Rinnovabili • piano gestione rifiuti

Rifiuti: Piano Toscana, no a nuovi termovalorizzatori e no a nuove discariche

L’assessore all’Ambiente Monia Monni illustra al Consiglio la nuova strategia dell’economia circolare: “Affiancheremo agli impianti esistenti strutture alternative e meno impattanti”. Tra le novità anche la costruzione di una vera e propria “industria dei rifiuti” e lo strumento dell’avviso pubblico per grandi gestori pubblici e privati

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I rifiuti non sono un problema ma una risorsa

No a nuovi termovalorizzatori, no a nuove discariche. Sì alla costruzione di una vera e propria “industria dei rifiuti” che sappia stare sul mercato. I rifiuti non sono un problema da risolvere ma una risorsa e come tale devono essere valorizzati alimentando un’impiantistica che porti benefici economici ed occupazionali.

Il nuovo Piano dei rifiuti in Toscana vuole cambiare la concezione tenuta fino ad ora attraverso un approccio che si incardina perfettamente nella normativa sull’economia circolare già varata e che ha introdotto nello Statuto, prima Regione in Italia, il tema della sostenibilità.
 
La rivoluzione verde, illustrata in Consiglio regionale dall’assessore Monia Monni, è una sfida: “trasformare i rifiuti in risorsa e volano di crescita ambientalmente compatibile in termini di innovazione e lavoro. Questo approccio – a detta dell’assessore – trova nella definizione di ‘economia circolare’ e nell’obiettivo della neutralità carbonica le sue ragioni che, però, impongono un radicale cambio di metodo anche sul piano normativo e della pianificazione”.
Oltre al nuovo Piano regionale di sviluppo (Prs) la Giunta sta lavorando alla “definizione di un Piano per la transizione ecologica che superi la frammentarietà della pianificazione settoriale ambientale a favore di un quadro organico che si incentri sia sui temi dell’adattamento sia su quelli del contrasto ai cambiamenti climatici”.
 
Il nuovo Piano regionale dell’economia circolare e delle bonifiche sarebbe quindi “orientato alla prevenzione della produzione dei rifiuti e alla loro gestione finalizzata all’allungamento della vita della materia attraverso il riuso, il riciclo e il reimpiego nei processi produttivi, nel quadro di una complessiva minimizzazione degli impatti che passa dalle direttrici della riduzione della quantità di rifiuti prodotti e del sempre minor ricorso alle discariche”.
Il percorso di adozione del nuovo Piano si “occuperà sia della stringente pianificazione dei rifiuti urbani sia della programmazione degli speciali”.
 
L’iter, per come illustrato da Monni, consentirà una “”riduzione considerevole dei tempi di approvazione perché è “necessario assicurare alla Regione una procedura più dinamica pur preservando gli elementi connessi alla Valutazione ambientale strategica (Vas) e alla partecipazione dei diversi stakeholder regionali”. “Dobbiamo essere chiari – ha dichiarato in Aula l’assessore -: la riduzione dei tempi di approvazione del Piano è funzionale alle richieste dal Ministero per transizione di aggiornare quelli vigenti ai contenuti delle direttive europee, che prevedono, fra le altre cose, nuovi obiettivi di recupero e di riciclo dei rifiuti. Il recepimento nei Piani regionali di questi obiettivi è necessario anche per evitare procedure di infrazione e per assicurare l’accesso ai finanziamenti europei di imminente erogazione, rispetto ai quali la conformità della pianificazione rifiuti costituisce condizionalità espressa”.
In Aula Monni ha presentato anche il Rapporto di monitoraggio del Piano regionale dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati (PRB) del 2014. “Si tratta – ha spiegato – di una fotografia della situazione regionale, dello stato di attuazione del PRB e dei risultati ottenuti negli anni trascorsi dalla sua approvazione”. Ma il monitoraggio consegna anche una “proiezione chiara sugli scenari futuri, stimando il fabbisogno regionale per tipologia di rifiuto urbano rispetto agli obiettivi europei che impongono una riduzione al 10 per cento del conferimento dei rifiuti urbani in discarica al 2035 e una crescita del riciclo di materia dal 55 al 2025, fino al 65 per cento al 2035” ha dichiarato l’assessore.
 
“L’orizzonte” tracciato in Consiglio è sintetizzato in “pochi ma ambiziosi punti”: Riduzione della produzione di rifiuti e riuso – “per raggiungere gli obiettivi europei è necessario puntare con decisione alle prevenzione per ridurre quanto possibile gli urbani prodotti nonché valorizzare e rafforzare le esperienze di riuso sul territorio regionale” ha spiegato Monni -; Miglioramento quali-quantitativo delle raccolte differenziate fino a raggiungere l’obiettivo dell’80-85 per cento nel 2035; Più riciclo e recupero – “scegliamo di orientare la gestione dei rifiuti verso le opzioni più virtuose di trattamento per raggiungere il 65 per cento di riciclo di materia al 2035” -; No a nuovi termovalorizzatori – “abbiamo deciso di affiancare a quelli attualmente presenti in Toscana impianti che sfruttano tecnologie alternative e che minimizzano ancor di più l’emissione di Co2 in atmosfera, in linea con l’obiettivo di decarbonizzazione al 2050” – ha detto chiaramente l’assessore; No a nuove discariche – “l’ottica non può che essere quella di una progressiva riduzione di quelle esistenti fino ad arrivare al 10 per cento nel 2035 -; Da problema a risorsa – “orientiamo la gestione dei rifiuti verso la realizzazione di una vera e propria industria nel quadro di una forte regia pubblica, partendo dal nuovo strumento dell’avviso pubblico” ha continuato.
 
