Rinnovabili • batterie termochimiche

Futuri sviluppi di batterie termochimiche ad alta densità per applicazioni residenziali

Le potenzialità e le innovazioni europee nell'ambito dell'accumulo termochimico in edifici residenziali e terziari

batterie termochimiche
via depositphotos.com

di Andrea Frazzica

Nonostante le varie azioni intraprese a livello comunitario negli ultimi anni, tuttora il settore del riscaldamento e raffrescamento degli edifici copre, da solo, circa il 45% di consumo di energia primaria in Europa (circa 2500 TWh/anno). Considerando che la produzione è principalmente basata su fonti fossili, anche le relative emissioni di anidride carbonica del settore risultano particolarmente impattanti [1]. L’elettrificazione del settore del riscaldamento e raffrescamento è al momento uno dei principali approcci proposti per una profonda decarbonizzazione degli edifici. Infatti, alcune stime sul possibile impatto di un vasto impiego di pompe di calore nel settore residenziale prevedono la possibilità di arrivare ad un consumo di energia elettrica pari a 840 TWh/anno [2]. Al fine di garantire una penetrazione diffusa di tale tecnologia si deve però prevedere un supporto adeguato di sistemi di accumulo, specialmente nel caso di accoppiamento con impianti di generazione da fonte rinnovabili distribuiti.

Accanto all’impiego di sistemi di accumulo elettrico, l’utilizzo di sistemi di accumulo termico può essere considerato come asset fondamentale per incrementare la flessibilità operativa degli impianti e ridurne il costo complessivo. Il mercato dei sistemi di accumulo termico residenziale è dominato dalla tecnologia sensibile, impiegante acqua come mezzo di accumulo. Il successo di tale tecnologia è facilmente riconducibile al costo ridotto, il limitato impatto ambientale e la discreta densità di energia ottenibile. Ciononostante, nel caso in cui si voglia accumulare una grande quantità di energia o si voglia garantire la capacità di mantenere l’energia accumulata per lunghi periodi, la tecnologia sensibile risulta meno competitiva. La tecnologia che negli ultimi anni è stata proposta per sopperire ai limiti tecnologici sopra descritti è quella relativa alle cosiddette batterie termochimiche. Il processo fisico sul quale si fonda il loro funzionamento è legato allo sfruttamento di una reazione fisico-chimica reversibile fra un fluido di lavoro (solitamente acqua o ammoniaca) ed un materiale reattivo, che può essere o un solido o una soluzione liquida. Durante la fase di carica, il calore serve a separare i due componenti. Fintanto che essi vengono mantenuti separati, l’energia si mantiene accumulata senza dispersioni verso l’ambiente. Quando risulta necessario fornire energia all’utente, i due componenti vengono fatti reagire nuovamente, rilasciando il calore accumulato [3].

Se si rappresentasse un sistema di accumulo termochimico su un diagramma Ragone, sui cui assi sono indicate la densità energetica e la densità di potenza, come mostrato in Figura 1, si potrebbe notare che si tratta di sistemi con una notevole potenzialità, anche in confronto ai sistemi di accumulo di energia elettrica, soprattutto in termini di densità energetica. 

Figura 1: Diagramma di Ragone con un confronto tra diverse tecnologie energetiche

Nel passato, tale tecnologia è stata proposta e sviluppata principalmente nell’ottica dell’accumulo stagionale. Ovvero, sfruttando la capacità di mantenere l’energia accumulata per lungo periodo, se ne proponeva l’impiego per convertire l’abbondante radiazione solare disponibile in estate in calore, accumularlo fino alla stagione invernale, e quindi sopperire alla richiesta di riscaldamento. Seppur tale opzione risulti tuttora di grande interesse tecnologico, gli elevati costi e volumi necessari per coprire una percentuale di riscaldamento invernale rilevante ne hanno precluso una diffusione commerciale.

