
Nano Diamond Battery vuole portare le sue batterie “nucleari” sul mercato entro 5 anni
(Rinnovabili.it) – Minuscoli diamanti generati da rifiuti radioattivi, usati per creare una batteria quasi “eterna“. É l’obiettivo, apparentemente surreale, su cui sta lavorando un’azienda californiana. Una soluzione che sulla carta permetterebbe di ottenere dispositivi di accumulo indistruttibili, “circolari”, auto-ricaricabili ma soprattutto dotati di una vita incredibilmente lunga. La società, la NDB-Nano Diamond Battery, afferma infatti che una piccola batteria al diamante potrebbe durare anche fino a 28mila anni.
Il segreto? Il cuore della tecnologia è costituito da un piccolo pezzo di scorie nucleari riciclate. L’azienda ha studiato come riutilizzare parti di reattori nucleari in grafite che hanno assorbito le radiazioni dalle barre di combustibile divenendo radioattive. Questa grafite è ricca del radioisotopo carbonio-14 (C-14), che subisce un decadimento beta in azoto, rilasciando nel processo un elettrone.
Leggi anche Batterie litio metallico, la strada “morbida” verso la super ricarica
Nano Diamond Battery intende prelevare questa grafite, purificarla e impiegarla per creare minuscoli diamanti al C-14 su scala nanometrica. Il reticolo cristallino fungerebbe da semiconduttore e dissipatore di calore, raccogliendo la carica (generata dal decadimento) e trasportandola all’esterno. Il diamante radioattivo sarebbe a sua volta contenuto all’interno di un altro diamante, artificiale, stabile ed economico, con lo scopo di previene fughe di radiazioni e possibili manomissioni.
Come funziona una batteria a nano diamanti?
Per creare una cella di batteria, diversi strati di questo nano-materiale devono essere impilati e conservati con un piccolo circuito integrato, aggiungendo un piccolo supercondensatore per raccogliere, immagazzinare e distribuire istantaneamente la carica. Per ora, tuttavia, il progetto è ancora allo stadio di prova di concetto, una bozza progettuale senza alcun prototipo funzionante. Ma la società afferma che il prodotto finale sarà pronto e per il mercato di massa in 5 anni; e che sarà conforme a qualsiasi forma o standard, inclusi AA e AAA.
Per quanto incredibile possa apparire l’idea, il principio alla base della nuova “nano diamond battery” non è affatto nuovo. Già nel 2016 un team di fisici e chimici dell’Università di Bristol aveva realizzato un prototipo di “batteria a propulsione nucleare” utilizzando Nickel-63 come sorgente di radiazioni.
I vantaggi? Il dispositivo è teoricamente dotato di una vita ben più lunga delle controparti commerciali al litio, e non avrebbe bisogno di essere ricaricato.
Leggi anche Batterie litio zolfo, quadruplicata la durata di vita
Il problema principale per questa tecnologia, esclusi i costi di produzione, rimane tuttavia la bassa densità di potenza. La NDB non ha rilasciato numeri ufficiali ma secondo la ricerca dell’Università di Bristol una batteria, contenente 1 g di carbonio-14, fornirebbe 15 Joule al giorno. Un valore ben al di sotto di una batteria alcalina AA.
La trasformazione dei rifiuti nucleari in energia non è inedita.
Dai primi del ‘900 si tenta di trasformare il materiale radioattivo in corrente elettrica.
Negli anni ’70, arrivano le batterie betavoltaiche e alfavoltaiche che utilizzano isotopi radioattivi per creare limitate correnti elettriche utilizzate nei pacemaker sostituite poi dalle batterie agli ioni di litio. Queste pile atomiche sfruttano l’energia emessa dal decadimento radioattivo beta e alfa di isotopi instabili.
Impiegati nei primi pacemaker non furono più utilizzabili in seguito a causa dell’esigua potenza.
Baek Hyun Kim e Jae W. Kwon, dell’Universita’ del Missouri hanno sviluppato una batteria Betavoltaica che sfrutta l’effetto di radiolisi nell’acqua per mezzo di una nanostruttura di platino e ossido di titanio in grado di produrre energia elettrica per tempi prolungati ed efficienza elevatissima (il rapporto fra densità di potenza prodotta e densità di potenza emessa dal radionuclide supera il 50%).
http://large.stanford.edu/courses/2015/ph241/burkhard1/docs/srep05249.pdf
Ciò che ci vuole non è la volontà di credere, ma la volontà di scoprire, che è l’esatto contrario.
(Bertrand Russell)