Rinnovabili • Orti scolastici

Orti scolastici: una necessità sistemica

Orti scolastici: una innovazione… antica! Motivi e suggerimenti per generalizzare una pratica educativa che, se ben coltivata, contribuisce direttamente al cambiamento sistemico.

Orti scolastici

di Linda Maggiori 

Coltivare un orto è una delle esperienze più educative, ecologiche e appassionanti che ci siano, e sarebbe importante che a ogni scuola/classe, in tutti gli ordini, venisse assegnato uno spazio da coltivare e da valorizzare autenticamente nei suoi prodotti. L‘orto impegna tutto l’anno e, mentre ci si trova alle prese con terriccio e lombrichi, si fa esperienza diretta della biodiversità, si forniscono elementi concreti per un’alimentazione consapevole e ci si confronta con limiti e necessità pratiche che ci ricordano la nostra interdipendenza col resto della natura. Gli orti scolastici sono abbastanza diffusi nelle scuole primarie e materne ma scarseggiano dalle medie in poi, perché viene (erroneamente) ritenuta un’attività che non interessa gli adolescenti oppure, nell’istruzione superiore, un’attività da riservare in modo specialistico a determinati indirizzi.

Per le scuole che hanno abbastanza spazio, gli orti si possono facilmente realizzare nei cortili interni: nei quali non dovrebbe mai mancare neppure un albero da frutto, un bel melo, melograno o ciliegio, dal quale i bambini possono raccogliere i frutti liberamente durante la ricreazione!

Ma ci sono soluzioni creative anche per le scuole prive di spazi autonomi: si può ricavare un orticello anche da semplici cassette, impilate una sopra l’altra, e rivestite ai lati, oppure cassapanche, o grandi vasi. Se l’orto significa recuperare un contatto autentico con la terra e con i saperi del coltivarla, è importante che ogni scuola parta dalle esigenze e dai patrimoni autentici della comunità territoriale in cui si trova. Naturalmente, vi è crescente sensibilità circa questo tipo di iniziativa, grazie anche all’impegno di associazioni e istituzioni pubbliche. In molti Comuni, ad esempio, non è ormai difficile stabilire una convenzione che permetta di realizzare gli orti scolastici nei parchi pubblici cittadini. La scuola frequentata da mio figlio sorge nel centro storico di Faenza, e non ha un grande cortile. Il comune ha quindi permesso alla scuola di coltivare un piccolo pezzo di terra nel parco pubblico a poche centinaia di metri. L’orticello didattico viene coltivato dai bambini ma si coinvolgono anche gli anziani del luogo, passanti e profughi, così che l’orto diventa apertura alla comunità e assume una valenza interculturale e intergenerazionale, oltre che ambientale. 

A cosa serve un orto scolastico?

“L’orto è un’attività che apre altre porte, suscita il piacere della scoperta, incoraggia la ricerca, si può fare (tempo permettendo) sia d’autunno, fino al mese di novembre circa, sia in primavera. Nel periodo invernale quando non ci sono tante cose da fare nell’orto, abbiamo costruito mangiatoie artificiali e nidi per uccellini. Coltiviamo verdure di tutti i tipi, seguendo le consociazioni dell’agricoltura sinergica”: sono parole tratte dall’ormai classico, ma sempre attuale, “Orti di Pace”, un libro a cura di Gianfranco Zavalloni (EMI, 2010) che raccoglie diversi contributi e punti di vista su un tipo di esperienza educativa la cui “innovatività”, in realtà, sta nel riscoprire e ridare senso a una pratica in verità antica. Insieme a Pia Pera e Nadia Nicoletti, Zavalloni ha anche ideato un sito che vi suggerisco di esplorare: https://www.ortidipace.org/. Trovate invece qui un video recente in cui Nadia Nicoletti condivide riflessioni utili per insegnanti, Dirigenti e genitori interessati a diffondere la pratica dell’orto nella scuola.

Le competenze che si acquisiscono tramite un orto sono molteplici e, proprio nella realtà odierna, civicamente indispensabili: si va dalla coordinazione dei movimenti (camminare sulle assi senza pestare le piantine, inginocchiarsi, raccogliere senza strappare, annaffiare), abilità che non sono scontate in una popolazione giovanile sempre più sedentaria, statisticamente tendente all’obesità e abituata a farsi “trasportare”; all’attivazione di tutti e 5 i sensi (annusare, toccare, gustare, vedere e riconoscere, ascoltare il rumore degli insetti e degli uccelli), all’educazione scientifica e umanistica (il ciclo delle piante, come mantenere la fertilità senza concimi chimici, la geografia, la storia…).

Un’altra dimensione educativa importante è quella che si collega alla cultura del cibo: la sua provenienza, nel senso tecnico, geografico, culturale; il suo valore come prodotto della terra. In una società letteralmente inondata da cibo impacchettato e ultraprocessato, che si compra in ogni angolo, senza alcuna fatica, lavorare personalmente un orto, fare esperienza pratica del lavoro e dell’intelligenza necessarie a autoprodursi da mangiare è qualcosa di rivoluzionario e di grande valenza sociale e per la salute pubblica, in un contesto in cui le giovani generazioni sono sempre più alienate dalla realtà materiale su cui si fonda la loro stessa sussistenza.