Recentemente, la commissione Europea sta supportando diversi programmi di ricerca per lo sviluppo di batterie termochimiche da interfacciare con la rete elettrica e gli impianti rinnovabili distribuiti, per incrementare la flessibilità operativa su base settimanale e non più stagionale. Questo approccio consente di sfruttare le caratteristiche positive della tecnologia, pur mantenendo costi e volumi del sistema contenuti e quindi raggiungere in tempi più rapidi la commercializzazione. Un esempio, è la batteria termochimica sviluppata nel progetto Heat-Insyde, recentemente presentata in un articolo su Rinnovabili.it. Questo prodotto, in fase di validazione, ha già consentito l’avvio di uno spin-off accademico che ambisce a commercializzare la soluzione tecnologica sviluppata.

Sulla medesima tematica, a Gennaio 2023 sono stati avviati due nuovi progetti di ricerca e sviluppo, finanziati nell’ambito del programma Horizon Europe, che mirano allo sviluppo di soluzioni innovative di accumulo termico per applicazione in edifici residenziali e terziari. Entrambi i progetti, denominati THUMBS UP e HYSTORE, prevedono il coinvolgimento dell’Istituto di Tecnologie Avanzate per l’Energia del CNR e della società tedesca Sorption Technologies GmbH specificamente nell’ambito dell’ottimizzazione delle soluzioni di accumulo termochimico. THUMBS UP sarà dedicato allo sviluppo di materiali compositi adsorbenti a base di sali inorganici, in grado di massimizzare la densità di accumulo settimanale, sia per applicazioni di riscaldamento che di raffrescamento.

Uno dei target principali è quello di ottimizzare l’integrazione della batteria termochimica con pompe di calore reversibili, al fine di rendere le condizioni operative del sistema più flessibili. Da un punto di vista tecnico, ci si prefigge il raggiungimento di una densità di accumulo pari a 100 kWh/m3, notevolmente superiore agli attuali prototipi sviluppati in precedenti progetti. Inoltre, al fine di rendere la soluzione commercializzabile in tempi rapidi a valle del progetto, si considera un target di costo massimo pari a 200 €/kWh.

Nel caso del progetto HYSTORE, il focus principale è dedicato al design del sistema di accumulo ed alla sua integrazione con tecnologie efficienti di conversione di energia elettrica in termica per la fase di carica del sistema. In particolare, si investigherà l’impiego di soluzioni a microonde e radiofrequenze, che possano minimizzare le dispersioni termiche in fase di carica del reattore ed aumentare la temperatura, ottimizzando l’impiego di materiali adsorbenti commerciali a basso costo, quali le zeoliti sintetiche. Anche in questo caso, i target di densità energetica e di costo sono simili ai precedenti, risultando in linea con il modello di business previsto a valle del progetto. In più, verranno valutate le possibili interazioni dei sistemi di accumulo termico come asset per la fornitura di servizi a supporto della rete elettrica, in termini di stabilità di frequenza e di voltaggio, che vengono in genere associati solo a sistemi di accumulo elettrico.

Entrambi i progetti avranno una durata di 4 anni, suddivisi in una prima fase, di circa 2 anni e mezzo, dedicata allo sviluppo tecnologico ed al test in laboratorio delle diverse configurazioni sviluppate ed una seconda fase orientata all’installazione ed alla validazione delle soluzioni in siti dimostrativi reali, in edifici residenziali e terziari in Spagna ed Irlanda. Buona parte delle attività riguarderanno, inoltre, lo studio dell’impatto che tali tecnologie avranno sulla diffusione degli impianti a fonte rinnovabile e sulla loro interazione con le reti di distribuzione elettrica e di teleriscaldamento.

Riferimenti

[1] Nijs W., et al, EU challenges of reducing fossil fuel use in buildings, EUR 30922 EN, Publications Office of the European Union, 2021

[2] Thomaßen G, et al. The decarbonisation of the EU heating sector through electrification: A parametric analysis. Energy Policy. 2021 Jan 1;148:111929

[3] https://www.youtube.com/watch?v=2DGldaPbVe8

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

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Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
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Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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