante sfida per un gran numero di architetti. (30 aprile 2005)

Quando le celle fotovoltaiche erano al selenio

Vi ricordate quando Edmond Dantès, il Conte di Montecristo del celebre romanzo di Alessandro Dumas, fa arrivare per telegrafo un’informazione sbagliata al malvagio e avido banchiere Danglars, che lo aveva ingiustamente fatto arrestare e finire per anni nel tetro carcere del castello d’If a Marsiglia ? E così Danglars è punito con una ingente perdita di denaro? Siamo nel 1838 e il Conte di Montecristo si mette di persona a muovere le tre braccia del telegrafo ottico che collegava tutta l’Europa, trasmettendo i segnali da una torre di osservazione ad un’altra.

Il telegrafo ottico era stato inventato alla fine del Settecento dai fratelli Chappe ed era sembrato una macchina talmente importante che l’Assemblea rivoluzionaria francese l’aveva ufficialmente adottato nel 1792. Il racconto di Dumas si riferisce comunque ad uno degli ultimi periodi di vita del telegrafo ottico. Nella lontana America Samuel Morse aveva realizzato un sistema per trasmettere lettere e messaggi utilizzando la corrente elettrica e un alfabeto da lui inventato, composto di linee e punti; il 24 maggio 1844. Morse trasmise il primo messaggio telegrafico da Washington a Baltimora e da quel momento il telegrafo elettrico passò da un successo all’altro. Il passo successivo consisteva nel superare mari e oceani e qui interviene il personaggio di cui volevo parlare, l’inglese Willoughby Smith (1828-1891), impiegato in una fabbrica chimica che lavorava la guttaperca, una gomma elastica naturale estratta da piante dell’Indonesia e che presentava buone proprietà isolanti dell’elettricità e buona resistenza all’acqua. Coprendo dei fili di rame con questa guttaperca la società di Smith fabbricò i primi cavi elettrici che potevano essere immersi nel mare, adatti quindi alle trasmissioni telegrafiche sottomarine; il primo, lungo 50 chilometri, collegò nel 1850 Dover in Inghilterra con Calais in Francia. L’importante passo successivo fu fatto esattamente 150 anni fa — per questo lo si ricorda oggi — quando un cavo telegrafico ben più lungo fu steso fra la città di La Spezia, ancora nel Regno di Sardegna, con la Corsica e poi con la Sardegna e l’Africa settentrionale, unendo per la prima volta direttamente due continenti.
I collegamenti intercontinentali continuarono nel 1858 con la posa del cavo telegrafico sottomarino che univa l’Irlanda con l’isola di Terranova nel Nord America. Nasceva la società moderna e la globalizzazione, mezzo secolo prima delle trasmissioni “senza fili” della radio di Marconi e un secolo prima delle trasmissioni con
satelliti artificiali. Ma i satelliti artificiali non sarebbero mai stati realizzati se il nostro Willoughby Smith non avesse fatto anche un’altra scoperta. Per le prove di isolamento, durante l’immersione dei cavi telegrafici sottomarini, Smith usò delle barrette di selenio metallico, considerato un cattivo conduttore dell’elettricità. Smith scoprì però che le proprietà elettriche del selenio variavano quando era tenuto al buio, rispetto a quando era esposto al Sole. Al buio le barrette di selenio non lasciavano passare l’elettricità e alla luce diventavano, sia pure limitatamente, conduttrici di elettricità. Colpiti da questa strana proprietà altri due inglesi, Adams e Day, condussero altri esperimenti e scoprirono che nel selenio esposto alla luce addirittura si generava una corrente elettrica che cessava quando la superficie di selenio era tenuta al buio e chiamarono questo fenomeno “fotoelettricità”. Fra tutti questi stranieri non dimentichiamo che anche gli italiani hanno avuto un ruolo nell’utilizzazione dell’energia solare; al professore pisano Antonio Pacinotti si devono alcuni fondamentali studi sulle proprietà fotoelettriche del selenio, pubblicati nel 1863-64.
Ormai erano aperte le porte per la produzione di elettricità direttamente dalla luce del Sole. Al fianco di alcune applicazioni commerciali come le celle fotoelettriche per l’apertura e chiusura automatica delle porte o per gli esposimetri delle macchine fotografiche, il selenio fu impiegato per la costruzione delle prime cellule fotovoltaiche solari in senso moderno. L’americano Charles Fritts realizzò un pannello fotovoltaico stendendo un sottile strato di selenio su una lastra di metallo e costatò che il pannello produceva una corrente elettrica quando era esposto sia alla luce solare, sia alla luce artificiale. Fritts mandò uno dei suoi pannelli fotovoltaici al grande fisico tedesco Werner von Siemens che ne riferì all’Accademia reale di Prussia e pubblicò nel 1885 un articolo “sulla forza elettrica generata dal selenio esposto alla luce, scoperta dal sig. Fritts di New York”. Il lungo cammino per la comprensione del fenomeno delle fotoelettricità — ci sarebbe voluto addirittura Einstein per spiegare che la luce “contiene” dei fotoni dotati di energia, i quali mettono in moto gli elettroni all’interno di alcuni materiali come il selenio e, si vide in seguito, il silicio e altri ancora — è stato raccontato nel libro Righini-Nebbia, “L’energia solare”, pubblicato da Feltrinelli nel 1966 e ormai introvabile, e nel più recente libro di Perlin “Dal Sole”, pubblicato nel 2000 dalle Edizioni Ambiente. Per farla breve il primo pannello solare fotovoltaico in senso moderno, a strato di selenio, fu costruito nel 1931, ma il suo rendimento era molto basso; solo meno dell’uno per cento della energia solare veniva trasformata in energia elettrica. Soltanto nel 1953 fu scoperto, nei laboratori americani della società elettrica Bell, che il selenio poteva essere sostituito dal silicio opportunamente trattato; in pochi anni le celle fotovoltaiche al silicio sarebbero diventate commerciali e avrebbero raggiunto, oggi, la capacità di trasformare circa il 12 per cento dell’energia solare in energia elettrica. Sono i pannelli solari che forniscono continuamente l’elettricità ai satelliti artificiali che trasmettono notizie, film, le partite di calcio, le informazioni meteorologiche, eccetera. I pannelli solari, che si stanno diffondendo in tutto il mondo, producono, alle nostre latitudini, circa 100 chilowattore di elettricità all’anno per ogni metro quadrato di superficie esposta al Sole; in molti — e anche io stesso — considerano i pannelli solari come gli strumenti per mettere il Sole al servizio degli esseri umani nei paesi industrializzati, ma soprattutto nei paesi del Sud del mondo. Pannelli solari, senza parti in movimento, di semplice funzionamento, possono portare l’elettricità per far funzionare frigoriferi per la conservazione dei medicinali, per portare conoscenze e per illuminare le case in milioni di villaggi nei deserti, nelle foreste, sulle montagne, grazie al Sole. Il cammino che vi ho proposto ha il fine di ricordare che niente di quello che abbiamo oggi è possibile senza il contributo talvolta glorificato, ma spesso dimenticato e ignorato, di tante persone che ci hanno preceduto. Almeno un grazie!
*(La Gazzetta del Mezzogiorno, 16 giugno 2004)*

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