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Coordinamento Free: Il Piano Energia Clima? Ci porta verso un “Grey” Deal

Secondo il gruppo i pochi cambiamenti apportati al testo del PNIEC hanno peggiorato la situazione anziché migliorarla. Zorzoli: “La questione più preoccupante è quella legata al carbone”

Coordinamento Free
Foto di trealon da Pixabay

Cambia poco la versione definitiva del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, rispetto alla proposta di un anno fa, e dove cambia peggiora. è questa la conclusione alla quale è arrivato il Coordinamento Free dopo aver analizzato la nuova versione del PNIEC.

«La questione più preoccupante è quella legata al carbone – afferma G.B.Zorzoli, presidente di FREE – L’uscita dal carbone viene condizionata a una serie di infrastrutture quali il cavo HVDC Sardegna-Sicilia-Sud che sono difficilmente completabili entro il 2025, mettendo così una seria ipoteca sull’abbandono del combustibile fossile più climalterante. E non ci si ferma qui. Per attuare il phase out dal carbone il Pniec stesso vuole che siano implementate nuove centrali termoelettriche a gas che dovrebbero servire, il condizionale è d’obbligo, anche a garantire la stabilità dl sistema elettrico».

 

Ma è il quadro generale che disegna il PNIEC a possedere più ombre che luci. Nel piano viene sottolineata la necessità dicostituire una struttura tecnico-politica di stimolo all’attuazione del Piano”, ma l’unico strumento in grado di garantire la governance del PNIEC, ossia una “cabina di regia” presso Palazzo Chigi, non viene nemmeno preso in considerazione, mentre per quanto riguarda la semplificazione degli iter autorizzativi se da un lato il PNIEC analizza le modifiche alle norme vigenti per rendere più spedito l’iter autorizzativo degli impianti e delle infrastrutture richieste, in particolare per il repowering di quelli già in esercizio, non indica gli altri strumenti che potrebbero facilitare il consenso sociale e territoriale, come l’ autoconsumo collettivo e le comunità energetiche. Sulle seconde la posizione del PNIEC è addirittura quella di adottare l’interpretazione più restrittiva di un’indicazione che la nuova direttiva europea RED II sulle rinnovabili mette, non a caso, al condizionale. Eccola: “i membri della comunità non dovrebbero essere esentati da pertinenti costi, oneri, prelievi e imposte di misura adeguata che sarebbero a carico dei consumatori finali che non sono membri di una comunità, produttori in una situazione analoga, o qualora sia utilizzato qualsiasi tipo di infrastruttura di rete pubblica per tali trasferimenti”. Insomma lacci e lacciuoli sembrano essere sulla strada delle comunità energetiche.

 

Secondo il Coordinamento FREE, la mancanza di visione industriale la troviamo innanzi tutto nel capitolo sul’economia circolare, nel quale non si esplicita che l’attuazione dell’economia circolare richiede la modifica dell’intera filiera di un prodotto, oppure nel fatto che non si usano le fonti rinnovabili per fare politiche industriali.

Sono inoltre assenti nel PNIEC le misure concrete per fare degli investimenti nelle FER il motore di nuove attività industriali o per riconvertire settori colpiti dalla transizione energetica. Emblematico il caso del settore trasporti. In Germania, dove, diversamente dall’Italia, si sono già effettuati rilevanti investimenti per la transizione alla mobilità elettrica, viene richiesto al governo di investire risorse tra i 10 e i 20 miliardi di euro per sostenere la transizione strutturale dell’industria del settore. Tenuto conto del peso che ha in Italia l’indotto nel settore automobilistico, in particolare come fornitore di componenti del diesel per l’industria europea, l’assenza di misure precise rischia di compromettere la più rilevante modifica del PNIEC rispetto agli obiettivi del documento preliminare: il ribaltamento del contributo ai circa 6 milioni di veicoli elettrici in circolazione nel 2030, con una razionale ripartizione, con due terzi di BEV (veicoli elettrici esclusivamente con batterie) e un terzo ibridi plug-in.

Se il PNIEC italiano è l’anticamera di un Green New Deal per il nostro Paese, più che Green sarebbe meglio definirlo un Grey New Deal che guarda al futuro dallo specchietto retrovisore di un’auto endotermica.

Il position paper del Coordinamento Free

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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