Il “nuovo strumento – è stato spiegato all’Aula – servirà a raccogliere, da attori pubblici e privati, manifestazioni d’interesse relative alla realizzazione di impianti di riciclo e recupero”. L’avviso pubblico rappresenta uno “strumento pre-ordinato all’approvazione del nuovo Piano regionale dell’economia circolare (PREC, precedentemente PRB), luogo unico in cui, d’intesa con Comuni e le Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (AATO), saranno compiute le scelte di pianificazione in materia di rifiuti”.
 
Per chiarire il “perimetro e l’utilità dell’avviso” che la Giunta intende attivare “entro la prima metà di ottobre”, Monni ha illustrato anche i principali elementi che lo comporranno: una manifestazione d’interesse redatta dal proponente utilizzando una scheda informativa nella quale riportare le specifiche dell’impianto, la cui tecnologia, nel caso degli impianti di recupero, deve essere rispondente alle BAT (migliori tecniche disponibili) e alle BREF (BAT reference document) di settore; La verifica dei criteri preferenziali e di quelli escludenti dell’attuale PRB 2014, nel quadro di una localizzazione dei nuovi impianti presso aree con la destinazione urbanistica adeguata a questo scopo; L’impegno a realizzare impianti le cui emissioni, grazie all’utilizzo di tecnologie efficaci e a interventi di mitigazione, non incrementino, ad impianto in esercizio, le emissioni misurate nell’area di riferimento, prima dell’avvio della procedura di valutazione d’impatto ambientale (cd. “bianco”); La disponibilità a presentare istanza autorizzativa entro e non oltre 6 mesi dalla chiusura dell’avviso; La volontà, per gli impianti di recupero dei rifiuti urbani di essere inseriti nel nuovo PREC, finanziando così la realizzazione, in caso di valutazione positiva in sede di redazione e approvazione del Piano, attraverso la tariffa, per gli impianti di recupero dei rifiuti speciali di derivazione urbana di sottoporsi a convenzionamento obbligatorio con le AATO, nel quadro di una cornice regolata dai soggetti pubblici preposti, finanziando così la realizzazione con risorse proprie e con ‘tariffe al cancello’ di impianti e discariche concordate.
 
“L’avviso pubblico – ha spiegato ancora Monni – si rivolgerà agli impianti industriali esistenti per verificare se nel proprio ciclo produttivo c’è spazio per processi di valorizzazione dei rifiuti; a soggetti che intendono realizzare impianti di riciclo; a soggetti che intendono realizzare impianti di recupero dei rifiuti urbani da prevedere, come avviene tradizionalmente, all’interno del nuovo Piano; a soggetti che intendono realizzare impianti di recupero dei rifiuti speciali di derivazione urbana, cioè trattati in impianti intermedi, in convenzionamento con le Autorità d’ambito”.
 
“Quello che la Giunta propone al Consiglio è un approccio certamente inedito che ha l’ambizione di voler misurare l’ampiezza e la profondità che l’economia circolare può dispiegare in Toscana, attraverso il pieno coinvolgimento delle AATO e dei Comuni” ha continuato. “La Toscana vuole superare l’impostazione tradizionale di Piano a favore di un approccio ancor più integrato che, innestandosi in un obiettivo di riduzione complessiva dei rifiuti prodotti, metta a sistema i già autorizzati impianti di digestione anaerobica per la valorizzazione della frazione organica, le piattaforme per singole frazioni merceologiche, come ad esempio il vetro e la carta, fino ad arrivare a veri e propri impianti di riciclo della materia”. Si tratta, insomma, di una “spinta decisa” verso la “massimizzazione del riciclo di materia per ridurre drasticamente la quota di rifiuti da trattare a recupero e, soprattutto, da destinare a smaltimento”. Per assicurare la graduale riduzione del ricorso alle discariche serve però “strutturare anche un’impiantistica legata alle operazioni di recupero attraverso l’utilizzo di impianti qualificati a questo scopo ed in possesso delle migliori tecnologie disponibili sul mercato nonché connotate dalla minimizzazione delle emissioni di Co2 in atmosfera”. “Per farlo sarà necessario prevedere una transizione degli attuali impianti di TMB (Trattamento meccanico biologico) verso vere e proprie ‘Fabbriche dei materiali’ in grado di valorizzare al massimo anche i rifiuti urbani indifferenziati sia nella loro frazione secca sia umida” ha spiegato ancora l’assessore che ha chiarito: “Sarà il Piano il luogo in cui verranno prese, in accordo con i Comuni e le AATO, le decisioni di pianificazione sui rifiuti urbani e la complessiva programmazione dei rifiuti speciali, che, come noto, rappresentano la maggiore quota di rifiuti prodotti, con l’obiettivo di assicurare il pieno soddisfacimento del principio di autosufficienza”.
 
“Uscire dalla logica lineare ‘preleva-produci-consuma-butta’ significa costruire un modello complesso di gestione dei rifiuti che punti a recuperare tutta la materia possibile, nell’ottica di creare un’industria del riciclo che generi impatti positivi in termini ambientali, ma anche sociali ed economici” ha concluso.

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Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

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Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
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Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
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Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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