Siamo arrivati al punto che non tutti i bambini, ad esempio, sanno che le patate sono tuberi e stanno sotto terra, o che forma hanno le loro foglie. Non tutti sanno che i piselli nascono dentro ad un bacello, o che i cetrioli mangiati appena raccolti, senza neppure sbucciarli, sono squisiti. Frequentando gli orti i bambini imparano a mangiare legumi e verdura cruda raccogliendo direttamente dalla pianta. Quegli stessi cibi che i bambini, soprattutto in base a uno stereotipo astutamente sfruttato da precise strategie di marketing, sono spinti a convincersi di non amare e magari a rifiutare se se li trovano davanti cotti e sul piatto! L’orto glieli fa conoscere tramite il piacere della scoperta e del frutto di un impegno personale. Perché allora dopo la lezione nell’orto non fare una lezione di cucina?

Se volgiamo la nostra attenzione agli adolescenti, è evidente come esistano infinite attività stimolanti che permettono di approfondire a vari livelli i saperi e i saper fare connessi alla pratica dell’orto. Autocostruirsi una compostiera è, ad esempio, un’attività manuale molto divertente e densa di conoscenze per i ragazzi più grandi: studiare e seguire passo passo la creazione del compost, gli strati tra componente azotata e carbonio, misurare la fertilità della terra, sono tutti spunti per interessanti lezioni di scienze e geografia, sulla desertificazione e sulle tecniche agricole che limitano la dispersione del carbonio (come quella sinergica), sui danni provocati dai pesticidi, sul consumo di acqua, sul consumo di suolo…

Mi piace ricordare, tra innumerevoli altri esempi possibili, un altro sapere interessante racchiuso nella pratica dell’orto, che andrebbe approfondito insieme ai bambini e ai ragazzi: la conoscenza delle erbe spontanee, che ormai si sta perdendo. Partendo dall’orto, si può spiegare ai ragazzi che non tutte le “erbacce” sono da estirpare. Alcune sono edibili, e sono la base per buonissimi piatti della tradizione. Altre hanno proprietà medicinali. Si possono quindi organizzare gite alla ricerca di erbe spontanee, nei parchi e lungo i fiumi, per poi cucinare insieme o riportarle a casa e fare interviste alle nonne e ai nonni. Le opportunità che ci dà un orto sono insomma infinite!

“Orto in Condotta”: un’iniziativa a rete

Slowfood è una nota associazione no profit, diffusa territorialmente e collegata a un’organizzazione ormai internazionale, che è impegnata nella difesa della cultura legata al “buon cibo”. Non stupisce, quindi, che l’orto scolastico rappresenti per gli attivisti dell’associazione uno strumento didattico per conoscere il territorio, i suoi prodotti e le sue ricette ma anche occasione per incontrare esperti artigiani, produttori e chef della comunità locale. Dal 2004 la rete degli “Orti in Condotta”, che sta al cuore dell’impegno educativo di Slowfood, si è estesa, coinvolgendo più di 500 scuole. Sono coinvolti studenti, insegnanti, genitori, nonni e produttori locali. Sono previsti percorsi formativi per gli insegnanti, attività di educazione alimentare e del gusto e di educazione ambientale per gli studenti e seminari per genitori e nonni ortolani.

La partecipazione a Orto in Condotta è subordinata al rispetto di determinati criteri, che può essere utile elencare anche qui perché, a prescindere dalla partecipazione allo specifico progetto, offrono spunti operativi per qualunque scuola:

  • il terreno deve essere coltivato con continuità, rispettando i cicli di riposo invernale
  • la coltivazione deve essere biologica o biodinamica
  • le varietà coltivate devono essere quelle tipiche del territorio regionale
  • è vietata la coltivazione di prodotti geneticamente modificati
  • devono essere privilegiati i prodotti che possono essere raccolti e consumati durante l’anno scolastico
  • l’uso dell’acqua deve avere un ruolo didattico: deve essere spiegata agli studenti l’importanza di una gestione oculata di una risorsa tanto preziosa quanto distribuita in modo ineguale nel mondo.

Un orto per ogni scuola!

Insomma, bisognerebbe davvero puntare ad avere un orto per ogni scuola, garantendo che ogni classe abbia il suo spazio da gestire, se ne prenda cura con continuità e ne faccia un oggetto di riflessione comune. Un cortile dove giocare e un orticello da coltivare, dovrebbero essere considerati requisiti minimi per ogni struttura scolastica. Come diceva Jean Piaget, padre della psicologia evolutiva “un ambiente di apprendimento fertile e multisensoriale, è fondamentale per il pieno sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino”. Dopo due anni e mezzo nei quali i diritti dei bambini e il loro sviluppo emotivo sono stati bistrattati e messi in ultimo piano dalle misure anti-Covid, è tempo di risarcire i bambini e i ragazzi e costruire una scuola finalmente più umana e vicina ai diritti dei bambini e dell’ambiente.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
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Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.